II. «Mysterium iniquitatis». La storia come mistero
1.
Il titolo mysterium iniquitatis suggerisce senza ambiguità che in questione sarà qui una lettura del celebre passo della Seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi sulla fine dei tempi. Ho scritto “senza ambiguità”, perché ciò che è avvenuto nel nostro tempo è che una nozione genuinamente escatologica – il mysterium iniquitatis, appunto – che, come tale, non aveva senso che nel suo contesto, è stato strappato al suo luogo proprio e trasformato in una nozione ontologica contraddittoria, cioè in una sorta di ontologia del male. Ciò che aveva senso solo come philosophia ultima ha così preso il posto della prima philosophia.
Rileggiamo integralmente il passo della lettera paolina:
Noi vi chiediamo, fratelli, a riguardo della venuta di nostro Signore Gesù Cristo e della nostra riunione con lui, di non lasciarvi turbare nella vostra mente o spaventare da ispirazioni o discorsi o da una lettera che si pretende mandata da me, quasi che il giorno del Signore fosse imminente. Nessuno vi inganni in nessun modo: poiché se prima non verrà l’apostasia e non sarà rivelato l’uomo dell’anomia (ho anthropos tes anomias), il figlio della distruzione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, mostrandosi come Dio. Non ricordate che quando ero ancora tra di voi, vi dicevo queste cose? Ora sapete ciò che trattiene e sarà rivelato a suo tempo. Il mistero dell’anomia (mysterion tes anomias, che la Vulgata traduce mysterium iniquitatis) è già in atto; solo colui che trattiene, finché non sia tolto di mezzo. E allora sarà rivelato l’empio (anomos, lett. “il senza legge”), che il signore Gesù eliminerà col soffio della sua bocca e renderà inoperante con l’apparire della sua venuta – colui la cui venuta è secondo l’essere in atto di Satana in ogni potenza e segni e falsi prodigi e con tutti gli inganni dell’ingiustizia per coloro che si perdono perché non hanno accolto l’amore della verità per la loro salvezza (2 Tess. 2, 1-11).
Quando la Chiesa si interessava ancora alle cose ultime, questo passo straordinario aveva sollecitato in modo speciale l’acume ermeneutico dei Padri, da Ireneo a Girolamo e da Ippolito a Agostino. L’attenzione degli interpreti si era concentrata soprattutto sull’identificazione dei due personaggi che Paolo chiama “Colui – o ciò – che trattiene” (ho katechon, to katechon; nella Vulgata: Qui tenet, quid detineat) e “l’uomo dell’anomia” (ho anthropos tes anomias, lett. “l’uomo dell’assenza di legge”; nella Vulgata: homo peccati), o semplicemente ho anomos (“il senza legge”; nella Vulgata: iniquus). Quest’ultimo, a partire da Ireneo (Adv. Hereses, 7,1), benché Paolo non sembri conoscere il termine, è stato quasi costantemente identificato con l’Anticristo della Prima lettera di Giovanni (2,18). L’identificazione è stata così accolta da Ippolito, da Origene, da Tertulliano e, infine, da Agostino per poi diventare un luogo comune, anche se studiosi moderni l’hanno revocata in dubbio. In tutti questi autori l’Anticristo è sempre concepito come un uomo in carne ed ossa – un personaggio storico reale, come Nerone, o più o meno immaginario, come, secondo Ippolito, un certo Lateinos o Teitanos, così chiamato dal numero della bestia dell’Apocalisse. Come Peterson ha opportunamente osservato, anche se è al servizio di Satana, l’Anticristo è un uomo e non un demonio.
Chi è allora “colui o ciò che trattiene” e che deve essere tolto di mezzo perché l’Anticristo (più precisamente, secondo le parole di Paolo, il “senza legge”) possa avvenire? Vorrei cedere la parola ad Agostino che, nella Città di Dio (XX,19), ha commentato questo passo. Dopo aver scritto che il testo in questione si riferisce senza alcun dubbio alla venuta dell’Antricristo e che, d’altra parte, l’Apostolo non ha voluto esprimere chiaramente l’identità di “colui che trattiene”, perché si rivolgeva a dei destinatari che ne erano già a conoscenza, egli aggiunge: “Noi, che non sappiamo quel che essi sapevano, desideriamo ardentemente conoscere il pensiero dell’Apostolo, ma non ci riusciamo, perché le parole che egli aggiunge sono ancora più oscure. Che significa, infatti, ‘il mistero del peccato è già in atto, solo colui che trattiene, finché non sia tolto di mezzo; e allora sarà rivelato l’empio’?
Confesso di non intendere ciò che dice. Non tacerò, tuttavia, le congetture degli uomini che ho potuto leggere o ascoltare”.
A questo punto, Agostino raccoglie queste “congetture” in due gruppi:
“Alcuni (quidam) credono che ciò che è stato detto si riferisce all’impero romano e che l’Apostolo non l’ha voluto scrivere apertamente (aperte scribere) per non essere accusato di desiderare la rovina di quell’impero, che si pretendeva eterno. Le parole ‘il mistero del peccato è già in atto’ si riferirebbero dunque a Nerone, le cui opere assomigliano a quelle dell’Anticristo. Alcuni suppongono che egli resusciterà e diventerà l’Anticristo; altri pensano che non è morto, ma è stato rapito per far credere alla sua morte, mentre invece, nascosto nel fiore dell’età, sarà rivelato a suo tempo e assiso sul trono. La grande arroganza di queste ipotesi non cessa di sorprendermi. È possibile, tuttavia, che le parole ‘bisogna che colui che trattiene sia tolto di mezzo’ si riferiscano all’impero romano, come se l’Apostolo dicesse: ‘bisogna che colui che comanda sia tolto di mezzo’”.
Quanto al secondo gruppo di testimonianze, Agostino le riassume in questo modo:
“Altri pensano che le parole dell’Apostolo riguardino unicamente i malvagi e gli ipocriti che sono nella Chiesa, fino al momento in cui il loro numero formerà il grande popolo dell’Anticristo. Sarebbe questo il mistero del peccato, poiché è nascosto e credono che a questo mistero si riferisca l’evangelista Giovanni nella sua lettera... Come nell’ora, che Giovanni chiama ultima, molti eretici, che egli chiama Anticristi, sono usciti dalla Chiesa, così quando verrà il momento ne usciranno tutti coloro che non appartengono a Cristo, ma all’ultimo Anticristo, che allora sarà rivelato”.
2.
Anche se Agostino non menziona alcun nome, è possibile, tuttavia, identificare gli autori a cui si riferisce. I quidam del primo gruppo si lasciano iscrivere senza difficoltà nel solco di Girolamo, che si è occupato dell’interpretazione della lettera paolina fra l’altro nella sua lettera ad Algasia. È questa interpretazione che Agostino cita, quando dice che l’Apostolo non ha voluto scrivere apertamente per non essere accusato di desiderare la rovina dell’Impero che si pretendeva eterno (Girolamo aveva scritto: nec vult aperte dicere Romanum Imperium destruendum, quod ipsi qui imperant aeternum putant – Girolamo, p. 18).
La seconda ipotesi, che identifica il katechon con la Chiesa, proviene da un autore che ha esercitato un’influenza determinante su Agostino, Ticonio. Si tratta di un personaggio straordinario, senza il quale Agostino non avrebbe potuto scrivere il suo capolavoro, La città di Dio, poiché è da lui che egli ha tratto tanto l’idea delle due città che quella della Chiesa come permixta di bene e di male. Ma Ticonio è importante anche perché ha realizzato con un anticipo di quindici secoli il programma benjaminiano, secondo il quale la dottrina può essere legittimamente enunciata solo nella forma dell’interpretazione.
Il suo Liber regularum, che viene considerato come il più antico trattato di ermeneutica sacra, ha, infatti, questo di particolare, che le regole che permettono l’interpretazione delle scritture coincidono con la dottrina (che è, in questo caso, una ecclesiologia).
La seconda regola, che porta la rubrica De Domini corpore bipartito (“Sul corpo bipartito del Signore”), ci interessa qui in modo speciale. Secondo Ticonio, il corpo di Cristo, cioè la Chiesa, è costitutivamente diviso. In riferimento al versetto del Cantico dei Cantici, che egli legge in una traduzione che recita fusca sum et decora, egli distingue una Chiesa nera, composta dal populus malus dei malvagi, che formano il corpo di Satana e una Chiesa decora, onesta, composta dai fedeli di Cristo. Nello stato presente, i due corpi della Chiesa sono inseparabilmente commisti, ma, secondo la predizione dell’Apostolo, si divideranno alla fine dei tempi: “Questo avviene dalla passione del Signore fino al momento in cui la Chiesa che trattiene sarà tolta di mezzo dal mistero del ...