Sapore di note
eBook - ePub

Sapore di note

I miei affetti, i miei valori, le mie passioni

  1. 172 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Sapore di note

I miei affetti, i miei valori, le mie passioni

Informazioni su questo libro

Un mestiere difficile, i molti incontri, gli ambienti più disparati. Gino Paoli ripercorre partenze e ritorni, digressioni e interludi, musica e testo della sua vita, in un viaggio che ha il sapore di un'epoca.«Non potrei mai cantare la medesima canzone da più di quarant'anni – pensate ai miei 'classici', siano La gatta o Il cielo in una stanza – se ogni volta non fosse per me un'emozione diversa. E può succedere l'impensabile; che una serata, un certo pubblico, o un sogno fatto la notte prima, oppure un sorriso inaspettato che qualcuno mi ha rivolto durante la giornata, mi sbattano contro la canzone con un'intensità e un avvertimento di irripetibilità tali che, quando ci sono dentro fino al collo, non so più se l'ho già cantata, o se la sto scrivendo lì su due piedi. Magari mi sta componendo lei.»

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Sapore di note di Giovannni Paoli,Gino Paoli in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Sapore di note

Ogni riferimento a fatti o persone reali È puramente inventato

Alcuni anni fa uno dei pochi veri amici che ho, Arnaldo Bagnasco, mi chiamò per informarmi che voleva scrivere un libro su di me1. «Dobbiamo vederci», fa, «e parlare un bel po’». «Passiamo notti intere e albe a raccontarci di tutto da che eravamo ragazzi, che cosa dirti che già non saprai?».
Finii per dargli retta. Venne a cena a casa mia e cominciammo. Se io ricordavo un fatto vissuto insieme, lui interveniva raccontando un dettaglio che ne evocava un altro a me e avanti così, passandoci una palla che avrei creduto a scacchi bianchi e neri. Invece era di tanti colori, che cambiavano rotolando come fosse stata fotosensibile. Ricordavamo un’esperienza comune in due modi diversi, che parlando ne creavano un terzo, un quarto e avanti finché non finiva il whisky.
Mi guardo le spalle, perché non so mai che cosa aspettarmi dal passato. E c’è chi vorrebbe leggere il futuro! Io faccio fatica a sapere che cosa è stato ieri, con l’oggi mi arrabatto, il domani è una sbronza di possibilità: «Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognino nella vostra filosofia...»2.
Sarà perché, nel mio sistema immunitario, ho la fortuna di avere un anticorpo al dualismo se oltre al cielo e alla terra cerco sempre un’altra risorsa, il mare. Sarà perché lo vivo come una condizione, esattamente come le altre due. Per me il mare è come l’aria che respiro o i pomodori che mangio, è necessario.

Comincio bene

Sono fuori, è il 23 settembre 1934 e in una villetta primi Novecento di Monfalcone scalcio e caccio i primi strilli. Un omone piange, mio nonno Gino Paoli, per la prima e unica volta nella sua vita. Una piccola donna è sfinita, è mia madre che ha patito due giorni di travaglio. Ieri e qualche centinaio di chilometri più a ovest, in una clinica milanese, un’altra partoriente ha dovuto penare altrettanto: la mamma di Ornella Vanoni. Come piantagrane cominciamo bene.
Vi sarebbe abbastanza per essere riconoscente verso i miei genitori, soltanto nel nome che hanno voluto io porti. La barca tipica di Genova è il gozzo, una specie di mezza noce che a rovesciarla ci vuole una burrasca giapponese. Il nome di mio nonno e tutto quello che ho avuto da lui saranno la chiglia giusta per salvarmi dalle alzate di maestrale o sfruttare i favori delle tramontane. La robustezza dei legnami e delle colle, la perizia nel gioco di perni del timone verranno da mio padre.
Nonno e papà sono quelle paste d’uomini che in Toscana, nella zona di Piombino che condivide con la Maremma la macchia e i butteri, si possono ancora qualche rara volta incontrare. Gino è stato piegatore negli altiforni. Aldo, uno dei suoi figli, studierà e diventerà un’autorità nell’ingegneria navale. Incontrò la donna giusta a Monfalcone, quando lavorava ai cantieri navali militari che facevano la fortuna di quel porto affacciato sull’Istria. Si chiamava Caterina Rossi, ma tutti l’hanno sempre chiamata Rina. Di geni austriaci, minuta ma tonda, aveva una voce sottile e tesa e somigliava a Virginia Woolf, mentre mio padre ricordava Humphrey Bogart, vuoi per la solennità del volto vuoi per la gravità del timbro di voce. Un po’ anche Spencer Tracy, direi.
Rina era così religiosa, così devota, così imbevuta della Parola di Dio da confessarsi affranta con il prete dopo quelle tribolate e saltuarie occasioni in cui la fibra sanguigna di mio padre la piegava ai suoi doveri coniugali. Credo che per tutti la sessualità dei propri genitori sia persino più enigmatica della propria: nel mio caso, sapere di un nonno che a ottant’anni si appassionava ancora alla moglie almeno un paio di volte alla settimana, prima del rituale pisolino pomeridiano; vedere suo figlio amare, con tutta l’anima, una donna che pensava la carnalità come il diavolo, che ti spia dai piedi del letto; ne ho a sufficienza per rischiare una certa confusione e una vaga insofferenza alla presunta linearità della rotta coniugale. Per non parlare della mia perplessità all’idea stessa di monogamia sessuale. Tra i miei avi ne conto anche uno impiccato come ladro di cavalli: siamo di una razza un po’ brigante. Mentre mio padre si prepara a sturare la bottiglia tenuta da parte in mia attesa, mia madre tira il fiato e nonno Gino ingoia gli ultimi singhiozzi, l’avventura ormai è iniziata e non ho nessuna voglia di tirarmi indietro per qualche dubbio. Anzi.

Uomo scimmia

Uno dei miei sogni ricorrenti è volare. Non molto originale, mi rendo conto. È che io volo solamente in casa. Levito a un’altezza modesta, probabilmente pari alla statura media di un uomo: sulla sala, sulla cucina, placidamente e lentamente, prendendomi tutto il tempo necessario per osservare il susseguirsi di pavimenti, mobili e presenze, umane e animali. A volte penso addirittura che lo scimmione dentro di me cerchi così di liberarsi dalla posizione eretta, orientando il suo asse parallelamente al suolo. La postura verticale ha gerarchizzato la nostra visione delle cose, stabilito preferenze: siamo bipedi perché abbiamo scelto di privilegiare mani e occhi rispetto a naso e piedi. Da quadrupedi ci orizzontavamo meglio, paralleli al suolo e al cielo, orizzontali come il movimento naturale dei pesci e delle barche. Io non so se sono convinto che l’invenzione fondante per la specie umana sia stata la ruota. Sospetto invece che il punto di svolta fu costruire il primo muro. Di sassi, o fango, per recintare un campo o delimitare un rifugio. Quando ci arrampicavamo sugli alberi avevamo meno bisogno di proteggere noi stessi e la nostra prole dai predatori erigendo barriere. Scappavamo lassù tra i rami e aspettavamo che l’affamato si stufasse del nostro odore. Non invidiavamo granché gli uccelli che se ne stavano posati attorno senza temerci (finché siamo stati vegetariani). Una bella liana e via, anche se non era volare era certo divertente. Chissà, magari i bambini amano tanto le altalene perché in fondo sono più scimmiotti che angioletti.
Nel momento in cui il bipede sapiens ha scoperto il muro, secondo me ha posato la prima pietra di un progetto che non sfiorava nemmeno la sua immaginazione. Diventare un animale domestico. Tra le cose che fanno uomo l’uomo, penso che la prima sia la casa. Il mio sogno ricorrente lo leggo alla rovescia: tutto flotta, io sono stanze, pareti, pavimenti, piastrelle e stipiti, porte e finestre. Danziamo un valzer, mentre il mio corpo subisce nel sonno l’attrazione gravitazionale. Gino, o quel qualcosa di finito e dotato di massa che sta attorcigliato nelle lenzuola, in sostanza equivale al materasso, alla testiera del letto o al comodino, le cose, più che animarsi, sono tutte le mie anime esattamente quanto io sono la loro anima. Non potremmo vivere l’uno senza le altre. Da ogni casa che mi ha abitato ho preso qualche nervatura del mio scheletro e da qualcuna un’imbiancatura di serenità altrimenti introvabile.

La prima

Durante la Grande Guerra la vecchia villetta di Monfalcone, che era stata costruita dal padre di mia madre, era stata adibita a quartier generale delle Forze Armate ed erano stati scavati cunicoli e sotterranei per permettere la fuga agli ufficiali in caso di emergenza. Quando vi nacqui io il ricordo della «inutile strage», come la definì uno dei pochissimi papi nella storia che abbiano preso una posizione veramente cristiana, era lontano; ma qualcosa, una scia o uno strato di polvere come dietro ai mobili pesanti che non si spostano mai, persisteva a emanare un odore in certi giorni di forte umidità. Evaporava da quegli scavi un presentimento di segreto: scale, stanze e giardinetto di quella casa suscitavano un’impressione mai esaudita, l’avvertimento di qualcuno schivo a manifestarsi e fulmineo a dileguarsi. «Era qui, in casa mia/oramai non c’è più/è sparito il mio fantasma blu»: ho scritto Fantasma blu, credo una delle più ellittiche delle mie canzoni, forse anche per andare un po’ a caccia di quei misteri, di quella sfuggenza mitteleuropea che abita ancora la fascia di confine con l’Istria, dove quando il vento soffia lo fa sul serio e se non ti aggrappi a un palo in due minuti sei all’estero.
La casa era ed è ancora in uno di quei viali un po’ monotoni, sobriamente alberati, dove si susseguono cancelli di villette simili tra loro. Per un miope, come sono stato io prima di operarmi, non era mica possibile immaginarne la lunghezza. Era una strada che nella sua ripetitività pianeggiante sfumava verso un orizzonte opaco, magari per milioni di chilometri; una strada che porta a tutte le strade. Si chiamava pure via Roma. Una strada dove vedi biciclette o carretti a cavallo, cani sciolti, anziane che parlano a bassa voce, non certo automobili in moto. Le auto in via Roma non riesco a pensarle che parcheggiate. Tutte le volte che ci torno, svoltando in questa strada rallento a passo d’uomo. Come un barcaiolo del Po che mi ha detto una volta: «Per andare da una sponda all’altra del fiume impiego lo stesso tempo che ci voleva dieci, cinquanta, cento anni fa».
Passato il cancelletto si apriva il giardino, con un pozzo senza fondo. Nel senso che il fondo non lo si riusciva a vedere, era molto stretto e buio. Inconsapevolmente, temo di averlo preso troppo alla lettera, cedendo volentieri a un’ingordigia intellettuale (e sentimentale) senza fine. Il pezzo forte della botanica domestica era una grande magnolia, un albero bellissimo e importante che sorpassava il muro di cinta e ritengo suscitasse l’indicibile invidia dei vicini. Poi c’era il portego, ovvero (in veneto) il portico. Tre gradini di marmo grezzo incorniciati da una loggetta senza pretese architettoniche, che preparavano la giusta atmosfera di passaggio alla porta di casa vera e propria. Forse, dando tempo alla magnolia di soppesare l’eventuale visitatore sconosciuto prima di dare il via libera con un fruscio di fronde. Nei miei sogni il portego di Monfalcone dovrebbe essere il teatro di un rituale familiare, da tenersi in una di quelle domeniche mattina autunnali quando, gli uni sbarbati di fresco e le altre appena tornate dal parrucchiere, ci si mette il vestito buono e si esce per andare a messa. La foto sotto il portego che mi ha ficcato in testa questa piccola ambizione patriarcale è un dagherrotipo che i miei fecero stampare su cartoncino in formato dieci centimetri e mezzo per otto, ricavandone una cartolina postale da mandare ad amici e parenti per annunciare il mio arrivo. È stata scattata il primo novembre millenovecentotrentaquattro, come annotato diligentemente da mia mamma sul retro della copia che ho tenuto da parte. Al centro della scena, di fronte alla porta di casa su una sedia di vimini, il nonno Christian, padre di mia madre, con panciotto, cravattina, cappello scuro e favoriti candidi. Seduti sull’ultimo gradino del portego, subito davanti a lui, sorridono mio padre e mia madre, lui con la brillantina, lei con un accenno di tacco e la gonna lunga a coprir le caviglie. Accanto al nonno, su un’altra sedia, la nonna Lina, che tiene in braccio me, tutto intrinato e impizzato di bianco e con un unico ciuffetto di capelli messi pazientemente in piega; in piedi, dietro, lo zio Guido, fazzoletto bianco al taschino; sua moglie; infine la sorella di mia madre, Giuditta, una delle persone più decisive e incisive nella mia vita.
L’immagine ha un sapore secolare, strutturato e complesso come certi Barolo, che picchiano e ti stordiscono le difese. E allora a me è venuto questo tarlo, fare di quella fotografia il prototipo delle generazioni a seguire, una sorta d’effige dei Paoli. Vorrei tanto che tutti i miei figli e i loro figli e le loro mogli e mariti andassero a Monfalcone, un giorno, per posare sul portego e poi bere il tè con una goccia di rhum, alla maniera della Giuditta. Finora non ce l’ho fatta con nessuno. Stavo per convincerne uno ma avrò insistito troppo, poco dopo ha divorziato.
Comunque, ho piantato un albero ogni volta che è nato un figlio (o che è nato un padre in me, il che è lo stesso). Cominciando da una magnolia, che cresce nel giardino di casa mia a Genova e né io né i miei figli potremo vedere alta come la monfalconese di via Roma 22. Spetterà ai nipoti.

Nero Wolfe

Tra le mie fisse botaniche ci sono anche le orchidee, che si collegano all’immagine cui ricorro, di solito, per descrivere la casa dove mia madre ha voluto mettermi al mondo. Sembra il palazzetto di Nero Wolfe, dico se mi chiedono che impressione fa. Deve essere un espediente per compensare il fatto di essere nato in un luogo dove ho passato pochissimo tempo, da piccolo. La suggestione che mi fa associare quella villetta al personaggio di Rex Stout riguarda esperienze fatte da adulto, quantomeno da ragazzo, ai tempi di certe letture che mi avrebbero condotto a una passione longeva, la letteratura di Georges Simenon. Eppure io credo che Nero Wolfe sia adatto all’emozione che mi suscita il pensiero del natio luogo in quel di Monfalcone. Penso dipenda da qualcosa che si può intendere come formazione retroattiva. Il romanzo poliziesco per me è stato ed è romanzo di formazione. Senza Stout, Simenon e alcuni altri scrittori non avrei mai colto un certo senso dell’infanzia e, d’altra parte, loro non avrebbero potuto concepire quelle storie in un mondo di uomini che non siano stati bambini. Da amante delle favole, credo che l’unico genere davvero imparentato con il fiabesco sia il poliziesco. Ora, il Nero Wolfe di Stout è un detective di pachidermica mole, che conduce e risolve le sue indagini senza mettere quasi mai il naso fuori di casa. È misogino, ha il pallino della gastronomia e delle orchidee, coltivate nel suo giardinetto pensile con una serietà e un interesse di gran lunga superiori a quelli ispiratigli dal lavoro di investigatore. Tratti che già basterebbero a risvegliare certe curiosità infantili per il mondo «dei grandi» in chiunque: che cosa fa convivere sotto uno stesso tetto il maschile e il femminile, il gigantesco e corrucciato papà con la profumata e delicata mamma? Che mistero. Tutti abbiamo sentito il bisogno di condurre segrete indagini esaminando accuratamente il luogo del delitto e interrogandoci sul mandante. Per me in particolare Nero Wolfe è diventato un amico di famiglia: un signore magari un po’ burbero ma sicuramente prezioso per le sue affinità con mio padre, mia madre e i nonni, visti con gli occhi che, da adulto, fantastico siano stati quelli avuti da bambino.

Pegli

Da quanto so nella casa di Monfalcone non sono stato che qualche mese. Un po’ di svezzamento e poi il lungo viaggio verso ovest, fino alle colline di Pegli, in una casa in fondo a via Vespucci, una strada che sale dolcemente lasciandosi ai fianchi villette, alberi e sentieri dove portare i cani a risvegliare il fiuto. Quando i miei l’avevano scelta era l...

Indice dei contenuti

  1. I valori di una vita [Serie a cura di Maria Antonietta Schiavina]
  2. Sapore di note
  3. a TU per TU
  4. Immagini