Né Stato né Nazione
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Né Stato né Nazione

Italiani senza meta

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Né Stato né Nazione

Italiani senza meta

Informazioni su questo libro

Righe di benaugurante fantastoria e una forte dose di ironia a conclusione di una puntuale e brillante carrellata che inizia con la famosa citazione di Massimo D'Azeglio. Dino Messina, "Corriere della Sera"Come ripeteva Benedetto Croce, la storia si studia innanzitutto sotto la spinta dei problemi che ci troviamo di fronte qui e ora. E in merito ai problemi del qui e ora, le riflessioni di Emilio Gentile sono allarmanti. Antonio Carioti, "Corriere della Sera"Un saggio pungente di Emilio Gentile sullo stato di salute del nostro sentimento nazionale. Riuscirà lo stellone dell'Italia repubblicana a compiere il miracolo? Il finale di Né Stato né Nazione rimane aperto, ma le luci di fondo appaiono sinistre. Simonetta Fiori, "la Repubblica"Libro chiaro, dalla logica stringente, Né Stato né Nazione ha il merito di spingere alla riflessione e a porsi delle domande. Mauro Trotta, "il manifesto"Un pregio inossidabile del saggio di Gentile è l'eccezionale equilibrio tra idea e realtà, tra storia e attualità. In cento pagine, lo studioso ripercorre il concetto di nazione e condensa il cosmico pessimismo patriottico che attanaglia da sempre l'Italia. Antonello Guerrera, "il Riformista"

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Informazioni

III. Nel mondo degli Stati nazionali

Un mondo di nazioni

All’inizio del Terzo millennio, mentre nell’Italia unita c’è chi pensa di fare a meno della nazione e dello Stato nazionale, tutti gli altri Stati esistenti nel mondo si proclamano Stati nazionali, perché derivano dal principio della nazione la legittimità del loro potere e la ragione della loro esistenza e della loro funzione. Anche se «nazione» e «Stato» sono entità storicamente e concettualmente differenti, è significativo che le due principali organizzazioni internazionali di Stati sovrani, istituite nel corso del Novecento per garantire la pace e la sicurezza, siano state denominate Società delle Nazioni, la prima, e Organizzazione delle Nazioni Unite, la seconda, quasi a voler conferire, in questa forma, un riconoscimento ufficiale all’affermazione del primato della nazione come principio universale di legittimazione dello Stato contemporaneo e come principale realtà di aggregazione collettiva dei popoli nei quali è divisa l’umanità nel mondo attuale.
Il fenomeno nazionale, così inteso, ha raggiunto una dimensione planetaria nella seconda metà del Novecento, come dimostra l’aumento degli Stati membri delle Nazioni Unite: erano 51 nel 1945 all’atto della sua costituzione, divennero 82 nel 1960, 135 nel 1973, 159 nel 1988: nel 2010 sono 192.
All’attuale mondo di nazioni e Stati nazionali l’umanità è giunta attraverso un processo storico che si è svolto nel corso degli ultimi due secoli del Secondo millennio. Però, come accade per qualsiasi processo storico, le premesse e le condizioni che hanno favorito la nascita e lo sviluppo del fenomeno nazionale possono essere ricercate più indietro nel tempo, pur avendo presente che spesso con lo stesso termine «nazione», che è di origine latina, si sono indicate realtà differenti, secondo i diversi periodi storici e i differenti paesi.
Alcuni considerano possibile ritrovare fin nell’antichità, presso diversi popoli e civiltà (come i greci e gli ebrei), le espressioni di un sentimento nazionale, per esempio nel mito di una comune discendenza etnica, nella convinzione di essere un popolo eletto da Dio, o nella coscienza di appartenere a un’entità collettiva, distinta per la sua unità linguistica, culturale e religiosa, anche se questo sentimento, per esempio nel caso dei greci, non si concretizzava né aspirò a costituirsi in una grande unità politica, superando la dimensione delle città-Stato.
Tracce di un nascente sentimento nazionale si ritrovano agli albori dell’Europa moderna in Stati come Francia, Inghilterra, Spagna, dove la costituzione di un’unità territoriale sotto la monarchia favorì la formazione di una consapevole comunità nazionale, principalmente limitata a gruppi politici e culturali ristretti, le cosiddette nazioni di privilegiati, che tuttavia rappresentavano la prima esperienza di connessione del sentimento di nazione con la realtà di uno Stato indipendente e sovrano. Anche nei movimenti religiosi ereticali e riformatori del cristiane­simo europeo in età moderna, la protesta contro la Chiesa di Roma assumeva accenti e intonazioni di orgoglio nazionale.

Nazioni culturali e nazioni politiche

Prima dell’età contemporanea, comunque, il termine «nazione» era variamente adoperato per definire un qualsiasi aggregato umano distinto da una o più caratteristiche comuni, etniche, linguistiche, territoriali o religiose, anche se il più delle volte si trattava di aggregati di composizione e con contorni fluidi e cangianti, perché mancava ad essi il fattore coesivo di una consapevole e attiva volontà unitaria, quale si afferma, generalmente, nella coscienza politica. In effetti, prima dell’età contemporanea, molto raramente la nazione era concepita come una popolazione unita dalla coscienza di una comune identità storica e culturale, che trovava poi attuazione anche in una comune coscienza e volontà politica.
Fino al XVIII secolo, la presenza di una coscienza nazionale, comunque fondata, era fenomeno prevalentemente culturale. A questo proposito, è stata utilmente introdotta una distinzione fra le nazioni culturali, fondate su una forma di unità linguistica e culturale condivisa da una esigua minoranza di letterati e intellettuali, ma sprovvista di coscienza e volontà politica, quale era il caso dell’Italia fin dal XIII secolo, e le nazioni politiche, coincidenti con la tradizione dell’aristocrazia e della dinastia regnante di uno Stato territoriale, scarsamente congiunta alla coscienza di appartenere a una entità collettiva includente anche i sudditi in una comune identità nazionale. In tale forma il fenomeno nazionale, prima dell’età contemporanea, non coinvolgeva né mirava a coinvolgere, in alcuna forma, l’intera popolazione di uno Stato, promuovendo la formazione di una coscienza nazionale comune fra governanti e governati, e ancor meno si proponeva di realizzare una sintesi fra nazione culturale e nazione politica, facendo della coscienza nazionale il principio di legittimazione dello Stato.

Nazione e popolo sovrano

Il fenomeno nazionale prese quest’ultima direzione soltanto alla fine del XVIII secolo, assumendo però caratteri originali corrispondenti a una nuova idea di nazione, nuova soprattutto per la sua connessione con il principio della sovranità popolare. Alla sua elaborazione contribuirono, in diversa misura, vari movimenti culturali e politici. Certamente importante fu la riscoperta illuministica del patriottismo civico dell’umanesimo classico, che divenne il nucleo di un nuovo senso della cittadinanza, insieme con un intensificato processo di laicizzazione dello Stato, che affermava la sua autonomia nei confronti della Chiesa e della religione, assumendosi il compito di provvedere al benessere e alla sicurezza dei suoi cittadini. Più decisiva ancora, per lo sviluppo dell’idea moderna di nazione, fu l’identificazione della nazione con la totalità dei cittadini, proclamata dalle rivoluzioni democratiche del XVIII secolo, che attuarono il trasferimento della sovranità dal principe alla nazione, identificata con il popolo dei cittadini aventi eguali diritti ed eguali doveri. E altrettanto importante fu, specialmente nel versante tedesco, e in reazione all’imperialismo francese dell’era napoleonica, la cultura del Romanticismo, che elaborò l’idea della nazione come individualità spirituale, come anima di un popolo unito dalla lingua, dai costumi, dalle tradizioni, dalla storia.
Principalmente da questi movimenti culturali e politici derivarono gli elementi costitutivi della moderna idea di nazione e di Stato nazionale, che hanno dominato nella politica interna e internazionale degli ultimi due secoli, svolgendo inoltre un ruolo decisivo nelle grandi trasformazioni economiche, sociali e culturali che hanno plasmato il mondo contemporaneo.
Per definire questo fenomeno fu coniato nell’Ottocento il termine «nazionalismo», che attualmente è ancora usato nel linguaggio internazionale in senso teorico e storico generale, senza attributi positivi o negativi, per designare qualsia­si sentimento, ideologia, mito, movimento, che promuova il primato della nazione nella vita collettiva, realizzandolo nell’istituzione dello Stato nazionale indipendente e sovrano.
Da fenomeno che originariamente coinvolgeva solo membri dell’aristocrazia, della borghesia e dei ceti colti, il nazionalismo si è sviluppato successivamente in movimento popolare di massa, mostrando una grande capacità plastica di adattamento alle più varie situazioni storiche e sociali, sia come forza di conservazione in difesa della tradizione, considerata l’essenza fondamentale della nazione, sia come forza di trasformazione per rafforzare la nazione con le conquiste del progresso moderno.
In tal modo, il nazionalismo è divenuto, nel corso del Novecento, la principale forza politica operante nel mondo, capace di influenzare e condizionare tutte le altre forze politiche e sociali con le quali è entrato in collaborazione o in competizione, riuscendo a trapiantarsi e a svilupparsi in ogni continente, adattandosi alle più varie culture e civiltà, combinandosi con le più diverse ideologie e religioni, dando così origine, nella concreta vicenda della storia contemporanea, a una complessa varietà di nazionalismi.

Nazionalismo democratico

Lo sviluppo del nazionalismo non è stato un processo storico unitario, lineare e omogeneo, ma si presenta con una notevole varietà di manifestazioni e diversità nei ritmi e nei modi di attuazione, secondo i tempi, i luoghi, le situazioni e le circostanze in cui si è svolto.
Emerso come forza politica autonoma durante la seconda metà del XVIII secolo, il nazionalismo si affermò inizialmente con la Guerra di indipendenza americana e con la rivoluzione francese. Le due rivoluzioni furono le prime manifestazioni di un nazionalismo democratico che, identificando il popolo con la nazione, attuò il principio della sovranità popolare come fondamento dello Stato nazionale e costituzionale, garante dei diritti inalienabili dell’uomo e del cittadino, che in cambio doveva allo Stato nazionale lealtà e fedeltà. Fu dalla rivoluzione francese, soprattutto, che il principio della nazione, con la sovranità popolare, assunse il primato fra le forze politiche dell’epoca, trasformandosi nel principio supremo di legittimazione per l’organiz­zazione dello Stato, come fondamento etico e morale del corpo politico dei cittadini, dotati di diritti e doveri, leali e fedeli alla nazione. E la reazione all’imperialismo francese nell’era napoleonica favorì lo sviluppo del nazionalismo nei popoli europei ancora privi di Stati indipendenti e ­sovrani.
Dalla rivoluzione francese e dai movimenti nazionali che essa suscitò in altre popolazioni, come gli italiani, la nazione emerse circondata da un alone di sacralità, come patria comune dei cittadini che per la sua salvezza, nei momenti del pericolo, dovevano essere pronti a donare la vita. La leva in massa dei cittadini come soldati, introdotta dalla rivoluzione francese nelle guerre contro gli eserciti delle monarchie, fu la concreta attuazione dell’«amore sacro per la patria», così come l’istruzione obbligatoria divenne da allora lo strumento principale per inculcare nelle nuove generazioni il culto della patria e il senso del dovere civico.
Fin dalle origini, il nazionalismo assunse i caratteri originali di una nuova religione laica, in una sorta di versione secolarizzata dell’archetipo biblico del popolo eletto, che ha una missione da compiere. Nella nuova repubblica degli Stati Uniti, la religione laica del nazionalismo si sviluppò integrandosi nella tradizione puritana. Il nazionalismo costituzionale americano sancì per la prima volta nella storia dell’umanità il principio della netta separazione fra lo Stato e la Chiesa, riconoscendo la piena libertà di culto per qualsiasi fede religiosa, ma nello stesso tempo vietò allo Stato di istituire una confessione religiosa ufficiale. In Europa, la scissione fra la rivoluzione francese e la Chiesa cattolica diede origine a una religione laica del nazionalismo con una forte impronta anticlericale, fino a sfociare in tentativi di scristianizzazione, che tuttavia fallirono, per evolversi poi, dopo il 1870, attraverso l’affermazione dell’ideale repubblicano della nazione laica.

Nazionalismo risorgimentale

Nei primi anni dell’Ottocento, con lo sviluppo del Romanticismo, si affermò la concezione della nazione come unità di popolo fondata sulla lingua e la tradizione culturale, che si innestò nel nazionalismo democratico, dando origine al nazionalismo risorgimentale, cioè ai movimenti culturali e politici che nel corso dell’Ottocento lottarono per la libertà e l’indipendenza dei popoli assoggettati al dominio di potenze straniere, per unirli in un proprio Stato nazionale. Coniugando l’idea di nazione con l’idea di libertà, il nazionalismo risorgimentale vedeva nella realizzazione dello Stato nazionale la conquista di una condizione necessaria per garantire l’emancipazione e lo sviluppo dell’individuo e delle masse secondo l’ideale di una personalità umana libera e consapevole.
Di questo nazionalismo, che professava l’adesione al principio della sovranità popolare e del governo costituzionale, furono espressione i mo­vimenti di indipendenza e di unificazione che, nel corso dell’Ottocento, in America Latina e in Europa portarono alla creazione di nuovi Stati nazionali. I movimenti che promossero l’indipendenza e l’Unità d’Italia furono la più impor­tante esperienza di nazionalismo risorgimentale; al loro esempio si ispirarono altri movimenti nazionali in Europa e in Asia.
Dal Risorgimento italiano ebbe origine la prima teorizzazione del principio di nazionalità in campo internazionale, cioè l’affermazione del diritto dei popoli che sentono di costituire una nazione, ad avere uno Stato indipendente e sovrano.
La congiunzione fra nazione e libertà fu il nucleo essenziale del Risorgimento italiano: libera­li e democratici, unitari e federalisti, furono ac­comunati dalla concezione dello Stato nazionale come condizione necessaria per emancipare l’individuo e le masse secondo una visione della vita fondata sulla libertà e la dignità dei cittadini. L’opposizione radicale e intransigente della Chiesa cattolica al liberalismo e al nazionalismo, per la conservazione del suo potere temporale, impedirono al movimento di unificazione italiana di poter svolgersi in accordo con la tradizione religiosa della maggioranza delle popolazioni del nuovo Stato unitario. Ne derivò, dopo la conquista di Roma capitale nel 1870, una profonda frattura fra la Chiesa e la nuova Italia unita, che pur riconoscendo la religione cattolica come religione di Stato rivendicò il fondamento laico e liberale della propria visione della vita.
La realizzazione di questa visione, nell’Italia unita, apparve spesso inferiore all’ideale vagheg­giato, ma nei decenni successivi all’unificazione, e soprattutto nel primo decennio del Novecento, il progressivo estendersi delle condizioni di emancipazione e di libertà per un numero sempre più grande di cittadini fu effettivo e reale, tanto da consentire agli stessi oppositori dello Stato nazionale, i cattolici, i socialisti e i repubblicani, di potere organizzarsi e operare fino a diventare, come avvenne nel caso dei cattolici e dei socialisti, i due principali partiti politici del Parlamento italiano all’indomani della Grande Guerra.

Nazionalismo imperialista

Al nazionalismo risorgimentale seguì, alla fi­ne dell’Ottocento, il nazionalismo imperialista pro­prio degli Stati colonialisti europei, compresa l’Italia, ai quali si aggiunsero, come potenze espansioniste, gli Stati Uniti e il Giappone: tutti professavano una ideologia che esaltava le qualità e la superiorità della propria nazione, proclamava il diritto all’espansione per le necessità vitali della razza e per svolgere nel mondo una missione di civiltà; e tutti erano egualmente proiettati verso una politica di potenza, anche col ricorso alla guerra per imporre il proprio predominio sui popoli considerati di razza o di civiltà inferiore.
Nel nazionalismo imperialista, il mito della nazione, anche quando rimaneva associato a ufficiali dichiarazioni di fede negli ideali democratici e liberali, era mescolato ai miti del razzismo, del darwinismo sociale, del militarismo, della missione civilizzatrice.
Questi miti si compendiavano nella visione del mondo come un campo di perpetua lotta fra le nazioni per la supremazia; nell’apologia della guerra come benefica forza di rigenerazione e di progresso, e nell’esaltazione delle virtù marziali come espressione massima dell’etica nazionale. In Italia, un movimento nazionalista imperialista sorse all’inizio del Novecento affermando la superiorità della potenza sulla libertà, deciso a sacrificare la democrazia per l’unità autoritaria dello Stato, rinnegando la matrice liberale del Risorgimento.
Nello stesso periodo, fra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento, le crisi sociali e politiche, provocate dall’accelerato ritmo dei processi di modernizzazione e di industrializzazione, insieme all’ascesa politica delle masse e all’avanzata del socialismo internazionalista, favorirono, in molti paesi europei, la formazione di movimenti culturali e politici ­accomunati dall’esaltazione del primato della nazione, ma con atteggiamenti ideologici contrastanti nei confronti dello Stato e della modernit...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. I. Italia unita cento anni fa. 1911
  3. II. Italia unita cento anni dopo. 2011
  4. III. Nel mondo degli Stati nazionali
  5. IV. Il Miracolo dello Stellone. 3111
  6. Conclusione. È finita la festa
  7. Nota bibliografica