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Che cosa sono le Crociate?
Le Crociate sono un tema piuttosto delicato e che si presta a molti riferimenti attualizzanti. Nello spazio di queste pagine potrò abbozzare soltanto alcuni fra gli aspetti fondamentali dell’argomento. Prima di entrare nel vivo, però, è necessario tracciare alcune coordinate, offrire alcune indicazioni molto generali su ciò che sono state le Crociate, in modo che sia ben chiaro di che cosa stiamo parlando. Tutti le abbiamo studiate a scuola, e dunque tutti ricordiamo che sono eventi del Medioevo, e che ce ne sono state parecchie: cinque, sette, nove, sfido chiunque a ricordarsi esattamente, ma comunque così tante che i manuali sentono il bisogno di numerarle. Sappiamo che sono state eventi sanguinosi, e che hanno comportato un durissimo conflitto tra l’Occidente cristiano e il mondo islamico. Eventi che la nostra civiltà ha dapprima celebrato con grandissimo entusiasmo, all’epoca in cui si scrivevano poemi come la Gerusalemme liberata, e di cui più di recente ci siamo vergognati: un po’ perché abbiamo recuperato anche la consapevolezza dell’enorme violenza, e della tremenda esplosione di odio per il diverso, che le Crociate hanno rappresentato. Fra l’altro anche la violenza antisemita compare in Europa per la prima volta proprio durante le Crociate: i primi pogrom in Occidente li hanno compiuti le folle eccitate dalla predicazione della Crociata. Se poi adesso il vento stia cambiando, e se in Occidente qualcuno abbia ricominciato a pensare che le Crociate sono un’epopea da celebrare e non una tragedia di cui dolersi, è una di quelle domande che vale la pena di porre quando pensiamo alle possibili attualizzazioni dell’argomento.
Che cosa bisogna aver chiaro per capire il fenomeno delle Crociate? Innanzitutto, che la Crociata è in realtà una forma molto particolare di pellegrinaggio. E questa magari non è una cosa così ovvia, invece è così. Quelli che sono partiti per la Terrasanta al seguito di Pietro l’Eremita e poi di Goffredo di Buglione e degli altri capi chiamavano se stessi pellegrini. Il fatto è che i nostri antenati cristiani dell’Europa occidentale davano al pellegrinaggio un’importanza enorme. Certo, anche adesso il pellegrinaggio sul cammino di Santiago è ridiventato un fenomeno di costume e suscita l’attenzione dei mass-media, e chiunque sia stato ad Assisi, a Padova, o a San Giovanni Rotondo alla tomba di Padre Pio, sa che fra le masse cattoliche un certo tipo di pellegrinaggio è praticato oggi forse ancor più che nel recente passato. Ma noi dobbiamo pensare a un’epoca in cui per i cristiani il pellegrinaggio, e specialmente il pellegrinaggio a Roma e in Terrasanta, era sentito quasi come può essere oggi per i musulmani quello alla Mecca: come uno straordinario momento catartico, il momento in cui chi può vive per una volta in prima persona tutti i significati profondi e anche tutti i rischi della sua religione.
Dico rischi perché ovviamente un conto era andare in pellegrinaggio al santuario più vicino e un conto era andare fino a Gerusalemme per pregare sul Santo Sepolcro, vivere l’esperienza di immedesimarsi con Cristo, poter dire «Lui è stato qui, io sto calpestando lo stesso terreno che ha calpestato Lui». Ma naturalmente Cristo a Gerusalemme ha subito la Passione, e allora il pellegrinaggio in Terrasanta per i cristiani del Medioevo voleva anche dire assumersi consapevolmente il rischio di fare la stessa fine, per dirla in modo un po’ brutale. Sapere che si partiva per fare una cosa pericolosa, faticosa, dolorosa, che bisognava stare via da casa per anni, e c’erano probabilità concrete di non tornarci, di lasciare la pelle lungo la strada, e tuttavia farlo lo stesso: per rivivere la Passione di Cristo, per penitenza, perché si pensava che la vita avesse un senso che andava al di là degli interessi concreti quotidiani, e che a volte quel senso bisognava rincorrerlo anche a rischio della vita.
Dunque la Crociata è un pellegrinaggio, però di un tipo molto particolare e che comincia in un momento storico specifico. È un pellegrinaggio che ha lo scopo di andare a Gerusalemme a pregare sul Santo Sepolcro, ma ha come caratteristica fondamentale quella di andarci armati, perché si teme che chi comanda a Gerusalemme non ci lascerà arrivare fin là o comunque ci darà dei fastidi. Perciò bisogna andarci armati, aprire la strada, in modo che tutti i pellegrini cristiani in futuro possano andarci senza pericolo: bisogna impadronirsi di Gerusalemme, in modo che la Città Santa sia in mani cristiane. Ma in verità, quando nasce quest’idea Gerusalemme già da molti secoli non era più in mani cristiane. Lo era stata molto a lungo, giacché apparteneva all’impero romano, che diventa cristiano nel IV secolo, e che continua a esistere in Oriente anche dopo le invasioni barbariche, anche se a noi sembra un impero molto diverso da quello romano classico, e per distinguere lo chiamiamo impero bizantino. Tutto il Medio Oriente era bizantino, e dunque romano e cristiano, oltre che ebraico, fino a quando nel VII secolo, dopo la morte di Maometto, le grandi conquiste arabe lo strappano a Bisanzio. Da allora Gerusalemme fa parte dell’impero arabo, del califfato governato da Baghdad, e sul posto, col passare delle generazioni, una parte crescente della popolazione si converte all’Islam, anche se restano sempre ampie comunità cristiane ed ebraiche.
Si potrebbe pensare che già a partire da quel momento i cristiani abbiano pensato alla Crociata, per riprendere il controllo di quei luoghi santi che erano così importanti nella loro prospettiva mentale. In realtà non è così: per molti secoli l’Occidente cristiano non ha le forze e neanche l’idea di intraprendere una riconquista armata. I rapporti con i musulmani che governano in Terrasanta sono in genere abbastanza buoni; Carlo Magno scambia ambasciatori con il califfo Harun al Rashid, stipula delle convenzioni per essere sicuro che i pellegrini cristiani possano andare liberamente a Gerusalemme, senza essere molestati. Le cose cambiano solo a cavallo del Mille, per un insieme di ragioni, che proviamo ad accennare molto schematicamente. Nel mondo islamico nuove popolazioni, i turchi, provenienti dalle steppe dell’Asia, prendono il sopravvento sugli arabi; il califfato si frantuma in una moltitudine di califfati, sultanati ed emirati autonomi, spesso in guerra fra loro. Dunque la Terrasanta diventa un posto più pericoloso, anche perché le nuove élites turche convertite all’Islam sono meno colte, più bellicose, e anche meno tolleranti di quelle arabe. Per i pellegrini cristiani diventa sempre più difficile raggiungere Gerusalemme senza andare incontro a guai. Per di più, l’espansione turca nel corso dell’XI secolo minaccia l’impero bizantino: quei cristiani, che parlano e pregano in greco anziché in latino e dunque hanno pochi rapporti con i fratelli d’Occidente, cominciano comunque a chiedere aiuto contro gli invasori infedeli, e per una volta gli occidentali, che di solito detestano i fratelli orientali e vogliono avere a che fare con loro il meno possibile, si commuovono e decidono di intervenire. Questo capita anche perché l’Occidente sulla sua estrema frontiera, in Spagna, è da tempo in guerra permanente contro l’Islam: i principi cristiani hanno cominciato quella che passerà poi alla storia come la Reconquista, e stanno ricacciando indietro quegli emiri arabi e berberi che avevano conquistato la penisola iberica tanto tempo prima; e dunque in Europa un certo clima di mobilitazione ideologica contro l’Islam sta diventando familiare.
Se si aggiunge che l’Occidente forse già dal tempo di Carlo Magno, ma certamente dopo il Mille, sta attraversando una grande crescita economica e demografica, e dunque ha sempre più risorse umane da investire; e che al suo interno, dalla metà dell’XI secolo, è emersa con la cosiddetta Lotta per le Investiture una nuova poderosa forza politica organizzata, la Chiesa di Roma, che si candida apertamente alla direzione non solo spirituale, ma anche politica dell’intera Cristianità, ecco presenti tutte le condizioni che spiegano come proprio allora, cioè alla fine dell’XI secolo, nasca l’idea della Crociata. I cristiani decidono che è necessario uno sforzo, e non importa quanto penoso e faticoso, sulla via di Cristo; che bisogna imitare la Passione di Cristo mettendosi in gioco interamente, per fare in modo che finisca questo scandalo, come lo vedono loro, per cui il pellegrinaggio in Terrasanta è diventato quasi impossibile, e far sì che Gerusalemme sia di nuovo in mani cristiane. Questa decisione ha una data molto precisa: nell’anno 1095 un papa, Urbano II, lancia questo progetto con tutta l’autorità morale del papato, invitando i cristiani ad andare in Terrasanta, ad andarci in tanti sotto la guida dei loro principi, ad andarci armati e prendere possesso dei luoghi santi con la forza. È una grande mobilitazione che esprime la nuova fiducia in sé di un’Europa in crescita ed è anche la prima volta che il papato sperimenta, con pieno successo, la nuova capacità di iniziativa politica che si è costruito negli anni dello scontro con l’impero.
Qui, dunque, cominciano le Crociate; e cioè l’avventura di quei cristiani che hanno accettato l’appello del papa, sentendone il fascino, e si sono messi in gioco, facendo cose che con i nostri valori di oggi ci sembrano assai discutibili e che invece a loro sembravano sacrosante: sono partiti, sono andati a Gerusalemme a piedi aprendosi la strada a forza e l’hanno conquistata. E questa è la Prima Crociata; poi però, come si diceva, ce ne saranno tante altre. Il fatto è che i musulmani non sono rimasti inerti quando un’orda di barbari sanguinari venuti da chissà dove, per di più miscredenti, è entrata in terra islamica seminando la distruzione ed è venuta a conquistare una delle città sante dell’Islam. Ovviamente i musulmani hanno sentito come un’enorme offesa, fatta a loro e a Dio, il fatto che i miscredenti dell’Occidente fossero venuti ad impadronirsi di Gerusalemme e del sepolcro di Cristo, che anche per i musulmani è un grande profeta degno di venerazione. Perciò il mondo islamico si è immediatamente mobilitato per riconquistare la Città Santa e ricacciare gli invasori. È per questo che alla caduta di Gerusalemme nel 1099 seguono due secoli di Crociate: perché i musulmani sono continuamente impegnati a riconquistare i territori perduti, in una loro Reconquista speculare a quella che si sta verificando in Spagna; da parte loro, i cristiani continuano ad alimentare dall’Europa con sempre nuove spedizioni la difesa dei territori conquistati. Ci vuole quasi un secolo perché i musulmani riprendano definitivamente Gerusalemme, con Saladino nel 1187, ma anche allora i crociati rimangono in possesso di ampie zone del Medio Oriente; solo nel 1291 i musulmani si impadroniscono dell’ultimo porto ancora in mano ai cristiani, San Giovanni d’Acri, e peraltro anche dopo questa data l’isola di Cipro che si trova proprio di fronte rimarrà in mano occidentale per altri tre secoli.
Quali altri parametri sono necessari per inquadrare nel suo tempo il fenomeno delle Crociate? Vale forse la pena di soffermarsi a riflettere ancora sull’eccezionale stagione di crescita che l’Occidente stava allora vivendo. Per molto tempo gli storici hanno diffidato della propaganda coeva, tutta traboccante di entusiasmo religioso, di enfasi sul martirio e sulla liberazione del Santo Sepolcro: in realtà, si diceva, al di sotto di tutto questo c’erano profonde motivazioni politiche ed economiche, il desiderio di conquista, la necessità di sfogare l’esuberanza demografica di un’Europa piena di giovani – allora era l’Europa che era piena di giovani, e li mandava verso il Nord Africa e il Medio Oriente. Ora, tutto questo è vero, ma noi oggi siamo forse un po’ più attrezzati, rispetto ad esempio agli storici dell’Ottocento, per capire che un popolo può davvero decidere che il possesso di una città santa è una cosa fondamentale per cui vale la pena di rischiare la vita. Anche oggi ci sono popoli che si combattono per il possesso di Gerusalemme, e sebbene anche lì ci siano complicazioni economiche e politiche, tutti abbiamo la sensazione che c’è anche una motivazione religiosa, abbastanza forte per spingere la gente a rischiare la vita e a uccidere. Ebbene, allora anche i cristiani vedevano le cose in questi termini.
Fatta questa precisazione, rimane vero che le Crociate avvengono in un momento in cui l’Europa sta crescendo, ha delle forze da spendere, ha della gente da mandar fuori, perché in casa ormai le eredità a forza di dividerle si sono rimpicciolite. Quando un cavaliere ha un figlio solo va tutto bene, se ne ha due il secondo si farà monaco o prete, ma quando ne ha tre, quattro, cinque qualcuno deve andare per il mondo a cercare fortuna. E infatti la Prima Crociata si traduce anche in una grande conquista territoriale. I crociati che conquistano Gerusalemme ci sono andati a piedi, passando attraverso i Balcani e l’Asia Minore; ma quando si sono trovati al di fuori dell’impero bizantino, in terra islamica, e ormai non più troppo lontani dalla meta, hanno cominciato a conquistare e occupare stabilmente i territori che attraversavano. Ne è nato un regno, che i crociati hanno chiamato regno di Gerusalemme, perché si legittimava comunque in una dimensione ultraterrena: ma questo regno, se uno lo guarda sulle cartine di oggi, equivale a buona parte degli attuali Siria, Giordania, Israele, Palestina, Libano, cui poi si aggiungerà anche Cipro. È un territorio di grande ampiezza, in cui i crociati si sono stabiliti da padroni, costringendo la popolazione locale, araba e greca, musulmana e cristiana, a lavorare in condizioni di servaggio, e mettendo in piedi tutta la struttura organizzativa di una chiesa cattolica che serviva soltanto a loro. Oggi gli storici non esitano ad affermare che quello fu il primo esperimento coloniale europeo: è la prima volta che gli europei provano a conquistare stabilmente un territorio fuori dall’Europa occidentale e a impiantarci una loro aristocrazia di padroni che sfruttano a proprio vantaggio le risorse locali.
Questa dimensione coloniale è innegabile, e una delle sfide quando si cerca di raccontare le Crociate è proprio di cercare un equilibrio tra le due dimensioni: di provare a immaginare questa gente che da un lato ci credeva sul serio, metteva in gioco la pelle per uno scopo che considerava gradito al suo Dio, pensava di seguire le tracce di Cristo rischiando la vita e affrontando il martirio, e però al tempo stesso sapeva anche benissimo che quella era una straordinaria occasione di conquista e di arricchimento, un’occasione unica per partire da casa e andare a costruirsi una posizione più alta nel nuovo mondo, l’Oltremare, come lo chiamavano, con un termine che dà in pieno il senso della grande avventura ch’essi sentivano di vivere. L’entusiasmo religioso, che oggi può magari essere difficile da accettare in quella forma e che però c’era – saremmo dei cattivi storici se non ri...