I tempi del potere
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I tempi del potere

Concezioni della storia dalla Guerra dei Trent'anni al Terzo Reich

  1. 304 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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I tempi del potere

Concezioni della storia dalla Guerra dei Trent'anni al Terzo Reich

Informazioni su questo libro

Da sempre, chi detiene il potere politico cerca di controllare il tempo: c'è stato chi lo ha fatto modificando il calendario, chi utilizzando gli orologi per controllare la vita dei propri sudditi, chi cambiando il fuso orario al proprio paese. Ma, soprattutto, proponendo una propria interpretazione del tempo storico. Quale che sia la forma del potere, infatti, una cultura o un regime adottano una concezione del tempo caratterizzata da «specifiche interpretazioni di ciò che è temporalmente rilevante». Ci saranno così alcuni segmenti del passato che vengono sentiti come vicini e intimamente connessi al presente e altri invece come estranei e remoti. Concretamente Christopher Clark, un gigante della storiografia contemporanea, ci mostra come, rispettivamente, la Prussia di Federico Guglielmo e quella di Federico II, la Germania di Bismarck e quella del Terzo Reich optarono ciascuna per diverse concezioni del tempo e della storia con enormi conseguenze politiche e culturali. Questi casi specifici ci aiutano a comprendere come il tempo non costituisce una sostanza neutra o universale nel cui vuoto si svolge qualcosa chiamato 'storia', bensì una costruzione contingente che ha avuto forme, strutture e trame diverse. Un libro che testimonia una vera e propria 'svolta temporale' negli studi storici, un mutamento di sensibilità paragonabile a quello delle svolte linguistiche e culturali degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. Una lettura obbligatoria per tutti coloro che vogliano conoscere e approfondire una di quelle rimodulazioni dell'attenzione mediante cui la disciplina storica periodicamente si rinnova.

Un capolavoro scritto da uno dei più rinomati storici del panorama mondiale.Jürgen Osterhammel

Il libro di Clark è brillante, ammirevole per erudizione e denso di stimoli.Ian Kershaw

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Informazioni

eBook ISBN
9788858148174
Argomento
History

1.
La macchina della storia

Il principe Federico Guglielmo, definito il Grande Elettore, è il primo sovrano del Brandeburgo del quale ci siano giunti numerosi ritratti, molti dei quali commissionati da lui stesso. Attraverso di essi è possibile documentare le trasformazioni dell’aspetto di un uomo che fu per quarantotto anni alla guida del proprio paese – più di qualsiasi altro membro della sua dinastia. I ritratti risalenti ai primi anni del regno mostrano una figura dritta e dall’aspetto imperioso, col volto incorniciato da una fluente capigliatura scura; nelle immagini più tarde, ci appare come un uomo di corporatura ingrossata e col volto gonfio e al posto dei capelli di un tempo compaiono cascate di riccioli artificiali. Ciò nonostante, tutti i ritratti realizzati dal vero hanno una cosa in comune: due occhi scuri e intelligenti che fissano con uno sguardo acuto l’osservatore1. L’incisione riportata a p. 2 (fig. 1.1) è basata su un disegno di Anselmus van Hulle, pittore di corte del principe di Orange, il quale nel 1645 o nel 1646 presenziò a Münster e a Osnabrück ai negoziati che avrebbero portato alla Pace di Vestfalia, per aver modo di ritrarre i sovrani e i delegati che vi prendevano parte. La decisione di incorniciare l’incisione raffigurante ogni partecipante ai negoziati alla maniera di un epitaffio indica che non si trattava di semplici ritratti, bensì di opere concepite per diventare un omaggio alla memoria di uomini prestigiosi che avevano lasciato un segno nella storia dei loro tempi2.
Federico Guglielmo attuò la restaurazione – e di fatto la trasformazione – della composita monarchia del Brandeburgo all’indomani delle devastazioni provocate dalla Guerra dei Trent’anni (1618-48). Nel corso del suo regno, che durò dal 1640 al 1688, il Brandeburgo si dotò di un piccolo ma rispettabile esercito, conquistò una striscia di territorio che collegava la Pomerania orientale alle coste del Baltico, allestì una modesta flotta e acquisì perfino una colonia sulla costa occidentale dell’Africa. Divenne così una potenza regionale, un alleato ambito e uno dei principali attori dei negoziati di pace3.
Nel 1667 il Grande Elettore Federico Guglielmo redasse una Istruzione paterna rivolta al proprio erede. Il testo si apre, secondo il tradizionale modello dei testamenti principeschi, con l’esortazione a condurre una vita pia e timorata di Dio, ma presto si trasforma in un trattatello storico-politico che non ha precedenti nella storia della dinastia Hohenzollern. Vi si tracciano delle nette contrapposizioni fra il passato e il presente. Il principe rammenta al suo erede come un tempo il Ducato di Prussia avesse languito in una «intollerabile condizione» di vassallaggio nei confronti della Corona di Polonia; solo l’acquisizione della sovranità sul ducato da parte dell’Elettore aveva permesso di cancellare circostanze tanto oppressive. «Tutto ciò non può essere descritto; ne danno testimonianza l’Archivio e i rapporti»4. Il futuro Elettore veniva sollecitato a sviluppare quella che potremmo definire una prospettiva storica sui problemi che lo affliggevano al momento. Una scrupolosa consultazione degli archivi avrebbe rivelato non solo quanto fosse importante mantenere buone relazioni con la Francia, ma anche come queste dovessero essere equilibrate con «il rispetto che Voi, come Elettore, dovete avere per l’Impero e per l’imperatore». Nel testo si coglie anche una forte consapevolezza dell’importanza del nuovo ordine istituito dal principe di Vestfalia e della necessità di difenderlo da qualsiasi potenza che tentasse di sovvertirlo5. In poche parole, siamo di fronte a un documento che mostra un’acuta consapevolezza del contesto storico in cui si colloca e della tensione fra la continuità culturale e istituzionale da una parte e le forze del cambiamento dall’altra.
È di questa tensione che ci occuperemo in questo capitolo. Non è chiaro se l’Elettore avesse mai elaborato una coerente idea di «storia», nel senso di un punto di vista filosofico sul suo significato o sulla sua natura. Era un uomo che rivolgeva la propria attenzione alle questioni del potere e della sicurezza, e non incline a riflessioni speculative o a discussioni su questioni di principio6. E la «storia», nel senso che a questo termine si attribuisce oggi, come nome collettivo astratto indicante un processo di trasformazione onnicomprensivo e che si svolge su molteplici livelli, non esisteva. La parola non aveva ancora subìto quel processo di espansione e di «temporalizzazione» che ne avrebbe fatto uno dei concetti seminali della modernità7. E tuttavia l’Elettore e il suo regime possedevano, questa è la mia tesi, qualcosa di più intuitivo, vale a dire una forma di storicità estremamente specifica e dinamica, radicata nell’idea stessa che lo Stato monarchico occupasse una posizione scoperta, sulla soglia che divideva un passato catastrofico e un futuro denso di rischi.
Per corroborare questa affermazione e chiarirne le implicazioni, prenderò dapprima in esame gli argomenti messi in campo nel contesto del conflitto fra il governo dell’Elettore e gli stati provinciali dominati dalla nobiltà, concentrandomi in particolare sulla storicità implicita nelle argomentazioni formulate da entrambe le parti, poiché quando il principe invocava concetti come la «necessità» o l’«emergenza» contro le risolute pretese dei tradizionali detentori del potere provinciale, stava di fatto contrapponendo il futuro al passato8. Cercherò quindi di verificare se nella storicità dell’Elettore e del suo governo vi fossero elementi riferibili al calvinismo – le tensioni provocate dalle questioni confessionali, dopo tutto, erano intrecciate ai conflitti fra un apparato amministrativo prevalentemente calvinista e le assemblee cetuali di orientamento luterano: la fede calvinista costituiva infatti il sistema intellettuale più complesso al quale l’Elettore consapevolmente aderiva. L’ultima parte del capitolo prende in esame i tentativi attuati dal suo governo per assicurarsi i servizi di uno storico ufficiale, concentrandosi in particolare sugli scritti di Samuel Pufendorf, che giunse a Berlino per assumere il suo incarico di storiografo di corte nel gennaio del 1688, solo pochi mesi prima della morte del Grande Elettore. La mia tesi è che Pufendorf dapprima fornì, da teorico, delle solide giustificazioni filosofiche al rafforzamento del potere dell’Elettorato, per poi, da storico, elaborare un’ambiziosa narrazione, sostenuta da ricerche archivistiche, che restituisce il senso della dinamica storicità dell’Elettore e dei suoi funzionari. Il capitolo si conclude con una breve riflessione su come il ripudio dei privilegi tradizionali, che diventò un tema saliente del regno dell’Elettore, trovò espressione nell’elaborata cerimonia svoltasi in occasione dell’incoronazione del primo re di Prussia, nel 1701.

Una monarchia composita in un’epoca di guerre

L’entità politica che nel 1640 vide l’ascesa al trono di Federico Guglielmo non era uno Stato unitario, bensì una «monarchia composita» comprendente territori acquisiti per vie diverse, con una propria legislazione e governati a diverso titolo. Il nucleo centrale era costituito dall’Elettorato di Brandeburgo, acquistato dagli Hohenzollern nel 1417 per 400.000 fiorini d’oro ungheresi. Attraverso alleanze matrimoniali strategiche, le successive generazioni di Elettori della casa Hohenzollern avevano acquisito titolo a rivendicare vari territori non contigui al nucleo principale dei loro possessi, a est come ad ovest: la Prussia ducale sul Mar Baltico e il Ducato di Jülich e Cleve, un complesso di territori renani comprendente Jülich, Cleve, Berg, e le Contee di Mark e Ravensberg. Grazie a legami familiari che risalivano al 1530, gli Hohenzollern rivendicavano anche il diritto di successione sulla Pomerania, un importante territorio strategico situato fra il Brandeburgo e il Mar Baltico.
All’interno dei loro diversi possedimenti, gli Elettori del Brandeburgo condividevano il loro potere con le élites regionali, organizzate in corpi rappresentativi denominati stati. Nel Brandeburgo, queste assemblee approvavano (o respingevano) le imposte istituite dall’Elettore e (dal 1549) ne amministravano l’esazione. In cambio, erano titolari di estesi poteri e concessioni. All’Elettore, ad esempio, era proibito contrarre alleanze senza la loro preventiva approvazione9. In una dichiarazione pubblicata nel 1540 e reiterata in varie occasioni fino al 1653 l’Elettore s’impegnò perfino a non «decidere o intraprendere nessuna importante misura da cui possa dipendere la prosperità o il declino dei territori, senza preventiva informazione e consultazione di tutti i nostri stati»10. La quota maggiore della ricchezza fondiaria nell’Elettorato era detenuta dalla nobiltà provinciale, che era anche la più importante creditrice dell’Elettore. Si trattava tuttavia di un ceto fortemente attaccato a prospettive ristrette, non interessato a sostenere il sovrano nel suo tentativo di assicurarsi il possesso di territori lontani e dei quali si sapeva ben poco. Nell’universo mentale degli stati esistevano sovranità di diversa natura e sovrapposte. Quelli di Cleve avevano un rappresentante diplomatico all’Aia e si rapportavano alla Repubblica olandese, alla Dieta imperiale (assemblea del Sacro romano impero) e in certe occasioni perfino a Vienna, per ottenerne il sostegno contro interventi illeciti da parte di Berlino11. Progettavano di istituire un proprio sistema fiscale e costituire una «unione ereditaria» corporativa con i vicini territori di Mark, Jülich e Berg, e si consultavano spesso con le loro assemblee rappresentative per decidere il modo migliore per rispondere (e resistere) alle richi...

Indice dei contenuti

  1. Ringraziamenti
  2. Introduzione
  3. 1. La macchina della storia
  4. 2. Il re storico
  5. 3. Il battelliere sul fiume del tempo
  6. 4. Il tempo dei nazisti
  7. Conclusione ed epilogo