1. Una nuova sintassi
dell’apparenza
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Il balcone di Édouard Manet è un quadro magnifico ed enigmatico [fig. 1].
Ritrae in primo piano due donne e un uomo affacciati dal terrazzo di una casa. Un velo di astratta tristezza avvolge queste tre persone. Ci stanno davanti assorte, distanti, del tutto perse nei loro pensieri. Ci piacerebbe tanto sapere cosa stanno pensando. Hanno appena interrotto una conversazione? Stanno per dirsi addio? O semplicemente stanno oziando, e guardano la gente e le vetture che passano, e il panorama che si offre loro, là davanti? Non lo sappiamo. Nessun elemento di sostegno, niente che sia stato scritto da Manet o da chiunque altro ci consente di scoprirlo. E allora? Questo quadro è una fonte iconografica persa per lo storico? Penso di no. Lasciamo perdere, almeno per il momento, le nascoste vie del cuore, e guardiamo a quanto di più superficiale possiamo trovarvi: osserviamo i vestiti e le acconciature. Vi scopriremo una traccia documentaria sorprendentemente ricca di suggestioni.
E dunque, torniamo a guardare Il balcone: le due donne hanno degli abiti meravigliosi, di un bianco abbagliante, vaporosi, pieni di disegni fatti di ricami e di trine: con sé hanno anche un ventaglio, un ombrellino, un cappello con una decorazione floreale. L’uomo, invece, è vestito in modo molto più austero: una camicia bianca risalta contro il completo nero; una cravatta blu scuro, quasi nero, si staglia sulla camicia bianca. È una divaricata sintassi dell’apparenza quella che si impone al nostro sguardo. Ciò che la lingua della moda ci dice, a chiare lettere, è che uomini e donne sono diversi, profondamente diversi gli uni dalle altre.
Non è sempre stato così. Nel cuore dell’epoca moderna gli abiti maschili e quelli femminili, pur differenti, avevano molti elementi in comune: tra le élites, le gorgiere, le crinoline, i tessuti dei medesimi colori erano impiegati tanto dagli uomini che dalle donne. Stesso discorso per le acconciature, con l’uso dei capelli lunghi o delle parrucche, sia per gli uomini che per le donne, tanto nel XVII che nel XVIII secolo. Ma tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento la sintassi dell’apparenza si separa nettamente: gli uomini portano i capelli corti e indossano vestiti in fondo non tanto diversi da quelli che si usano adesso, all’inizio del XXI secolo: pantaloni, camicia, giacca, a volte un gilet. Le signore, invece, sia quando stanno a casa, sia quando escono, indossano capi d’abbigliamento a volte bellissimi, ma impegnativi, pesanti, difficili da portare.
Guardiamo ad esempio le figure ritratte da Carl Begas in La famiglia Begas.
E ancora, La famiglia Bianchini di Antonio Ciseri.
Di che cosa ci parla questa divaricata sintassi dell’apparenza? Ci parla di una profonda distanza nei ruoli di genere, scandita dalla diversità degli impegni a cui gli uomini e le donne sono chiamati nella società borghese del XIX secolo. Sin dall’inizio dell’Ottocento i borghesi hanno bisogno di vestirsi in modo pratico, perché hanno cose da fare fuori di casa: devono prendere vetture, spostarsi, andare al lavoro, parlare di politica, incontrare gli amici in luoghi che sono esclusivamente riservati agli uomini, come i club, i circoli o i caffè. Alcuni esempi in due opere di Tissot: Andando al lavoro e Il circolo di Rue Royale.
E le signore che fanno? Chiuse nello spazio della domesticità , si occupano della gestione della casa, studiano canto o pianoforte, oppure ricamano e cuciono, mentre si occupano dei bambini e delle bambine. Ce lo mostrano Silvestro Lega, in Il canto di uno stornello, e Bernardino Pasta, in La prova della lezione.
E poi cos’altro? Incontrano persone estranee alla famiglia, ma sempre dentro lo spazio della domesticità : conoscenti, amici, parenti, fidanzati, spasimanti, con i quali dialogano amabilmente nel salotto o in veranda. Ecco Tissot, In veranda.
Escono mai queste signore? Fanno mai qualcosa fuori delle pareti domestiche? Sì, certo: accompagnate dalla figlia o da un’amica vanno a fare compere, visitano i negozi, si perdono nei grandi magazzini. Ancora Tissot, Giovani donne che osservano oggetti giapponesi.
Si tratta di una pratica più importante di quanto non sembri a prima vista, come notano già i contemporanei più sagaci. Émile Zola scrive un bellissimo romanzo che narra una storia ambientata in un grande magazzino ispirato al modello reale del Bon Marché, grande emporio parigino la cui nuova sede viene inaugurata nel 1867. Significativamente, il nome che Zola dà al grande magazzino nel quale si svolge la sua storia è Al paradiso delle signore, che è anche il titolo del libro, pubblicato nel 1883. Zola ha visto bene il fenomeno: lo shopping è lo spazio delle signore, il loro primo momento di piena libertà .
E va bene. Però, com’è mortificante questo sistema delle relazioni di genere! Gli uomini si occupano di politica, di questioni intellettuali, sono i breadwinners, quelli che guadagnano il pane per tutta la famiglia, e se di sicuro devono affrontare delle difficoltà sul lavoro, talora ne ricavano anche delle belle soddisfazio...