Roma selvatica
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Roma selvatica

  1. 160 pagine
  2. Italian
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Roma selvatica

Informazioni su questo libro

Volpi, gabbiani, pappagalli, testuggini, pipistrelli, granchi, cormorani, storni. E ancora falchi, rospi, ramarri, scoiattoli, barbagianni, farfalle. E poi querce, alberi del paradiso, palme, capperi, viole, papaveri e molto altro. Roma, come ogni città, ha il suo cuore selvatico: sta a noi scoprirlo.

«Una delle ultime volte che ho ammirato un falco pellegrino sfrecciare nel cielo di Roma è stato a Casal Bruciato, sulla Tiburtina. Assistevo alla partita di calcio di mio figlio quando mi sono distratto per osservare i gruppi di storni che a frotte ritornavano ai dormitori. Quando uno di questi si è prima chiuso a pugno e poi si è aperto in forme geometriche sempre più veloci, ho scorto la sagoma a falce del falco. Ho dimenticato la partita e ho seguito il volo del rapace, rapido e pulito, senza però che raggiungesse le vertiginose velocità di cui è capace.»Un diario naturalistico urbano dove protagonisti sono animali e piante, la loro storia, il loro arrivo, la loro scoperta, i luoghi inaspettati e vicini che abitano.

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Informazioni

Le ville di Roma

rospo smeraldino
Qualche anno fa, quando ero volontario della locale sezione del WWF, seguivo con apprensione le sorti di una popolazione di rospi smeraldini, che avevano scelto per riprodursi una fontana del Parco dei Daini a Villa Borghese. Ignari del pericolo che tale scelta comportava, ogni anno rischiavano di perdere uova e girini quando la fontana veniva pulita dagli operai municipali o svuotata. Cominciò così una trattativa tra noi e gli uffici comunali, a cui richiedevamo a gran voce di posticipare l’intervento e rispettare la stagione riproduttiva dell’ospite anfibio. Riuscimmo nell’intento e ne facemmo partecipi i frequentatori della Villa con tanto di cartelli informativi. Non so quanti girini abbiamo salvato da morte sicura, anche se poi la storia ha preso tutt’altra piega. Come racconta nei suoi scritti Fulco Pratesi, che per primo ha seguito le sorti del rospo, al posto delle pulizie e dei vandali subentrò una nuova minaccia: quella di una signora che, quando i rospi si accoppiavano, toglieva il tappo alla vasca, e così uova e girini venivano risucchiati. A suo dire, lo faceva per evitare che i bambini prendessero di mira i girini per giocarci. Strana forma di protezione!
Il rospo smeraldino è più piccolo di quello comune. Ha una bella livrea, tra l’altro molto variabile – può essere bianca o giallastra o rosata o grigio chiara –, con chiazze verde brillante, spesso con puntini rossastri. È una specie molto adattabile e vive in una grande varietà di ambienti, compresi quelli antropizzati. Come nel caso di Roma. Trascorre l’inverno, riparato nella vegetazione, tra buche nel terreno o ammassi di pietre. Si nutre di insetti e piccoli invertebrati.
Il rospo smeraldino romano ha nuclei storici, come quelli dei laghetti di Villa Borghese, risalenti almeno al XIX secolo. È un anfibio opportunista, che tende a colonizzare qualunque specchio d’acqua disponibile. Anche di tipo salmastro o, come nel caso dell’Acqua Acetosa (Tor di Quinto), addirittura sulfureo.
A Roma è più diffuso il rospo comune, quello delle favole. A volte l’ho trovato, spaurito, anche sotto casa. Non è raro vederlo nei giardini condominiali con fontane, vicino a laghetti artificiali o a vasche di raccolta d’acqua. È un animale massiccio, dalla livrea verrucosa, marrone rossiccio o grigiastra e con il ventre chiaro. È attivo soprattutto di notte, mentre di giorno si rifugia dove non batte il sole, tra anfratti o cumuli di pietre. Si nutre di un po’ di tutto: insetti, lumache, lombrichi, anche piccoli vertebrati. Frequenta soprattutto le aree umide con vegetazione fitta ed evita il più possibile le aree aperte.
Come molti anfibi, anche il rospo comune è in declino. Nel suo caso, per via delle trasformazioni dell’habitat e per colpa del traffico automobilistico. Rospi schiacciati a terra lungo le strade se ne trovano ovunque. In Italia, la sua presenza si è ridotta di oltre il 30% negli ultimi dieci anni. Il rospo comune è diffuso in Europa, nell’Africa nord-occidentale e nell’Asia settentrionale e temperata.
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Le mie prime esperienze come naturalista da campo cominciarono a pochi metri da dove abitavo da ragazzo, quando ero ancora studente all’Università La Sapienza. Avevo la fortuna di risiedere ad una manciata di minuti da uno degli ingressi di Villa Ada Savoia, al quartiere Parioli. In realtà, quello che utilizzavo non era uno degli accessi «ufficiali», bensì un varco nel muro di cinta lungo via Panama. Non ero l’unico frequentatore clandestino: facevo parte di un piccolo gruppo di corridori, camminatori, semplici fruitori, magari con cani al guinzaglio, tutti con la passione della cosiddetta «parte chiusa» della Villa. Un privilegio che, secondo le rispettive esigenze, si traduceva, condividendolo con pochi fidati, nel trovarsi in un luogo speciale, nascosto, remoto. Bastavano pochi passi all’interno e i rumori, gli odori, il clima, cambiavano d’incanto, come se si entrasse in una dimensione diversa. E in effetti si lasciava la dimensione urbana per penetrare in quella naturale.
usignolo
Non ho più trovato i miei taccuini da ­campo – vittime di traslochi anche recenti –, dove nel tempo ho annotato le osservazioni e le descrizioni di quello che vedevo, ma ricordo benissimo le mie prime scoperte: il nido di picchio rosso maggiore, la tana della volpe – ma anche il suo forte odore, che non ho mai più dimenticato –, gli escrementi a pallina del coniglio selvatico – che non ho mai visto a Villa Ada –, le borre di allocco. E sempre a Villa Ada ho visto per la prima volta gli scoiattoli e le ghiandaie e ho ascoltato, al tramonto, il canto meraviglioso dell’usignolo e il verso, come una risata, del torcicollo.
Trovare il picchio rosso maggiore fu davvero entusiasmante. Sentivo il classico «tambureggiare» del maschio su un albero, cioè il suo modo di corteggiare la femmina e delimitare il territorio. Quando vidi i buchi sul tronco fui certo di averlo scovato. La posta all’area del picchio durò parecchi mesi e così seguii varie fasi della sua vita. Il suo volo ondulato, proprio quello a picchio. La ricerca del cibo, soprattutto insetti, che cattura infilando la lunga lingua nelle gallerie scavate con il becco. Il picchio rosso maggiore vive in un’ampia varietà di ambienti, come boschi, terreni coltivati, zone ad alberi sparsi, vigneti e anche parchi urbani. Vasto è l’areale di presenza della specie, che si estende dall’Africa nord-occidentale a buona parte dell’Eurasia. In Italia è abbastanza frequente.
Anche la prima upupa la ricordo tra i viali di Villa Ada. Bellissima. Con quel volo a scatti alternato a pause con le ali chiuse. Ha il becco lungo e ricurvo e la cresta sul capo, che tiene eretta quando si posa o è eccitata. Anche il piumaggio è inconfondibile: marrone molto chiaro nella parte superiore e a strisce orizzontali bianco-nere nella parte inferiore.
Se Foscolo nei Sepolcri lo definì, sbagliando clamorosamente, «lugubre uccello notturno», fu Eugenio Montale a tesserne giustamente le lodi, negli Ossi di seppia: «Upupa, ilare uccello calunniato / dai poeti, che roti la tua cresta / sopra l’aereo stollo del pollaio / e come un finto gallo giri al vento; / nunzio primaverile, upupa, come / per te il tempo s’arresta, / non muore più il Febbraio, / come tutto di fuori si protende / al muover del tuo capo, / aligero folletto, e tu lo ignori».
Vive ai margini dei boschi, nelle campagne e anche nelle zone verdi delle città. Si nutre di larve di invertebrati, di grossi insetti, di molluschi e ragni. Da noi è abbastanza diffusa.
Nella Villa è presente anche il coniglio selvatico, portato qui dal re Vittorio Emanuele III che si divertiva a dargli la caccia. Originario della penisola iberica, del Sud della Francia e probabilmente del Nord Africa, fu introdotto nel resto d’Europa dai Romani. I quali avevano una grande passione alimentare per questi animali. Li allevavano infatti all’ingrasso per poi mangiarli, tenendoli in luoghi chiusi o recintati, le cosiddette conigliere. Il leggendario tasso riproduttivo di questi animali e le loro attitudini a scavare il terreno favorirono la fuga dei primi esemplari.
Scrive Plinio nella Naturalis Historia: «appartengono alla specie delle lepri anche quelle bestie che in Spagna sono chiamate cuniculi, capaci di riprodursi con un ritmo inesauribile e che provocano carestie nelle isole Baleari, devastando le messi».
Nel Medioevo, i conigli venivano lasciati su piccole isole in modo che potessero essere liberi e allo stesso tempo controllati. Oggi la specie è diffusa in tutta l’Europa ed è stata introdotta con successo in Australia, Nuova Zelanda e Cile.
Le popolazioni italiane di coniglio selvatico derivano da animali fuggiti in passato dagli allevamenti. Attualmente è presente in Sardegna, Sicilia, nelle isole minori e in alcune regioni della penisola. Tipico della macchia mediterranea, per la sua elevata capacità di adattamento ha colonizzato gli ambienti più vari, dalla pianura alla collina, fino alla montagna meno impervia. Vive anche lungo la fascia costiera. Per la sua indole di scavatore, predilige i terreni asciutti, sabbiosi e argillosi, ricoperti da vegetazione bassa. I conigli sono animali gregari, e vivono in colonie la cui grandezza varia a seconda della disponibilità di cibo, costituito da erba, foglie e radici.
A Villa Ada ho visto anche il mio primo ramarro. È stato un attimo, ma non poteva che essere questa grande lucertola, color verde brillante con punteggiatura nera e la gola azzurra. Avrei scoperto solo dopo che era un maschio. Le femmine, infatti, hanno colori più spenti.
Non è tanto facile vedere un ramarro, soprattutto in città. A Roma sembra abbastanza diffuso, specialmente in periferia e nelle aree più naturali o seminaturali. Ma frequenta anche i parchi urbani e i giardini privati. È un bel sauro che può superare anche i 30 centimetri di lunghezza. Si nutre di insetti, molluschi, bacche e frutta. La specie che vive a Roma, quella occidentale, è presente dalla Spagna alla Germania e nella maggior parte del nostro paese, in Sicilia e nell’isola d’Elba, dal livello del mare fino a oltre 2.000 metri di quota. Ho avuto modo d’incontrarlo più volte nei boschi non fitti, ai margini delle strade, anche presso muri a secco e ruderi di campagna. Anche se non è in pericolo, il ramarro sta perdendo il suo habitat a causa delle colture intensive, del sovrappascolo, della contaminazione da pesticidi, degli incendi. Capita non di rado che venga investito dalle auto.
Anche il mio primo serpente l’ho visto in una villa, ma non ricordo se fosse Villa Ada. Era sicuramente un biacco. O frustone, come si chiama a Roma, per la credenza popolare che utilizzi il corpo come una sferza. O milordo, nome diffuso da altre parti e che deriva da qualche alterazione dialettale o forse dall’eleganza della sua livrea, a macchie verde scuro su fondo giallastro, che ricorda quella di un ‘milord’.
Il biacco è la specie più comune a Roma e in generale uno dei serpenti più diffusi in Italia, comprese Sicilia, Sardegna e molte isole minori. Distribuito dalla Spagna nord-orientale alla Croazia, si trova dal livello del mare fino a oltre 2.000 metri di quota. Nonostante finisca spesso sotto le ruote, lungo le strade asfaltate, ce ne sono ancora in abbondanza. Caccia a vista lucertole, micromammiferi, uccelli e serpenti, anche della stessa specie. Quando d’estate vengono segnalate vipere in città, il più delle volte si tratta proprio di biacchi – i quali, a dire il vero, le vipere se le mangiano. Questo non significa che non sia un serpente vivace e che all’occorrenza non morda. Ma è assolutamente innocuo.
Le vipere in città però ci sono. Soprattutto nei parchi urbani e nelle ville storiche, oltre che nelle aree protette, ovviamente. Nonostante leggende e luoghi comuni su questo animale, la sua presenza è celata, ritirata. Non mancano tuttavia avvistamenti particolari, come quelli all’interno dell’Ospedale San Camillo e al Pantheon di qualche anno fa. In quest’ultimo caso, molto probabilmente si trattava di un esemplare allevato e sfuggito per incuria o per volontà. La vipera cattura lucertole, piccoli uccelli e topi, che paralizza con il suo veleno. È notoriamente pericolosa anche per l’uomo, soprattutto per gli individui più deboli, come gli anziani e i bambini. Difficilmente però può essere mortale. Del resto, possiamo tutti fare mente locale e contare i casi di decesso per colpa delle vipere. Io non ne ricordo. Al contrario, sono molti quelli provocati dai calabroni o dai funghi velenosi. Per non parlare degli incidenti causati dall’uomo, in particolare con le auto: qui la comparazione diventa imbarazzante. E tragica. Come ogni animale che si rispetti, la vipera attacca solo per difesa o perché molestata.
A proposito di credenze, scrive ancora Plinio: «Il maschio della vipera introduce la sua testa nella bocca della femmina ed essa nell’ebbrezza del piacere, la rosicchia. Essa si distingue tra tutti gli animali terrestri perché è la sola che trattiene le uova, che sono di un unico colore e molli come quelli dei pesci. Il terzo giorno fa schiudere le uova nell’utero, successivamente ne partorisce uno al giorno, raggiungendo un totale che si aggira alla ventina. Ma gli altri figli, non sopportando la lentezza della madre, le spezzano i fianchi, facendola morire».
La vipera è un bel serpente. La livrea ha il fondo di colore estremamente variabile, dal grigiastro al bruno o nerastro, fino al giallastro, rossastro o rosato. Il disegno dorsale, quando presente, è anch’esso molto variabile, con barre scure trasversali, o una linea continua a zig-zag oppure macchie irregolari. La testa è triangolare. È distribuita in Spagna settentrionale, Francia, Svizzera e in aree marginali di Slovenia e Croazia. In Italia è presente in tutta la penisola, in Sicilia, nelle isole d’Elba e di Montecristo. È invece assente in Sardegna e nelle isole minori. Vive dal livello de...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione. Roma città verde
  2. A ritroso nel tempo: non solo una lupa
  3. La dea Flora abita qui (e non è sola)
  4. Il cielo sopra Roma
  5. Storie di vicini di casa
  6. Esotici e alieni
  7. Le ville di Roma
  8. Storie di marciapiedi e altro
  9. Le vie d’acqua
  10. Tra le rovine
  11. Rome by night
  12. Fuori dalla città: «hic sunt leones»
  13. Le aree protette
  14. Ringraziamenti