Il parlar figurato
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Il parlar figurato

Manualetto di figure retoriche

  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il parlar figurato

Manualetto di figure retoriche

Informazioni su questo libro

Perché «sei un pozzo di scienza» ma «non riesci a cavare un ragno dal buco»? Per scoprire cosa c'è dietro queste curiose espressioni, in che cosa consista il parlar figurato, questo libro è un'ottima guida: con stile e chiarezza impeccabili svela l'identità, il nome e le funzioni di modi di dire fra i più sorprendenti dell'italiano comune e letterario.

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Informazioni

II. Come creare significati complessi

1. Quando un senso figurato diventa il senso «proprio»: la catacresi

Le bottiglie non sono animali, eppure hanno il collo; non sono animali né i tavoli né le montagne, ma diciamo senza scomporci che i primi hanno le gambe e le seconde la cresta e i fianchi. In quanto ai piedi, qualsiasi mobile li può avere; e si può stare ai piedi di un albero, di una collina, di un monte, di un edificio. I fiumi hanno un letto, le montagne formano catene, le insenature sono seni, i rami possono appartenere, oltre che agli alberi, a chissà quante cose, materiali e immateriali («Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi»), si fa la coda davanti a uno sportello, si può stare alla testa o a capo di un gruppo. E potremmo continuare ancora per un bel pezzo enumerando oggetti e situazioni che si designano normalmente facendo un uso figurato, o meglio estensivo, dei termini che servono a nominarli. Ai retori antichi questo parve un «uso deviato», cioè un «abuso»: tale è il senso del grecismo catacresi, di cui ci serviamo per dire che un senso figurato è diventato abituale, e quindi «proprio» di una determinata parola o locuzione.
Un tropo si trasforma in una catacresi semplicemente diventando abituale. Si diffonde in più generi e tipi di discorso e sostituisce altri modi di dire non figurati. È la sua fortuna ad oscurarne, anche se non del tutto, la primitiva natura tropica. Ciò che contribuisce in modo massiccio a determinare una catacresi è la «necessità». Questa può essere dovuta a una mancanza o insufficienza nel lessico di una lingua. Quando si deve designare un oggetto o una nozione per cui una lingua non possiede un vocabolo specifico si ricorre o a un neologismo o all’uso estensivo di un termine già esistente nella lingua medesima. Così hanno avuto origine il collo della bottiglia, le gambe del tavolo, il letto del fiume, la cresta e la catena delle montagne: estensioni dell’uso di parole che designano parti di individui o oggetti diversi da bottiglie, tavoli, fiumi, montagne.
La catacresi ha un ruolo importante nella formazione del lessico di una lingua. È un fattore di polisemia, cioè di pluralità di significati per una stessa parola. L’esempio calzante ci viene proprio dal collo della bottiglia, che il dizionario Palazzi Folena registra non come uso estensivo, ma come uno dei significati (propri) del termine collo: «la parte superiore, assottigliata, di bottiglie, fiaschi, anfore e simili». Tale significato è la conseguenza di una catacresi. Che ha dunque la funzione di riempire un vuoto nel lessico. Perciò essa risponde a un’esigenza di economia: si usufruisce del già esistente anziché introdurre neoformazioni.
Altra cosa dalla catacresi sono i traslati non più tali: metafore, ma anche sineddochi, metonimie, iperboli ecc. spente, il cui passato valore è riconoscibile solo per mezzo dell’etimologia.
Il termine latino testa (da cui deriva la parola italiana corrispondente) significava, originariamente, «guscio di tartaruga»; per estensione passò a designare un qualsiasi recipiente cavo, e in particolare una «pentola di coccio»; di qui divenne metafora per caput. L’origine metaforica di testa è reperibile soltanto attraverso la storia della parola e non nel confronto sincronico con il sinonimo capo.
Una catacresi o un tropo spento possono sempre essere rivitalizzati. Questo capita soprattutto in poesia, ma anche nei giochi di parole, nel racconto fantastico, nella creazione simbolica, nell’invenzione estemporanea del discorso quotidiano: in generi e forme svariate, insomma, della comunicazione sia usuale sia letteraria. Quando Gadda scrive: «forsennato trepestio di bipedi fra quadrupedi seggiole» ridà vita retorica all’immagine «gambe e piedi delle sedie», trasformando una catacresi in un uso figurato.
Catacrèsi (o catàcresi): in greco katáchrēsis «abuso» (tradotto in latino con abusio), dal verbo katachráomai nel senso di «io abuso» (lo stesso verbo ha anche il significato non peggiorativo di «io adopero, uso, mi valgo ecc.»; altrettanto si dica per il nome che ne deriva). Nel latino tardo fu usato anche il grecismo catachrēsis.

2. La metafora

Di tutte le figure retoriche la metafora è la più facile da riconoscere e la più difficile da definire. È un «meccanismo» presente in ogni lingua, a disposizione di ognuno. Non c’è affatto bisogno di nozioni teoriche per farlo funzionare e per accorgersi che funziona. Ebbene, un meccanismo così universale e così alla portata di tutti ha resistito ai più svariati tentativi di spiegarlo in modo completo e omogeneo, perché, in ogni caso, ha travalicato i limiti e le competenze delle singole discipline che l’hanno affrontato. Dare una definizione sintetica della metafora è impresa illusoria: perché, se sembra semplice capirla, non è affatto semplice l’azione dei dispositivi mentali che permettono di produrla e di interpretarla.
Le tradizionali, e tutte insoddisfacenti, definizioni della metafora si possono compendiare nella seguente: sostituzione di una parola con un’altra il cui senso letterale ha una qualche somiglianza col senso letterale della parola sostituita. Questa definizione è conforme all’antica concezione dei tropi come «figure di sostituzione» che vertono su parole singole. Il procedimento generatore della metafora sarebbe la contrazione di un paragone: un’entità viene a identificarsi con quella con cui è confrontata. Di qui la definizione di metafora come «similitudine abbreviata»: «Quel ragazzino è uno scoiattolo» = «agile e svelto come uno scoiattolo».
Ma i rapporti fra metafora e paragone non sono così semplici. Le differenze non si riducono alla presenza e all’assenza della congiunzione come, che è il segno esplicito del confronto. Quando si fa un paragone si mostrano separatamente le affinità e le differenze fra le due entità che vengono confrontate, mentre in una metafora le due entità vengono fuse in una. Inoltre, diverse specie di paragone non possono essere «condensate» in metafore: «Quella ragazza è alta come sua madre» non può equivalere a: «Quella ragazza è sua madre» (mentre «Quella ragazza è robusta come una quercia» può ben diventare «Quella ragazza è una quercia»).
Invece di definire la metafora, vediamo qualche esempio dei principali tipi di questa che è stata chiamata «la regina delle figure», «il tropo dei tropi». Distinguiamo prima di tutto le metafore «d’uso» e quelle «di invenzione». Le prime le conosciamo già: sono catacresi di metafore, a cui aggiungiamo stereotipi che, logorati da un più o meno lungo servizio, non hanno tuttavia cessato di essere percepiti come traslati: il dente/il dorso della montagna; l’occhio del ciclone; la testa di ponte. Basterebbe sfogliare un dizionario per trovarne moltissime altre. Sono dette metafore di denominazione, perché servono a «dare il nome» ad entità che non ne hanno un altro. Altri stereotipi metaforici («a monte di...», «al limite» e simili) prima di essere metafore d’uso sono stati metafore di invenzione. È stato detto, esagerando, che il linguaggio non figurato altro non sarebbe se non un cimitero di traslati (e anche questa è una metafora).
Le metafore di invenzione pullulano in ogni tipo di discorso. Esempi da testi specialistici:
Processo a due anime. [...] Il processo risulta diviso in due: istruzione e dibattimento.
(Cordero 1991, p. 64)
In Italia la produzione di robot ha allungato decisamente il passo.
(Come si legge «Il Sole 24 ore», II,
Edizioni del Sole 24 Ore, Milano 1987, p. 35)
Ecco due titoli tratti da un inserto scelto a caso, riguardante l’economia («la Repubblica Affari & Finanza», 12 maggio 1992):
«A venti all’ora la corsa verso il baratro» (p. 1)
«Cartella clinica sulla salute delle Borse» (p. 1)
Il primo esempio è doppiamente figurato: la corsa verso il baratro è l’andamento dell’economia italiana, e i «venti all’ora» non sono chilometri, sono miliardi. Il secondo contiene una metafora medica (la salute delle Borse); l’immagine della «cartella clinica» ne è uno sviluppo.
I testi letterari sono i più adatti a mostrare come sia illusoria la pretesa di trovare espressioni «letterali» che possano sostituire quelle figurate. Quando Leopardi scrive, nel Passero solitario, «Primavera dintorno / brilla nell’aria» ci dà un’immagine insostituibile, e non solo perché fa parte di un testo poetico. Il verbo brillare, che il poeta usa in senso metaforico, non ha nessun possibile «sostituto letterale» perché la figura non è limitata al predicato, ma si proietta sul suo soggetto. È dunque la primavera ad essere vista metaforicamente. Questa metafora leopardiana si può parafrasare, si può spiegare, ma non si può convertire in un’espressione «propria», non figurata.
Aggiungiamo che le metafore verbali differiscono sostanzialmente dalle nominali perché non «sostituiscono» un’azione, ma cambiano il significato dei nomi connessi al verbo. Nel seguente passo la notte è trattata come un (mostruoso) essere animato, per effetto dell’azione inghiottì:
Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire allora né dopo: la notte li inghiottì, puramente e semplicemente.
(Levi...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. I. Le figure del discorso
  3. II. Come creare significati complessi
  4. III. Effetti speciali della sinonimia
  5. IV. Trovare le somiglianze
  6. V. Giocare con le parole
  7. VI. Il parlare in breve
  8. VII. Il silenzio
  9. VIII. Il parlare sentenzioso
  10. IX. Mettere davanti agli occhi
  11. X. Indugiare, rifinire, spiegare
  12. XI. Forme dell’accumulazione
  13. XII. Parentesi e digressioni
  14. XIII. Drammatizzare il discorso
  15. XIV. Forme della ripetizione: parallelismi sui vari livelli del discorso
  16. XV. Mettere gli opposti in parallelo
  17. XVI. Cambiamenti nell’ordine delle parole e delle idee
  18. XVII. Effetti speciali di anomalie sintattiche e semantiche
  19. XVIII. Raffigurare con i suoni
  20. Riferimenti bibliografici