Il futuro dell'Italia
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Il futuro dell'Italia

Lettera ai piccoli imprenditori

  1. 106 pagine
  2. Italian
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Il futuro dell'Italia

Lettera ai piccoli imprenditori

Informazioni su questo libro

L'Italia ha bisogno di un ponte solido tra società e politica e lo vuole. Per costruirlo occorre un pilone centrale che può essere costituito dalle piccole imprese, dalla loro volontà di essere finalmente protagoniste. Forse è un sogno, ma del genere di quelli su cui si può scommettere. Se i sogni sono condivisi possono realizzarsi.Repentini crolli di fatturato e produzione, conflitti con le banche, fino a drammi personali: la crisi dell'imprenditoria è cronaca di tutti i giorni. E se, invece, la piccola impresa fosse la grande risorsa per il futuro dell'Italia? Giangiacomo Nardozzi si rivolge agli oltre trecentomila piccoli imprenditori del nostro Paese che rappresentano un 'saper fare' vivace e creativo ammirato nel mondo e che proprio per questo potrebbero assumere un peso che non hanno mai avuto nel discorso politico. Sarebbe una gran bella svolta, e non solo per l'economia.

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Informazioni

Argomento
Economía
Categoria
Finanzas

Le torri di San Gimignano e l’anarchia delle istanze

La politica italiana ha seguito una direzione opposta a quella imboccata dagli imprenditori che hanno reagito alla minaccia di non ­risultare competitivi. È regredita, avvitandosi su se stessa, sulle sue divisioni. Gli elettori sono stati continuamente delusi e hanno espresso a più riprese una volontà di cambiamento. Ciò perché la politica ha finito per riflettere i caratteri meno edificanti della nostra società, società anarchica, piena di particolarismi, di conflitti che non riescono a comporsi nell’interesse collettivo. Per questo non riusciamo a risolvere i problemi di cui ci lamentiamo continuamente e che pesano, oltre che sulla nostra vita quotidiana, anche sui risultati della nostra diffusa vivacità e inventiva. Ne paghiamo le conseguenze, lavorando in un paese che non fa sistema, che non offre infrastrutture, servizi della pubblica amministrazione, stimoli concorrenziali sufficienti per competere con successo maggiore. Qui sta la causa del rallentamento del ritmo di crescita dell’economia già prima della crisi. Le prospettive post-crisi non sono migliori. Se non provvediamo ora, corriamo il rischio di divenire una società più povera, più conflittuale, più chiusa. Però, se lo vogliamo, possiamo aumentare di molto il nostro benessere, più degli altri paesi europei.

Delusioni dalla politica, Berlusconi e il carattere degli italiani

Mentre gli imprenditori si sono sforzati di adeguare le loro aziende ai tempi nuovi, l’«azienda Italia» è rimasta indietro. La gestione del paese ha sofferto di un’involuzione della politica, ormai troppo presa da se stessa per occuparsi delle sfide che vengono dal mondo al nostro sistema economico e sociale.
Se le performance dell’economia sono state rettificate al meglio, le speranze affidate ai governi sono state continuamente riviste al peggio. Non si può dire che gli italiani non le abbiano cercate ed espresse. Nel voto a Berlusconi del 2001, nel cambio di guardia a favore di Prodi, nella denuncia della casta politica (che esprime in realtà grande bisogno di politica), nell’iniziale entusiasmo per la costituzione del Pd, nel deciso sfoltimento del numero dei partiti presenti in Parlamento con le elezioni del 2008, nella maggioranza, schiacciante grazie alla Lega, consegnata di nuovo a Berlusconi per formare l’attuale governo e confermata dalle ultime elezioni regionali.
Eppure è stato un crescendo di delusioni, per l’incapacità di governare e di rispettare i programmi. Si è trascinata, continuamente rimandata e sempre promessa, la soluzione di problemi particolarmente sentiti dagli elettori e vitali per l’economia: il peso del fisco su quanti pagano le tasse, la carenza di infrastrutture e i tempi biblici per realizzarle, l’inefficienza nell’amministrazione della giustizia e più in generale della pubblica amministrazione. La capacità d’azione del governo è stata condizionata da troppi interessi coltivati all’interno delle stesse coalizioni di maggioranza. A giustificazione delle promesse mancate dai due ultimi governi di Berlusconi il Leitmotiv è sempre lo stesso: la colpa è degli altri. Uno strumentale impiego della paranoia diretta in varie e mutevoli direzioni: al contesto internazionale (avversa congiuntura economica iniziata nel 2001, Cina, Euro, «mercatismo» dell’Europa sostenuto dal centro-sinistra italiano, speculatori, banche...), al contesto nazionale (i «comunisti», la magistratura), a volte agli stessi alleati («Vorrei, ma non mi lasciano fare») e, più di recente, agli organi previsti dalla Costituzione, che impedirebbero di governare pur con grandi maggioranze parlamentari. Era stata molto evidente la difficoltà di conciliare i vari interessi nella coalizione di centro-sinistra. Il governo del 2006-2008 ha cercato di andare un po’ incontro a ciascuno di essi, finendo per scontentare tutti. Il lodevole intento dichiarato da Prodi a sostegno del suo programma, in contrapposizione a quello precedente («Voglio unire, non dividere il paese»), fu smentito da slogan che vennero dall’area della sinistra radicale del suo governo. Ispirati a una lotta di classe che ha fatto il suo tempo («Far piangere i ricchi») e alla contestazione di valori detti borghesi ma rispondenti al comune sentire, questi slogan suonavano a giustificazione delle accuse del Cavaliere a un’opposizione «comunista», all’impossibilità di dialogo con essa. Le divisioni interne di quel centro-sinistra hanno portato alla fine precoce del governo, mettendo una seria ipoteca sulle possibilità future di tornare ad amministrare il paese e riducendo quindi, in buona sostanza, gli spazi di scelta dell’elettorato.
Le speranze riposte nella creazione di un nuovo grande partito rappresentativo della migliore cultura cattolica e di sinistra, il Pd, si sono infrante non con i risultati, non disprezzabili data la fine ingloriosa del governo Prodi, delle elezioni del 2008, ma contro le divisioni interne, subito esplose, sfociate poi in una nuova frammentazione partitica e nei contrasti che non accennano a finire e che privano il paese del bene pubblico di un’opposizione solida, non poggiante sulla sola demonizzazione di Berlusconi. A migliorare le cose è servita poco la svolta che la stessa politica si è data, con la decisione dei due maggiori partiti di andare da soli al voto nel 2008 e con l’alta soglia di sbarramento del nuovo sistema elettorale, che ha reso palese la frammentazione dei piccoli partiti, escludendoli dal Parlamento. Questa svolta è stata premiata dagli elettori. Il numero dei partiti presenti alla Camera dei Deputati e in Senato è sceso drasticamente. Ne sarebbe dovuto derivare un minor condizionamento da parte degli interessi particolari, compresi quelli personali dei politici, e una maggiore attenzione a quelli generali. Invece questi interessi si sono trasferiti all’interno dei grandi partiti e hanno generato nuova frammentazione. Non è venuta meno l’introversione, l’autoreferenzialità calata nel presente, che esalta i conflitti con uno strumentale uso del passato, a danno di una progettualità per il futuro del paese e dell’ascolto delle tendenze della società. Le elezioni del 2008 e quelle regionali del 2010 hanno peraltro premiato, con un grosso successo, la Lega. È il partito più coeso, radicato nei suoi territori, vicino alla gente, capace di mantenere aperta la possibilità di dialogo con l’opposizione. Ma è anche un partito che a sua volta divide il paese, ne mette in discussione il valore dell’unità, rifiutandone, come cose di cui vergognarsi, le conquiste. Nonostante i richiami alla coesione giunti sempre dalla presidenza della Repubblica di Carlo Azeglio Ciampi e di Giorgio Napolitano, l’istituzione più apprezzata dagli italiani.
La politica ha deluso quando se ne aveva più bisogno. Quando occorreva che orientasse e guidasse con mano salda nei grandi cambiamenti in atto nel mondo. Ne ha sofferto il paese, che si è indebolito. Ne hanno sofferto gli imprenditori, che si sono dati da fare per rafforzare l’economia del nostro paese, ma hanno bisogno di lavorare in un sistema forte e coeso, che offra concreta fiducia nel futuro, e che parli al mondo con poche voci autorevoli e non discordanti.
Va però riconosciuto che questa nostra politica, piegata su se stessa piuttosto che levata verso l’interesse pubblico, non è un corpo estraneo. Se ha deluso e delude, ciò non significa che non esprima caratteri diffusi nella società. Altrimenti non sarebbe rimasto forte il consenso per Silvio Berlusconi. La personalizzazione imposta dalla discesa in campo del Cavaliere nel 1994 volge ancora a suo vantaggio, e lo premia nonostante gli effettivi risultati, molto al di sotto delle attese del suo elettorato, dei governi che presiede. Le divisioni interne che vincolano l’azione di governo nel nostro bipolarismo sono state distruttive per il centro-sinistra, che brucia i suoi leader, non per il centro-destra, che ne ha uno solo da quindici anni.
Si è discusso a lungo sulle ragioni del persistente successo di Berlusconi, nonostante... tutti i «nonostante» della sua azione pubblica e dei suoi affari privati. Tra queste ragioni ve n’è una che va sottolineata: la particolare forma di liberismo, «all’italiana», rappresentata dal Cavaliere. Il messaggio che viene dalla sua persona, dalla sua storia, dalla sua predicazione, è sempre stato quello di concepire il rispetto delle norme come un impedimento alla libera affermazione degli interessi individuali, più che come un dovere. Un messaggio decisamente contrastante con i fondamenti del liberismo, che propugna, invece, la libertà nel perseguimento del proprio tornaconto senza trasgressione delle regole che lo inquadrano. Perché non vi è libero mercato senza sovranità della legge e suo rispetto che assicurino la correttezza del gioco.
Tuttavia l’arte di arrangiarsi anche a dispetto della legalità è un carattere distintivo degli italiani. Un carattere su cui si scrive da secoli, venendo dalla nostra storia. Lo constatiamo ancora ogni giorno nelle più piccole cose. Le leggi vengono spesso discusse e interpretate prima di essere eventualmente rispettate. Il rosso dei semafori risulta convincente solo quando l’intenso traffico mette a rischio la fretta del singolo. La precedenza obbligata al pedone sulle strisce è un optional che si misura continuamente con la velocità e con la prontezza del conducente a cogliere gli spiragli lasciati aperti sulla destra o sulla sinistra del pedone stesso. Il transito delle motociclette sul marciapiede viene candidamente giustificato con la supposta assurdità di rispettare le code di auto da parte di veicoli più agili, o con la necessità di trovare un parcheggio sul marciapiede medesimo. La maggioranza tollera, se non giustifica, la furbizia. Ma chi eccepisce viene facilmente insultato, se non peggio. Piccoli esempi, ma significativi anche per il fatto che la generalità di questi comportamenti non esclude le fasce sociali più abbienti, come accade nel cuore della city finanziaria milanese, uno dei luoghi di allevamento della classe dirigente. Ma questi esempi esprimono soprattutto il fatto che gli italiani per istinto si impegnano più a discutere le norme che ad applicarle, così come, notava Leopardi «posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente».
Dai casi di strada a quelli che più pesano sulla collettività il passo è breve. Si giustifica l’evasione fiscale con un’analisi dei costi e dei benefici individuali (cosa mi dà lo Stato in cambio?). E, nella quotidianità, non c’è sanzione sociale, respingimento oggi si potrebbe dire, nei confronti di chi evade da parte di chi le tasse le paga. L’evasore è più invidiato che contestato, anche perché un secondo lavoro, rigorosamente in nero, ce l’hanno non pochi italiani.
Questi atteggiamenti trovano riscontro nelle indagini campionarie che rilevano l’opinione degli italiani su loro stessi. È recente e interessante quella promossa da Confindustria1. Agli interpellati è stato chiesto quali sono i caratteri che distinguono gli italiani dagli altri popoli: l’arte d’arrangiarsi è risultata al primo posto nel 39% dei casi, al secondo nel 20%. Si è poi domandato di scegliere tra gli orientamenti che caratterizzano gli italiani nel loro comportamento: il rispetto delle leggi è risultato al primo posto solo per il 15%, al secondo per meno del 13%. In compenso, le scelte si sono concentrate sul ricorso alla raccomandazione e ai favoritismi, al primo posto in oltre il 34% dei casi (al ­secondo nel 26%) e sull’evasione fiscale, equamente distribuita tra il primo e il secondo nel 51% delle risposte. Mentre agli ultimi posti sta la fiducia nello Stato, che è a fondamento della legalità. La conclusione che ne trae Daniele Marini, curatore dell’indagine, è che «la dimensione particolare, il sapersi districare autonomamente anche a dispetto delle norme, quasi ci si dovesse sbrogliare all’interno di un complicato groviglio, è la visione prevalente che ispira l’azione degli italiani. In barba alle regole di convivenza che vanno sì rispettate, ma declinate e adattate al quotidiano»2.
Berlusconi ha colto nel segno, con la sua capacità di parlare agli italiani ha capito ciò che altri non vogliono capire coltivando uno sterile atteggiamento di altezzosa estraneità a questi vizi del paese (salvo poi ricredersi con stupore quando si trasgredisce nelle loro stesse fila). Il vero problema non sta nella figura del Cavaliere. Sta in una società dove non sono tanti quelli che, come nel detto evangelico, possono «scagliare la prima pietra». La forza dello schieramento politico di centro-destra non sta nel liberismo che dovrebbe ispirarlo, ma nel fatto che cavalca, esaltandoli, atteggiamenti diffusi. Ma dove porta una politica che sublima i nostri caratteri meno edificanti?

Particolarismo sociale e torri di San Gimignano

È noto il particolarismo sociale italiano, un generale atteggiamento concentrato sull’interesse individuale, familiare e locale e di scarsa sensibilità nei confronti di quello pubblico. La differenza con gli altri paesi non sta nella ricerca del tornaconto individuale, ben più spinta nella cultura protestante che in quella cattolica soprattutto italiana, che vi aggiunge di suo la particolare influenza del papa. Sta piuttosto nel rilie...

Indice dei contenuti

  1. Il messaggio
  2. L’Italia e la crisi
  3. Le torri di San Gimignano e l’anarchia delle istanze
  4. Scommettere su una nuova classe dirigente