Io, Agrippina
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Io, Agrippina

  1. 312 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Io, Agrippina

Informazioni su questo libro

Un libro davvero affascinante su una delle stagioni più spietate della storia dell'umanità.Paolo Mieli, "Corriere della Sera"

Finalmente un po' di giustizia per Agrippina minore. Ci voleva uno studioso dello spessore di Andrea Carandini per restituire ai lettori il temperamento di un'imperatrice giustamente definita 'una donna antica che anticipa il futuro'.Claudia Gualdana, "Il Foglio"

Un affresco grandioso. Come in una pittura elegiaca dei fratelli Carracci, sfilano tra le pagine imperatori crudeli, pazzi e megalomani, prefetti senza scrupoli, liberti scaltri, donne determinate, vendicative o licenziosamente ribelli. Il potere immaginifico che l'autore riesce a suscitare è sorprendente.Valentina Porcheddu, "il manifesto"

Con un racconto in prima persona, Andrea Carandini conduce il lettore nelle memorie di una delle figure femminili più controverse e affascinanti della storia di Roma.

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Informazioni

eBook ISBN
9788858141724
Argomento
Storia
Categoria
Storia antica

Al tempo di Tiberio

Esordio e tensione con Livia

Tiberio, chiamato Cesare, non ha accettato i titoli di Padre della patria e di Augusto, salvo l’uso di quest’ultimo nella corrispondenza con i re clienti. Intendeva palesare che aveva ottenuto il potere non da sua madre bensì dal senato e che affrontava il principato con spirito moderato.
Ironia della sorte, il testamento di Augusto accoglieva Livia tra i Giuli; aveva ottenuto altresì il titolo di Augusta e il ruolo di flaminica dotata di littore dei Sodales Augustales, il collegio sacerdotale istituito da Tiberio nel 14, addetto al culto del divo Augusto e composto da lei, Tiberio, Druso, Claudio e Germanico. Era naturale che i membri dell’augusta casata si riunissero nell’atrio dell’abitazione privata che era stata di Augusto, riservata ormai all’Augusta sacerdotessa.
Nel gennaio del 15 a palazzo, Livia e Tiberio hanno organizzato in memoria di Augusto sacrifici all’altare del numen, che si trovava ai piedi del vestibolo (tav. 12, n. 1), e una festa privata di tre giorni allietata da giochi scenici, che si tenevano in un teatro ligneo provvisorio eretto lì vicino, davanti al tempio della Grande Madre (tav. 4). Livia ha costruito poi sacraria al divo Augusto nella casa natale alle «Teste di bue» sul Palatino1 e nella casa di Nola dove era morto.
Appena nominato imperatore, Tiberio ha lasciato i tranquilli giardini imperiali sull’Esquilino ed è andato ad abitare a palazzo, nella sua parte pubblica, dove Augusto aveva agito come pontefice massimo. Nell’atrio di questa casa e all’alba riceveva consoli e stimati cittadini (tav. 9a).
Nei primi due anni Tiberio non ha messo piede fuori città. Si considerava al servizio del senato e del popolo. Ma ha sopportato con sofferenza, fino dall’inizio, l’invadenza di sua madre che gli abitava accanto e che pretendeva di contare come prima. La gratitudine è un sentimento difficile da sopportare, e lo constato anche con mio figlio. Il principe chiedeva a sua madre di non immischiarsi negli affari pubblici ritenuti inadatti alle donne e la tradizione gli dava ragione, nonostante vistose eccezioni del recente passato come Fulvia2. Ma Livia, imperterrita, difendeva il potere che suo marito le aveva dato.
Come Augusto si rifugiava nella abitazione pubblica per sfuggire alla invadenza di Livia, così Tiberio è andato a risiedervi per evitare l’irrefrenabile madre. Si ergeva provvidenziale tra le due case il tempio di Apollo, i cui colori erano quelli del sole, ma la distanza tra le due abitazioni era poca (tav. 9a). Lui non voleva governare l’Impero insieme a una donna, come Augusto aveva fatto; eppure era stata Livia ad assicurargli la successione, ché senza di lei non l’avrebbe ottenuta e per questo Livia riteneva conseguente primeggiare, anche sul proprio figlio.
L’Augusta rivestiva in ogni modo un ruolo di grande prestigio, superiore a quello delle donne del passato, al punto da ricevere senatori e popolo quando venivano in casa sua a salutarla. Nel giorno in cui ha dedicato una immagine di Augusto nel palazzo avrebbe voluto invitare a banchetto senatori e cavalieri con le loro consorti, ma Tiberio, udito il senato, le ha concesso solamente d’intrattenere le signore davanti a casa sua, mentre lui ha invitato senatori e cavalieri davanti alla propria abitazione (tavv. 4, 9a). Inoltre, durante un incendio scoppiato vicino al tempio di Vesta, Livia aveva esortato soldati e popolo a portare soccorso, ma l’ardimentosa iniziativa era dispiaciuta al principe. Tuttavia Livia non ha mai osato entrare in senato, negli accampamenti o nelle assemblee, come invece è accaduto a mia madre e a me.
Fin da principio Tiberio ha tralasciato il culto di Vesta, accolto a palazzo nel cavedio della parte pubblica. Infatti la dea troiana, parente dei Giuli tramite Enea che aveva introdotto il suo culto nel Lazio, era estranea ai numi domestici dei Claudi Neroni. La parte privata del palazzo, a Livia riservata, appariva come un museo di Augusto, tanto che nessun Cesare ha più osato abitarvi; poi vi hanno alloggiato solo Auguste, come Messalina e io.
Livia teneva chiuse le stanze più intime di Augusto e Messalina ha pensato soltanto a spassarsela, così sono stata la prima a riaprire la camera da letto del bisnonno e a riusare lo studiolo Syracusae con i suoi archivi.
Alla fine Tiberio ha troncato ogni rapporto con la madre. La rottura è avvenuta nel giorno in cui Livia ha tirato fuori dal sacrarium e ha letto ad alta voce scritti di Augusto nei quali criticava l’umore insopportabile di suo figlio adottivo.

Primi processi

Dopo la rottura con Livia, Tiberio era solo, sospettoso, e ha dato i primi segni di crudeltà.
Nel 23 Elio Saturnino ha scritto versi sconvenienti su di lui ed è stato precipitato dal Campidoglio.
Nel 25 Cremuzio Cordo, uomo rispettabile alle soglie della vecchiaia, è stato costretto a morire di fame perché in contrasto con il prefetto al pretorio Seiano. Non potendo essere sottoposto ad accuse di rilievo, è stato processato per aver scritto un’opera storica su Augusto nella quale elogiava i cesaricidi Bruto e Cassio, esaltando quest’ultimo come ultimus Romanorum. Le copie dei suoi Annales sono state bruciate, ma sua figlia Marcia ne aveva nascosto una, che ha consentito, al tempo di Caligola, una riedizione che ha avuto fortuna. Nel processo lo storico si era difeso affermando: «Non hanno forse diritto Bruto e Cassio di conservare la loro memoria nelle opere degli storici, i quali, pure morti ormai da settant’anni, sono rappresentati nelle statue che neppure il vincitore ha osato abbattere? La posterità conferisce a ciascuno l’onore che merita e non mancheranno coloro che si ricorderanno non solo di Cassio e di Bruto ma anche di me, se condannato a morte».

Germania, esercito in rivolta, vengo al mondo

Giunta la notizia che Augusto era morto e che Tiberio gli era succeduto, le tre legioni stanziate in Illiria (tav. 30) e le otto sul Reno si sono ribellate, stanche del servizio ventennale, a volte perfino trentennale, e del soldo inadeguato: lo volevano pari a quello dei pretoriani. Più di un terzo dell’esercito dell’Impero era in rivolta! Druso figlio di Tiberio ha avuto l’incarico di fermare la sedizione in Illiria e Germanico, suo figlio adottivo, quello di fermarla sul Reno.
Germanico ha sempre desiderato imitare le gesta di suo padre Druso, attuate tra il 12 e il 9 a.C. (tav. 27b). Fin dall’inizio della sua carriera, grazie a un felice carattere, mio padre si era impegnato a dimenticare i risentimenti di Livia e Tiberio nei confronti dei Giuli. Preferiva creare che distruggere: confidava nella forza del bene che da lui emanava, errore che ha pagato con la vita.
Druso padre aveva conquistato la Germania navigando fin sull’Oceano settentrionale e aveva eretto un trofeo al fiume Albis, ultimo limite immaginabile di un possibile mondo civile. Ma proprio su quella riva gli era apparso un essere femminile barbaro, grande tanto da parergli soprannaturale, che parlando curiosamente in latino lo aveva indotto a ritirarsi. Nel 9, anno della sconfitta di Varo, Druso è caduto da cavallo e il cavallo è caduto su di lui rompendogli una gamba, la quale si è infettata e in un mese lo ha portato alla morte negli accampamenti estivi chiamati poi «Campi scellerati». Tiberio è corso dal fratello morente, arrivando a compiere 200 miglia3 in un giorno e una notte, e Druso è morto poco dopo tra le sue braccia. È stato questo un altro segno che il bene è più debole del male. In memoria di Druso sono stati eretti un tumulo e un’ara a Mogontiacum4, davanti ai quali ogni anno i soldati sfilano e le città galliche sacrificano.
A Roma, Tiberio ha pronunciato l’elogio funebre per suo fratello nel Foro e Augusto lo ha fatto nel Circo Flaminio. A quel tempo mio padre, che fino ad allora si chiamava Nerone Claudio Druso, ha ricevuto il cognome di Germanico in memoria delle gesta eroiche del padre. A quel tempo mio padre aveva sei anni, ma non ha più dimenticato la cerimonia funebre di Druso e per tutta la vita ne ha imitato la positività e l’audacia.
Nel 14 stazionavano lungo il Reno otto legioni, alloggiate due a due in quattro campi: Castra Vetera5 e Ara Ubiorum6 sotto il legato7 Cecina Severo; Mogontiacum e un altro campo (forse Argentoratae) sotto il legato C. Silio (tav. 28b). Le Gallie, opportunamente censite, erano allora fortemente tassate per rifornire l’esercito di uomini e cavalli. Si stava preparando la riscossa all’eccidio di Teutoburgo.
Morto Augusto e succedutogli Tiberio, l’esercito in Germania si è rivoltato per i troppi anni di servizio (oltre i 16 anni di ferma), per il soldo inadeguato (veniva chiesto un denario al giorno) e per la crudeltà dei centurioni nei confronti della truppa. Le legioni intendevano marciare su Roma, così Druso figlio di Tiberio si è mosso contro di loro insieme al prefetto e alla guardia pretoriana, ma senza successo, tanto che è finito sotto custodia.
Sono stati benvenuti segni dal cielo – una eclissi di luna e una tempesta – a togliere coraggio ai rivoltosi. Alcuni dei più violenti, poi convocati nella tenda da Druso, sono stati uccisi.
Ma in Germania la protesta non ha riguardato soltanto il servizio militare. Le legioni ardevano dal desiderio che Germanico respingesse la successione di Tiberio e marciasse su Roma per imporsi, forte dell’appoggio dell’esercito e del favore della plebe. Così gli hanno offerto il potere sovrano e lo hanno acclamato imperatore.
Mia madre in segreto era contenta che la truppa non avesse riconosciuto la successione di Tiberio. Ma mio padre non aspirava all’I...

Indice dei contenuti

  1. Prologo
  2. Al tempo di Augusto
  3. Al tempo di Tiberio
  4. Al tempo di Caligola
  5. Al tempo di Claudio
  6. Al tempo di Nerone
  7. Epilogo. Tra Nerone e Vespasiano
  8. Nota dell’Autore
  9. Tavole
  10. Immagini
  11. Referenze iconografiche