
- 230 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Cosa c'era prima dell'estetica? In questo libro, le trasformazioni del pensiero che hanno posto fine alla concezione antica dell'arte poetica come forma diretta di sapienza e favorito il sorgere e l'affermarsi dell'estetica come riflessione filosofica tipicamente moderna sull'arte, il bello e la sensibilità.
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Informazioni
Argomento
FilosofiaCategoria
Estetica in filosofiaCapitolo secondo.
Platone:
mimèsi poetica e mimèsi filosofica
L’ipotesi che stiamo tentando di comprovare qui – che i prodromi della formazione dell’estetica siano da rintracciare nel progressivo abbandono dell’orientamento mimetico eletto nella Grecia classica a principio di individuazione delle arti poetiche – riposa su un presupposto di fondo: che tutta la riflessione poetica greca d’età arcaica e classica possa essere collocata sotto il segno della mimesis. Nel capitolo precedente, questo presupposto è stato messo alla prova dal fatto che non si può parlare di una vera e propria teoria della mimesis prima del IV secolo a.C. Ma tale fatto si è dimostrato soltanto all’apparenza una controprova, e abbiamo potuto constatare che, sebbene di una teoria della mimesis si possa cominciare a parlare solo in ambito filosofico, con il Socrate di Senofonte, tuttavia, di un orientamento delle opere poetiche e della riflessione in esse contenuta alla mimesis si può parlare fin dall’età arcaica, addirittura già prima che i termini del gruppo mimeisthai entrino nell’uso poetico.
Ora il nostro presupposto è atteso a una prova ben più impegnativa. Il segno mimetico sotto il quale stiamo cercando di riunire tutta la poetica greca classica pare, infatti, non quadrare con l’inesorabile critica che Platone muove alla mimèsi poetica. Non è questa un’insormontabile evidenza contraria? Non è un’evidenza del fatto che già nel mondo della polis greca sia esistita una riflessione poetica di carattere antimimetico e che quindi la mimesis, piuttosto che come segno della poetica greca classica, vada interpretata solo come una teoria tra le altre dell’epoca? Se la risposta a questi quesiti fosse un sì senza riserve, ne andrebbe senz’altro del nostro presupposto. Ma ne andrebbe anche della stessa possibilità di fornire un’immagine unitaria della filosofia di Platone, troppo spesso sacrificata a schemi dottrinari che non le restituiscono la complessità e la problematicità che le sono peculiari.
La tradizione ci ha infatti consegnato una visione contrastante della filosofia di Platone. Contrastante fin nelle immagini che ci sono giunte della personalità del filosofo. L’immagine del fanatico allievo di Socrate che, interpretando la filosofia del maestro come uno sdegnoso rifiuto di tutto ciò che appartiene al mondo della sensibilità, arriva al punto di distruggere la propria opera poetica passata. Ma anche quella del pitagorico che, ancora in punto di morte, con un ultimo gesto della mano ridà il ritmo alla suonatrice che sta allietando il trapasso con la melodia di una cetra. Figure, queste e altre, che tutte riflettono incongruenze e aporie che appaiono effettivamente rintracciabili nella filosofia di Platone. Una filosofia che talvolta sembra propendere per la pura e semplice attestazione di un mondo di idee separate e iperuranio, a volte invece realizzare sotto i nostri occhi una concezione della totalità in cui mondo sensibile e mondo soprasensibile sono fusi in una meravigliosa armonia. Una filosofia in cui sta inscritta un’implacabile condanna della poesia e delle arti poetiche, ma anche capace di dare vita a dialoghi e miti di una bellezza ineguagliata. Che ritiene veramente degna di essere vissuta solo una vita teoretica, ma che poi ha uno scopo così apertamente politico e pratico da spingere Platone a farne un principio di azione politica e legislativa.
Ora, si può uscire da queste incongruenze? E poi che significa, davvero, uscirne? Non di rado ha significato semplicemente spezzare il nodo gordiano in un senso o nell’altro, riducendo la filosofia platonica a una o all’altra delle istanze che si vedono contrapposte. Non rimuovendo affatto le aporie, ma anzi estremizzandole e aggravandole di una unilateralità insostenibile. Una via d’uscita, invece, potrebbe trovarsi non tanto nel prendere posizione per l’una sopprimendo l’altra, ma nell’individuare, all’interno della viva filosofia dialogica di Platone, punti di osservazione da cui ricomprendere nella prospettiva più adeguata possibile i contrasti e le aporie che tendono a fissarsi nella sua ricostruzione dottrinaria.
Uno di questi luoghi della filosofia platonica è senz’altro l’interrogazione sulla mimesis e sulla poesia. Certo per la sua imponenza e urgenza: quasi non c’è dialogo – dai primi, cosiddetti socratici, fino alle Leggi – in cui Platone manchi di fare riferimento alla poiesis e ai problemi che essa implica. Niente meglio di tale urgenza, perciò, ci restituisce il senso della filosofia platonica, che non è quello di un astratto sviluppo di dilemmi dottrinari, ma quello di un’appassionata interrogazione filosofica che nasce dalla crisi in cui, nel momento storico in cui Platone vive ed opera, si dibattono i valori della paideia tradizionale. In questo senso, la riflessione poetica in cui cogliamo Platone offre una prospettiva fondamentale dalla quale poter guardare alle incongruenze presenti nei dialoghi. Una prospettiva che se non dà naturalmente soluzioni definitive, almeno ci aiuta a radicare la filosofia platonica nell’orizzonte storico che le è proprio, evitando fughe in avanti e permettendoci di cogliere tutta l’inadeguatezza delle astoriche sovrapposizioni che sono state apposte sul suo corpo vivo.
Ma la questione della mimesis è punto di osservazione privilegiato anche per una ragione insieme più immediata e più profonda. Perché mette in gioco, più e diversamente da ogni altro tema platonico, il problema della natura stessa del filosofare di Platone. Nella filosofia platonica si deve parlare di un’implacabile critica alla mimèsi poetica? Certo. Ma, nel contempo, in quale altro modo definire la filosofia di Platone se non come mimesis essa stessa, imitazione dei dialoghi tenuti da Socrate con i suoi concittadini?1 Nessuna grande filosofia è mai arrivata a pronunciare una condanna tanto severa dell’arte poetica in quanto poietike mimesis e dei poeti in quanto imitatori; ma nessuna grande filosofia ha mai posseduto, al tempo stesso, un segno mimetico così pronunciato. La filosofia di Platone è mimèsi. La critica che Platone muove alla mimesis si svolge in forma di mimesis. Vogliamo tralasciare questo dato, abbandonando in tal modo i dialoghi di Platone all’incoerenza e all’erranza, se non a vere e proprie contraddizioni? Oppure vogliamo cercare di assumerne la carica paradossale, tentando di capire le ragioni profonde e le ripercussioni che tutto ciò ha sulla sua riflessione filosofica e poetica?2
In questa seconda prospettiva, lo strappo inferto da Platone alla tradizione poetica greca appare subito sotto un’altra luce. Non come lo strappo di un filosofo razionalista che sta denunciando il ruolo fondamentale che il mythos ha occupato nella paideia dei greci per riassegnarlo, nel contesto del proprio progetto di attuazione della politeia, cioè della forma di governo ideale della polis, a un logos filosofico capace di tagliare i ponti con la tradizione mitopoietica. Ma, semmai, uno strappo interno al mythos stesso, un ripensamento della sua forma, che tuttavia non rimette affatto in discussione il ruolo che il mythos tradizionalmente detiene nell’educazione dei cittadini. A dimostrarcelo sta il fatto, incontrovertibile, che tutto il presunto impegno razionalizzatore della filosofia platonica si risolve, in definitiva, nella costruzione di una filosofia che, unica nella storia del pensiero occidentale, affida l’ultima parola, la parola sulle cose ultime, non al logos, alla dottrina e alla speculazione teoretica, bensì al mythos, realizzando alcune delle composizioni più belle e, dovremmo dire, più “poetiche”, di tutta la letteratura greca. Ma allora, come spiegare questi contrasti? E perché questo ripensamento?
Senza voler giungere a conclusioni che a questo stadio apparirebbero premature, si può però anticipare che le apparenti contraddizioni e i contrasti che vengono rintracciati nella filosofia platonica sono riconducibili a una ragione di fondo, la cui frequente inosservanza da parte degli interpreti è stata causa di non poche forzature e fraintendimenti. Sono riconducibili al fatto che la filosofia platonica contiene in sé non una ma due istanze conoscitive, distinte, ma solo a prima vista irriducibili l’una all’altra. Non la sola via dialettica può essere, infatti, percorsa all’interno della filosofia platonica. Alla via dialettica si affianca, talvolta correndole accanto in modo visibile, come avviene in dialoghi come il Fedro e il Simposio, talvolta intersecandola in modo sotterraneo, come avviene nella Repubblica, un’altra via: la via erotica3. Via senz’altro meno rigorosa – opinativa, doxastica, la definirà Platone – ma non per questo meno potente, che è capace di ricomporre in un unico disegno ciò che il rigore logico-dialettico separa per poter meglio determinare. Via demonica – un demone, infatti, è il suo nume tutelare: Eros – capace di rimettere in comunicazione e di rivelare qualcosa della koinonia, dell’arcana comunione tra mondo delle idee e mondo del divenire fenomenico, la cui separazione (chorismos), è da Platone imputata più ai limiti e alle debolezze della conoscenza umana che alla sostanza delle cose stesse.
Ora, se la potente via dialettica ci conduce in vista del Bene, alla sua cognizione “matematica” e al suo riconoscimento come aitia, causa della verità e della conoscenza, non ci può però condurre alla sua visione diretta, la quale, se e quando si dona – mai, comunque, completamente e una volta per tutte –, si dona non come frutto di un’operazione logico-conoscitiva, ma come frutto di un’attività che Platone ascrive, piuttosto, al campo della mania erotica, ossia a quell’ispirazione divina che permette all’uomo di effettuare i salti logici necessari per vedere il Bene4. Tutto ciò si riverbera perfettamente anche nella travagliata questione della mimesis; ed è proprio questo che cercheremo di vedere in questo capitolo.
1. Poesia ed educazione politica
È già di per sé significativo il fatto che Platone tematizzi per la prima volta la questione della mimesis non nella Repubblica, a proposito dell’arte poetica, ma in un breve passo del Cratilo – dialogo la cui composizione risale a un periodo senz’altro anteriore a quello della Repubblica – a proposito dell’arte onomastica, cioè del linguaggio e che già a questo livello si annunci quella duplicità che costituirà il tratto dominante di tutta la riflessione platonica sulla mimesis. Nel Cratilo, è il linguaggio come tale ad avere natura mimetica. «Il nome – afferma Socrate nel dialogo – è verosimilmente un’imitazione [mimema] per mezzo della voce di ciò che viene imitato e colui che imita [ho mimoumenos] denomina [onomazei] per mezzo della voce ciò che imita» (423 b-c). Ma come può Platone...
Indice dei contenuti
- Introduzione. Poetica antica ed estetica moderna
- Capitolo primo. Il problema dell’arte poetica nell’antichità greca
- Capitolo secondo. Platone: mimèsi poetica e mimèsi filosofica
- Capitolo terzo. Aristotele: «mimesis» e «praxis»
- Capitolo quarto. «Mimesis» e «allegoria»
- Conclusioni