
eBook - ePub
Romanzi nel tempo
Come la letteratura racconta la storia
- 224 pagine
- Italian
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- Disponibile su iOS e Android
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Romanzi nel tempo
Come la letteratura racconta la storia
Informazioni su questo libro
Raccontare la storia attraverso i romanzi riserva molte sorprese...Con Guerra e pace, La capanna dello zio Tom, Madame Bovary, Il Gattopardo, Arcipelago Gulag, Tropico del Cancro, Il partigiano Johnny, Se non ora, quando?, Il padrino, nove storici ci fanno viaggiare nel passato in compagnia di grandi testi letterari.
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Informazioni
Argomento
LiteraturCategoria
Geschichte des 21. JahrhundertsAndrea Graziosi
La macchina del terrore.
A partire da Arcipelago Gulag
di Aleksandr Solženicyn
Aleksandr Solženicyn, Arcipelago Gulag, 1918-1956. Saggio di inchiesta narrativa, 3 voll., Mondadori, Milano 1974 [1972].
Solženicyn definì Arcipelago Gulag non un’opera letteraria ma un «saggio di inchiesta narrativa», anticipando così, a suo modo, tendenze forti della letteratura contemporanea: basti pensare a Svetlana Aleksievič, premio Nobel nel 2015, o prima di lei a Ryszard Kapuściński. Il suo libro era stato infatti costruito su testimonianze personali, in totale poco meno di 230, che il disgelo cominciato subito dopo la morte di Stalin aveva reso possibile comporre.
Sin dai tempi di Tucidide, le fonti orali, i racconti dei protagonisti hanno avuto un valore enorme per gli storici, e per i narratori, ma questo valore è stato spesso sottovalutato dopo che nell’Ottocento la figura dello storico si è molto professionalizzata. Anch’io sono un fanatico dello studio negli archivi, che trovo eccitante, ma mi è sempre molto piaciuto usare anche le testimonianze, di cui invece alcuni miei colleghi hanno quasi paura. Come anche Arcipelago Gulag dimostra, essi non hanno del tutto torto. Non c’è dubbio infatti che l’immagine ricostruita attraverso le testimonianze è imperfetta, dai contorni sfuocati, e ci rende una visione «esterna», colta appunto da osservatori, di fenomeni che invece gli archivi, specie se ben tenuti, riescono a far capire dal di dentro, nei loro sviluppi. Eppure senza testimonianze, con i soli archivi – archivi che spesso tra l’altro non sono disponibili, a volte vanno persi, a volte non colgono tutti gli aspetti della realtà – la storia talvolta non si può fare, e quella che si può fare è spesso arida, priva di umanità.
Il saggio d’inchiesta narrativa di Solženicyn è quindi un’opera straordinaria e anticipatrice, per di più composta senza conoscere quello che era stato pubblicato in Occidente, fin dagli anni Trenta, sui campi di lavoro sovietici. Le prime testimonianze scritte risalgono infatti al 1930, quando i forzati usati per caricare il legno – che veniva esportato per pagare le importazioni di tecnologia per l’industrializzazione – si nascondevano nelle navi, sbarcavano nei porti europei e a volte raccontavano la loro storia. C’erano poi state memorie famose, come quelle di Ciliga, della Buber-Neumann e del generale spagnolo El Campesino1.
Visto che si trattava di opere vietate in Unione Sovietica, Solženicyn non ne sapeva nulla. Egli era stato liberato dai campi dopo la morte di Stalin quando il Gulag come sistema, quello di cui avrebbe parlato nell’Arcipelago, era in fase di smantellamento, uno smantellamento portato per larga parte a termine prima del 1956. Tranne rare eccezioni, a coloro che uscirono allora dai campi non fu permesso di vivere nelle grandi città: essi furono assegnati a piccole cittadine periferiche e questa fu la sorte anche di Solženicyn, che iniziò a raccogliere testimonianze poco dopo il XX Congresso, e continuò a farlo negli anni chruščëviani del disgelo e della denuncia dei crimini di Stalin.
Mentre lo faceva, scrisse il suo primo famoso romanzo, Una giornata di Ivan Denisovič, che nel 1962 rischiò addirittura di vincere il premio Lenin per la letteratura. Subito dopo il XXII Congresso del Partito comunista, in cui vi era stata una nuova denuncia dello stalinismo, Solženicyn decise infatti di spedire il manoscritto a «Novyj mir», la più nota rivista progressista sovietica, dove fu letto con straordinaria eccitazione e proposto per la pubblicazione, che avvenne dopo non poche traversie; il volume fece subito scalpore, diventando il caso letterario dell’anno.
Solženicyn poté così continuare a raccogliere materiali. Tuttavia con l’avvento di Brežnev, all’inizio non esplicitamente ma in seguito in maniera sempre più chiara, diventò sempre più difficile farlo, anche perché lo scrittore aveva assunto un ruolo pubblico importante, sostenendo con coraggio le richieste di maggiore liberalizzazione. Le pressioni per impedirgli di continuare il suo lavoro si fecero perciò sempre più forti, e Solženicyn riuscì a concludere il manoscritto dell’Arcipelago solo grazie alla protezione di alcuni dei più famosi intellettuali sovietici, allora vicini a quel movimento che a breve si sarebbe trasformato in esplicito dissenso. Fu infatti nelle dacie di Rostropovič, il famoso violoncellista, e di Čukovskij, il più noto scrittore sovietico per bambini, che egli poté portare a termine il suo lavoro2.
Allora non c’erano i computer e di un’opera bisognava batterne a macchina più copie. La copia madre fu consegnata ad un estone, figlio del ministro dell’Istruzione ai tempi dell’indipendenza, prima della Seconda guerra mondiale. Altre copie furono distribuite ad amici fidati. La polizia politica era però sulle loro tracce e arrestò una delle dattilografe che, sottoposta a forti pressioni, confessò dov’era nascosta la copia da lei prodotta. Convinta che fosse l’unica, si sarebbe poi impiccata perché si sentiva colpevole di aver danneggiato la letteratura russa e tradito la fiducia riposta in lei.
Il manoscritto era però già arrivato in Occidente, e scrittori famosi come Heinrich Böll avevano giocato un ruolo importante in questo passaggio. Fu pubblicato a Londra in russo nel 1972, poi tradotto in Francia nel 1973, in Italia, negli Stati Uniti e in Inghilterra nel 1974, ed ebbe subito un effetto dirompente. In Francia, ad esempio, la nascita dei nouveaux philosophes, di una sinistra diversa da quella tradizionale, ha le sue radici proprio nelle reazioni alla pubblicazione di Arcipelago Gulag, che metteva, chi voleva vedere, di fronte alla realtà di quello che era stato forse il più grande sistema repressivo del XX secolo, durato grosso modo dal 1929-30 alla morte di Stalin, cioè per 25 anni.
Benché Solženicyn avesse appena vinto il premio Nobel, in Italia invece il romanzo fu ignorato. La recensione più importante, forse l’unica recensione importante, fu quella del 16 giugno 1974 sul «Corriere della Sera» di Pietro Citati, che scrisse: «Per coloro a cui la fortuna ha risparmiato una prova così atroce credo che sia più proficuo dimenticare del tutto». Tutto vero, quindi, ma meglio non parlarne. Tranne qualche eccezione, come Enzo Bettiza, altri scrittori e intellettuali importanti – di cui per carità si possono tacere i nomi – sostennero che il libro valeva poco, che si trattava dell’opera di un Dostoevskij da strapazzo, che era meglio lasciar perdere3. Immersa nell’esasperato clima ideologico degli anni Settanta, l’Italia restò quindi fuori dalla riflessione sulla storia sovietica, un’emarginazione intellettuale che la sinistra italiana avrebbe pagato a caro prezzo nei decenni successivi.
Il paradosso è che il libro sbatteva in faccia al mondo, e in particolare all’intelligencija progressista dell’Occidente, una realtà che non esisteva più, almeno nei termini in cui ne parlava Solženicyn, da quasi vent’anni. Si cominciava così a ragionare sull’Arcipelago Gulag quando quest’arcipelago era sprofondato. Di qui appunto gli effetti paradossali: chi negò l’importanza del libro, o ne fu infastidito, scelse di non pensare, chi ne fu colpito assimilò l’Unione Sovietica di Brežnev a quella staliniana che non c’era più, creando delle distorsioni prospettiche molto interessanti, simili a quelle che si sono prodotte anche dentro la storiografia più nota, se non più avvertita. Ad esempio in The Age of Extremes o Il Secolo breve, che in Italia ha avuto un successo straordinario, Hobsbawm tratta della repressione staliniana non nel capitolo sugli anni Trenta, quando essa ebbe luogo, ma nella parte sugli anni Cinquanta, quando fu denunciata al XX Congresso, come se quello che era accaduto prima della guerra fosse successo quando Chruščëv lo denunciò. Egli otteneva così il risultato di non scalfire l’immagine levigata degli anni Trenta come anni di lotta fra fascismo e antifascismo, una lotta guidata dai comunisti, attraverso la rimozione e lo spostamento di quanto quella immagine incrinava.
Arcipelago Gulag fu e resta dunque un libro scandaloso, che fa scandalo nel senso positivo del termine, perché è un libro che pone il lettore, e in particolare quello di sinistra, di fronte a un problema anche morale gigantesco, di reinterpretazione del XX secolo europeo e delle sue immagini più care, e lo fa in una maniera pesante, moralistica, difficile, ma anche con una forza straordinaria. Si può infatti senz’altro parlare di un titanismo di Solženicyn.
Nato nel 1918, questi era stato da giovane un comunista convinto e aveva anche lui sfilato inneggiando a Stalin quando il terrore era al picco. Partito come giovane ufficiale per il fronte, aveva partecipato, alla fine della guerra, alla terribile invasione della Germania, un’invasione condotta all’insegna dello slogan staliniano «Spezzare l’orgoglio della razza tedesca», un’esperienza poi descritta in versi drammatici:
un’alba / quale mai si era vista! Le nostre colonne avanzavano come lava. / Con grida selvagge, urlando, le luci accese – Klein Koslau, Gross Koslau – / ogni villaggio – è ora in fiamme. / Tutto brucia.
Proprio allora Solženicyn commise però l’ingenuità di criticare Stalin in una lettera a un amico, lettera che fu letta dalla censura e provocò il suo arresto nel luglio 1945, la sua condanna e la deportazione nel Gulag, da cui fu liberato nel giugno 1956. Egli vi fu quindi rinchiuso per alcuni anni, come di regola accadeva: il sistema repressivo sovietico non era infatti un sistema chiuso, in cui si entrava per morire o rimanerci tutta la vita. C’era chi vi restava per tre, cinque, o dieci e più anni, ma di regola, malgrado l’alta mortalità e le terribili sofferenze, la maggioranza ne usciva, salvo poi magari rientrarvi con un’altra condanna per poi riuscirne.
Nel sistema del lavoro forzato sovietico, di cui i lager del Gulag erano il vertice, vivevano alla morte di Stalin – quando il numero dei detenuti raggiunse il suo culmine – circa cinque milioni di persone. Si calcola tuttavia che dal 1930 al 1953 vi siano passate molte decine di milioni di persone. Si deve insomma immaginare, come vedremo meglio più oltre, un sistema con le porte aperte, che toccava/contaminava quindi tutta la società, e abitato in prevalenza da operai, contadini, gente di umile origine, vittime di repressioni sociali, e non un sistema nutrito solo dalla repressione politica e abitato da élites intellettuali o sociali, che furono sempre una minoranza dei prigionieri.
Solženicyn rielaborò la sua esperienza in romanzi bellissimi, artisticamente molto più potenti e suggestivi dell’Arcipelago. Il migliore è probabilmente Reparto C, forse il più bel romanzo sul risveglio sia di una persona dalla malattia sia di un paese dalla repressione, e quindi sulla guarigione morale e fisica, individuale e sociale. Ma il primo e più famoso resta Una giornata di Ivan Denisovič di cui ho già detto. Dopo il XXII Congresso, la rivista progressista cui l’aveva inviato decise di mandare il manoscritto a Chruščëv, che lo mise in discussione all’Ufficio politico. Ne nacque uno scambio interessante. Suslov, il principale ideologo del partito, si oppose alla pubblicazione non perché vi fossero scritte falsità ma perché, come disse apertamente, malgrado fosse tutto vero, o forse proprio per questo, bisognava temere le reazioni dei lettori. Chruščëv tagliò la testa al toro dicendo (cito testualmente perché Chruščëv è una delle figure più misconosciute, ma più drammatiche e interessanti del XX secolo): «Dobbiamo dire la verità su quel periodo, le generazioni future ci giudicheranno, quindi occorre fargli capire in che condizioni abbiamo dovuto lavorare, con che tipo di eredità abbiamo fatto i conti». Quella della verità era infatti una sua ossessione, una verità che non aveva paura di affrontare nemmeno quando parlava di sé, descrivendosi per esempio come un persona con «le braccia immerse nel sangue fino al gomito, [...] con una gamba nell’inferno e l’altra gamba che cerca di uscirne»4.
Una giornata così uscì, il suo successo fu straordinario, essa fu presto sulla bocca di tutti e naturalmente iniziarono anche le critiche. Solženicyn fu subito accusato di essere un esponente della destra nazionalista, accuse cui si aggiunsero in seguito anche quelle di antiliberalismo e antisemitismo. Non vi è dubbio che il suo pensiero, peraltro in evoluzione, fu sempre distante e diverso da quello del progressismo occidentale, e se sembra difficile parlare di antisemitismo nel senso proprio del termine, certo le posizioni di Solženicyn sui rapporti tra russi e ebrei sono quanto meno controverse. Egli inoltre è stato di sicuro un esponente del nazionalismo grande-russo, ma non tutti i nazionalismi e non tutti i nazionalisti sono uguali.
Oggi in Russia vige per esempio un’ideologia di Stato di chiara marca nazionalista – non è l’unico paese purtroppo, è una tendenza ormai comune con cui avremo a che fare forse per lungo tempo – in cui tutta la storia russa e sovietica è vista nel segno della costruzione dello Stato. Tutto quello che ha aumentato la sua potenza va bene, quindi Pietro il Grande va bene, come vanno bene anche gli altri zar costruttori, ...
Indice dei contenuti
- Per cominciare di Paolo Di Paolo
- Alessandro Barbero Napoleone e l’arte della guerra.A partire da Guerra e pace di Lev Tolstoj
- Alessandro Portelli Schiavitù e razzismo. A partire da La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe
- Alberto Mario Banti Interni borghesi. A partire da Madame Bovary di Gustave Flaubert
- Lucy Riall Garibaldi in Sicilia. A partire da Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa
- Andrea Graziosi La macchina del terrore. A partire da Arcipelago Gulag di Aleksandr Solženicyn
- Emilio Gentile Il disfacimento dell’Occidente.A partire da Tropico del Cancro di Henry Miller
- Alessandra Tarquini La Resistenza tra mito e realtà. A partire da Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio
- Anna Foa Ebrei sionisti e partigiani.A partire da Se non ora, quando? di Primo Levi
- Salvatore Lupo La mafia americana. A partire da Il padrino di Mario Puzo
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