IV.
Al cuore della crisi
Le prime file cadono: i religiosi
Che cosa si è rotto nel rapporto della gente con la Chiesa? La rivoluzione del ’68, fallita politicamente ma antropologicamente efficace, è nel cuore di una rottura non solo in superficie. Questa è emersa con il tempo e, soprattutto, con l’affacciarsi delle giovani generazioni. È affiorata anche da percorsi sotterranei. Il che non vuol dire però che non ci siano ancora persistenze e stratificazioni del cristianesimo.
C’è un ambiente che, a mio avviso, è espressione chiara (e molto identificabile) di questa rottura: le religiose e i religiosi. I religiosi sono stati la punta di lancia della Chiesa: tra loro si realizzava l’appartenenza più completa alla Chiesa. Si praticavano la comunione dei beni e la vita comunitaria, un ideale fin dagli Atti degli Apostoli. Proprio tra i religiosi si verificava la fusione più intensa delle persone con la missione affidata. A loro, la Chiesa deve molto delle sue svolte e del suo lavoro quotidiano.
D’altra parte costituivano una rete importante. La figura della suora esprimeva il volto più noto del cattolicesimo al femminile. E l’attività missionaria delle Chiese europee fuori dal Vecchio Continente era condotta in larghissima parte dai religiosi. Il cattolicesimo olandese, minoritario rispetto ai protestanti, fino agli anni Sessanta, era fra gli europei quello che inviava il più alto numero di missionari nel mondo. Era un’estroversione religiosa che corrispondeva alla natura, appunto, estroversa del piccolo paese europeo su altri campi, come quelli commerciale o coloniale.
Del resto, la vita religiosa è una delle grandi caratteristiche della Chiesa cattolica. La Riforma protestante l’ha abolita, anche se ci sono state ridotte rinascite in ambito evangelico e anglicano. Nel mondo ortodosso e delle antiche Chiese cristiane sopravvive, e in alcuni paesi prospera, il monachesimo, ma quasi mai in forme composte con la vita attiva. Tra i cattolici, accanto al monachesimo femminile e maschile, nei secoli si sono sviluppate varie forme di vita religiosa: i grandi ordini mendicanti francescani o i domenicani; le congregazioni dopo il Concilio di Trento, tra tutte i gesuiti; infine le congregazioni ottocentesche e novecentesche, dai caratteri più diversi.
I religiosi gestivano opere importanti, animavano le missioni, educavano i giovani guidando scuole e università, aggregavano i laici, fornivano effettivi con capacità di mobilità secondo le esigenze più varie, erano impegnati nel settore sanitario, collaboravano con la pastorale, s’impegnavano nella cultura e nella comunicazione, sostenevano la parrocchia e tant’altro. Insomma, i religiosi rappresentavano il vero braccio “armato” della Chiesa. Si tratta anche di un mondo imponente di opere, di edifici, di proprietà, d’iniziative, gestito con una certa autonomia dalla gerarchia.
Dai ranghi dei religiosi sono tratti numerosi sacerdoti, dai parroci ai vescovi, sino – è un’eccezione finora – all’elezione di un papa gesuita nel 2013. L’ultimo papa religioso era stato, nel 1831, Gregorio XVI, morto nel 1846, appartenente alla piccola congregazione monastica cenobita camaldolese. Non è casuale che in un tempo di crisi, nel secondo decennio del XXI secolo, sia stato scelto un papa gesuita, anche se con posizioni piuttosto critiche rispetto all’establishment della Compagnia, che nel post-Concilio è in fase calante come numero di effettivi. Come non è casuale che questo papa si serva talvolta dei gesuiti, non per “nepotismo”, ma per avvalersi della collaborazione di personale sintonico in un ambiente curiale in cui sembra non trovare troppe corrispondenze.
Le comunità religiose, i grandi monasteri, quelli di clausura, i conventi, gli istituti delle congregazioni più moderne, le opere, costituiscono, per così dire, lo spazio della Chiesa, pur immerso nella vita quotidiana. Sono il mondo della Chiesa per eccellenza: la realtà più sintonica, talvolta la più disponibile all’estroversione nel mondo, fino alle grandi imprese missionarie. Tra i religiosi, i destini individuali si sono fusi, attraverso l’obbedienza, nel progetto della congregazione o in quello che si riceve dalla Chiesa, in cui la persona consacrata s’identifica con le scelte di povertà e castità. Il tutto in maniera più intensa e mobile del clero diocesano. Questo universo, vitale per la Chiesa, è stato toccato da una crisi profonda.
Lo storico che voglia andare a fondo nei motivi della crisi (e sia consapevole di come non sia facile scandagliare le vicende personali) deve però registrare tra i religiosi un fenomeno in controtendenza: il coraggio con cui donne e uomini consacrati vivono ancora il loro lavoro. Va usata l’espressione in auge con Giovanni Paolo II: i nuovi martiri. Un gran numero di suore e di religiosi, talvolta missionari, sono caduti – anche anziani – per la scelta di restare al servizio anche in situazioni difficili: colpiti dalla violenza delle mafie, dalle guerre, dalla criminalità, dalle epidemie, dall’odio religioso e via dicendo. Seppure c’è crisi nel numero dei religiosi, non si assiste in genere nel Novecento a una fuga dei religiosi dalle situazioni difficili (anzi ci sono religiosi martiri).
Subito dopo il Vaticano II, i religiosi hanno vissuto con entusiasmo una sperimentazione che ha rimesso in discussione le modalità di vita, di preghiera e di azione, l’impostazione delle comunità, gli abiti, le tradizioni, ereditati dal passato (ma già nel periodo preconciliare alcuni avvertivano criticamente in taluni settori la rigidità del sistema). Si pensi che le monache di clausura celebravano l’ufficiatura corale – varie ore in coro a pregare – in latino (lingua che generalmente non capivano). Era una tradizione millenaria, ma un vero controsenso.
La stagione di rinnovamento postconciliare è segnata da parecchi abbandoni e dalla decrescita delle vocazioni. Le cifre sono impressionanti per le religiose. Le prime dieci congregazioni femminili conoscono dal 1965 al 2005 un crollo di effettivi. Le vincenziane, così importanti nel mondo della carità, calano del 52%; le suore di Maria Bambina del 42%; le benedettine (monache) del 37%; le clarisse (monache francescane) del 23%... Impressionante è il crollo delle scolastiche, delle suore del Cottolengo, che si riducono ad un terzo. In controtendenza sono le suore di Madre Teresa, circa 5000, che vivono un contatto vivo con i poveri e godono della guida carismatica della fondatrice.
Riduzioni importanti avvengono anche nello stesso lasso di tempo tra i religiosi. I gesuiti calano del 44%, i salesiani del 24%, i frati minori del 41%, i benedettini confederati del 35%, i domenicani del 39%, i fratelli delle scuole cristiane del 68%, i maristi del 57%, i lazzaristi del 32%, i passionisti del 47%, i cistercensi del 42%, i padri bianchi del 49%, gli scolopi del 45%. Solo cinque congregazioni maschili con più di 1000 consacrati hanno un andamento positivo. Prima di tutto i Legionari di Cristo, con una crescita del 682% (colpiti poi dalla crisi riguardante il fondatore, Marcial Maciel Degollado, un personaggio dalla vita personale improbabile, oltre che segnata da scandali morali), i missionari di san Francesco di Sales, i carmelitani, i comboniani, una congregazione di origine indiana.
I gesuiti, in particolare, sono passati da 36.000 nel 1966 a 28.000 nel 1976. Al calo numerico si aggiunge la crisi di rapporti tra il preposito generale, padre Arrupe, e Paolo VI e poi Giovanni Paolo II, che rimproverano alla Compagnia l’orientamento politico e progressista di alcuni settori, mentre lamentano il distacco della congregazione, strumento prioritario dell’azione del papa (molti gesuiti si legano con il “quarto voto” all’obbedienza al papa, che può inviarli ovunque in missione). Molto forte è la crisi delle congregazioni insegnanti, maschili e femminili.
L’Annuario statistico della Chiesa del 2018 registra che i professi non ordinati sacerdoti continuano a diminuire. Tra il 2013 e il 2018 il gruppo si contrae di quasi l’8%, passando da 55.000 unità a 51.000. Anche il numero delle religiose professe, nell’arco del pontificato di Francesco preso in esame, si riduce del 15% in Europa. Complessivamente queste passano da 694.000 a 642.000, calando di 52.000. Solo in Africa e in Asia, in controtendenza, aumentano le religiose.
Che cosa è dunque successo dopo il Vaticano II? Il rinnovamento postconciliare dava più spazio ai singoli religiosi, a forme di vita meno conventuali, alla vicinanza alla gente, a sperimentazioni, al recupero delle intuizioni di fondazione. Un mondo fino allora piuttosto istituzionalizzato entrava in un movimento molecolare di cambiamento e di esperienze.
Si trattava di un passaggio, più che della nascita di una nuova stagione di vita religiosa, ma tale passaggio non fu senza conseguenze su opere, istituzioni e strutture gestite dai religiosi, che rappresentavano un patrimonio importante, in larga parte costruito con l’aiuto dei fedeli: queste realtà venivano talvolta chiuse, delegate ai laici, cedute, in certi casi svendute con poco controllo e senza una visione complessiva. Talvolta collaboratori interessati o altri hanno approfittato dell’ingenuità dei religiosi. È un capitolo che può sembrare secondario, ma il fenomeno ha cambiato il panorama “religioso” e urbano di molte città. È mancata una riflessione, anche per la limitata autorità dei vescovi in materia.
Questo è avvenuto a un secolo (in Italia) dalle leggi dell’asse ecclesiastico, che sopprimevano tante istituzioni religiose, e a meno di un secolo dalla legge del 1905 in Francia, che chiudeva le case religiose. Allora gli edifici religiosi furono spesso messi ...