Appendice 1. Cesare scrittore
1. Il racconto di Svetonio
Il più bel capitolo di storia letteraria su Cesare lo ha scritto Svetonio, che alla metà circa della Vita di Cesare ha dedicato una nutrita trattazione alla sua opera di scrittore e di letterato. Eccola1:
55. Eguagliò o superò la gloria dei migliori, sia nell’eloquenza che nell’arte militare.
Dopo l’accusa contro Dolabella2 fu, senza ombra di dubbio, annoverato tra gli avvocati principi.
Sta di fatto che Cicerone, nel Bruto, elencando gli oratori, dice: «Non vedo a chi Cesare debba cedere il passo: ha un modo di esporre elegante, brillante e, in certo senso, anche magnifico e generoso». E, in una lettera a Cornelio Nepote, ne scrive così: «Dimmi, chi gli vorresti anteporre, anche cercando tra quegli oratori che non si dedicarono ad altro? Chi più di lui arguto o ricco nei concetti? Chi più ornato o elegante nelle espressioni?»3.
Da giovane aveva preso a modello, a quanto pare, Strabone Cesare, e nella sua divinatio4 ne riportò letteralmente alcuni brani, tolti dall’orazione Per i Sardi.
Pronunciava i discorsi, dicono, con voce alta e acuta, e il suo gestire era concitato e ardente, ma non privo di eleganza.
Ci rimangono anche alcune sue orazioni5, ma in alcuni casi l’attribuzione non è sicura.
Augusto stima con ragione che quella intitolata Per Quinto Metello non sia stata pubblicata da lui ma raccolta da qualche stenografo che non riusciva perfettamente a tenergli dietro mentre parlava; e infatti su alcune copie trovò l’indicazione scritta per Metello invece del titolo Per Quinto Metello, benché il discorso sia in persona di Cesare e in difesa propria e di Metello contro gli accusatori di entrambi6.
Lo stesso Augusto reputa molto azzardato attribuirgli anche le orazioni Ai soldati in Ispagna, tramandate in numero di due: una sarebbe stata pronunciata in occasione del primo combattimento, e l’altra per il successivo, nel quale però Asinio Pollione sostiene che non ebbe nemmeno il tempo di arringare le truppe per l’improvviso attacco del nemico7.
56. Lasciò anche dei commentarii sulle sue gesta nella guerra gallica e in quella civile contro Pompeo.
È però incerto che sia l’autore di quelli sulla guerra alessandrina, e su quella africana e spagnola. Alcuni li attribuiscono a Oppio e altri a Irzio, il quale sarebbe anche l’autore dell’ultima parte dell’ottavo commentario – incompiuto – della guerra gallica8.
Parlando dei commentarii di Cesare, Cicerone così si esprime nello stesso Bruto: «Scrisse anche dei commentarii che si debbono assolutamente ammirare: sono nudi, scarni, e belli, spogliati di qualsiasi ornamento oratorio, come un corpo della sua veste. Ma, mentre volle offrire ad altri il materiale per scrivere la storia, forse fece opera grata agli inetti che vorranno agghindarlo con riccioli artificiosi, ma distolse i sani di mente dallo scrivere»9.
Così scrive Irzio, riferendosi agli stessi commentari: «Sono tanto universalmente lodati che sembra vogliano togliere e non offrire ad altri l’occasione di scrivere sullo stesso argomento. Ma io so anche con quanta facilità e rapidità furono scritti»10.
Asinio Pollione, invece, li reputa composti con scarsa cura e con poco rispetto della verità. «Infatti – dice – in molti casi Cesare prestò fede con leggerezza alle imprese riferite da altri, e in quanto alle proprie le riportò in modo inesatto, sia per deliberato proposito che per errore di memoria, e credo che li avrebbe voluti riscrivere e correggere».
Cesare lasciò anche due libri Sull’analogia e altrettanti di un Anticatone, e inoltre un poemetto, Il viaggio.
Scrisse la prima di queste opere durante il passaggio delle Alpi, mentre dalla Gallia Citeriore tornava al comando dell’esercito, dopo aver tenuto le assise come magistrato.
La seconda fu scritta su per giù all’epoca della battaglia di Munda; l’ultima quando da Roma raggiunse la Spagna in ventitré giorni.
Ci rimangono anche le lettere da lui indirizzate al Senato, lettere che egli per primo piegò in pagine, come se fossero libretti di annotazioni, mentre fino allora i consoli e i magistrati mandavano i fogli scritti per intero, su tutta la loro larghezza.
Ci restano anche lettere a Cicerone, e ai famigliari su questioni domestiche. In queste ultime, quando voleva scrivere qualcosa di segreto o di riservato, lo metteva in cifra, mutando cioè l’ordine delle lettere, in modo da togliere ogni significato alle parole. Chi vuole esaminarle e decifrarle, non ha che da cambiare la quarta lettera dell’alfabeto, la d, in a, e seguitare così con le altre.
Si ricorda che [...] da giovane scrisse alcune operette, quali un poemetto In lode di Ercole11, una tragedia, Edipo, e anche una Raccolta di sentenze.
Augusto vietò la pubblicazione di queste operette con una brevissima e secca lettera a Pompeo Macro, che aveva l’incarico di riordinare le biblioteche.12
2. La fabbrica del falso
Augusto negava l’autenticità delle orazioni cesariane intitolate Apud milites in Hispania. Svetonio, cui dobbiamo questa informazione, non dice con quali argomenti Augusto sostenesse la sua diagnosi negativa. Passa invece subito ad un dettaglio che gli sembra, non a torto, importante: che cioè, dei due discorsi circolanti con quel titolo, «uno si presentava come pronunciato nella prima battaglia, l’altro nella seconda». Anche Svetonio si esprime lasciando trasparire il suo scetticismo sull’autenticità di quei discorsi («quasi fosse stato pronunciato ecc.») e riferisce però solo le motivazioni con cui un protagonista di quella guerra, Asinio Pollione, metteva in crisi l’autenticità del secondo discorso: «Asinio faceva notare che nella seconda battaglia Cesare non ebbe neanche il tempo di rivolgere una allocuzione ai soldati perché tutto cominciò con un attacco a sorpresa del nemico».
Sfugge quale interesse potesse avere Augusto a dichiarare falsi entrambi i discorsi Apud milites in Hispania: né, per altro verso, chi avesse interesse a inventare tali discorsi. In questo caso si verificava qualcosa di piuttosto inusuale: che cioè con Ottaviano concordasse proprio Asinio e portasse anche lui un argomento contro, almeno contro il secondo dei due Discorsi alle truppe: «non c’era stato – diceva Asinio – neanche il tempo di rivolgere una allocuzione alle truppe dato l’improvviso attacco nemico». Ma se di falso si trattava13, il falsario doveva pur aver avuto un fine. Egli aveva – si può sospettare –, con il suo falso, disturbato sia Augusto che Asinio.
Ma quale accanito falsario si era esercitato a fabbricare un discorso cesariano sia per la prima che per la seconda battaglia, svoltesi a distanza di pochi giorni?
Il drastico giudizio negativo del princeps insospettisce. Forse era insoddisfatto per il silenzio sulla propria partecipazione allo storico evento. O forse per Ottaviano si trattava semplicemente di ribadire la propria diretta esperienza di quella campagna, e di dimostrare di avere perciò memoria di quel che era “effettivamente” accaduto. Quanto ad Asinio, aveva forse anche lui motivo di essere insoddisfatto del contenuto. Anche per lui c’era il problema di affermare, con qualche ragione in più, la propria presenza in Ispagna nella circostanza decisiva della campagna di Munda. La “cancellazione” della sua presenza, già operata dall’autore del Bellum Hispaniense, usciva, forse, confermata da quel falso discorso che – a suo giudizio – non poteva nemmeno essere stato pronunciato.
L’“industria del falso” era incominciata prestissimo intorno a Cesare e facilmente si sprigionò dopo la sua scomparsa. Basti pensare alla controversia infinita sugli acta Caesaris. Certo il termine “falso” rende fino ad un certo punto il fenomeno. Non va dimenticato che intorno al dittatore c’è stato in pace e soprattutto in guerra un efficiente servizio di stenografi (che un passo di Svetonio sulla capacità di Cesare di praticare la dettatura simultanea di più testi ci mostra efficacemente all’opera)14. Ciò significa che si sono conservati, nell’archivio del dittatore, moltissimi appunti, documenti, redazioni stenografiche di suoi interventi, direttive, messaggi, e, ovviamente, anche rapporti di altri a lui, carte di minore importanza di cui non era più agevole ricostruire la provenienza ecc. Sulle sue decisioni politiche affidate ad Antonio in quanto suo collega nel 44 e superstite all’attentato si aprì una discussione mai conclusa e Antonio fu, a ragione o a torto, sospettato di aver farcito ad libitum quegli acta Caesaris di...
