I. Verso la teoria del conflitto sociale pensando alla libertà (1953-1968)
1. Dalla «riscoperta di Marx» alla teoria del conflitto nella società industriale
Il percorso intellettuale di Ralf Dahrendorf è caratterizzato dal continuo passaggio dei confini: geografici, disciplinari, tra differenti sfere di attività. Per descriverlo, egli utilizza il termine tedesco Werdegang: un percorso evolutivo, che procede «per tentativi ed errori», nella vita privata e pubblica come nella ricerca scientifica, pur senza per questo perdere coerenza e rigore, nella ricerca delle condizioni migliori perché possa dispiegarsi liberamente.
Proprio per questa formazione ricca e composita egli non è direttamente riconducibile ad alcuna scuola di pensiero, sia essa tedesca o anglo-sassone. Ha sempre scelto dei temi «scomodi», da sviluppare nel suo lavoro intellettuale così come da porre nella vita politica. I suoi primi scritti trattano argomenti che egli considera «controcorrente» rispetto al pensiero dominante: Karl Marx, le classi sociali, il conflitto, la libertà.
Gli anni della formazione sono veramente rilevanti per comprenderne gli interessi di ricerca, il metodo, il modo di affrontare il rapporto tra teoria e prassi, tra scienza e politica, la prospettiva liberale. Il percorso dei suoi studi non è lineare e presenta dei passaggi disciplinari che, in seguito, hanno finito col caratterizzare il suo approccio in modo originale.
Il percorso universitario è trasversale a differenti discipline, coniugando la filologia classica con la filosofia. L’influenza del filologo Ernst Zinn ha portato Dahrendorf a sviluppare competenze nel campo della critica testuale che applicherà, in seguito, anche nelle altre discipline, dando una particolare impronta soprattutto alle sue opere giovanili. È decisivo l’incontro con Josef König, il quale lo orienta alla filosofia sociale e a prendere coscienza del complicato rapporto tra teoria e prassi, ponendo così le premesse per quel particolare approccio al problema che ha poi sviluppato attraverso il pensiero di Immanuel Kant, Max Weber e Karl Popper.
Dahrendorf è già interessato alla politica ed è impegnato nel partito socialdemocratico. I temi cui si appassiona sono la libertà e la giustizia sociale, grazie a una cultura che è quasi un’eredità naturale: «La mia famiglia era rigorosamente inserita nella tradizione del movimento operaio: si trattava quasi di un elemento della nostra vita quotidiana».
Incoraggiato da König, è attratto dalla possibilità di elaborare le premesse per una nuova filosofia sociale e decide di sviluppare una tesi di laurea intitolata: Sul concetto di giusto nel pensiero di Karl Marx, discussa il 29 febbraio 1952, pubblicata successivamente, nel 1953, con il titolo: Marx in prospettiva. L’idea di giusto nel pensiero di Karl Marx.
Alcuni temi della sua tesi in filosofia – il conflitto, il mutamento sociale, le classi, la libertà e l’uguaglianza – influenzeranno il suo lavoro di ricerca come sociologo e ne diventeranno il Leitmotiv. Nella prima parte del libro, Dahrendorf compie un vero e proprio esercizio filologico nell’analizzare il concetto di giustizia, procedendo attraverso enunciati generali a partire dall’impiego linguistico del termine. L’analisi dimostra una conoscenza approfondita dell’opera marxiana, la cui critica è condotta con argomentazioni solide. Secondo l’autore, in Marx si possono distinguere due accezioni di giustizia: un concetto «relativo», associato alla classe dominante e ai diritti connessi alla posizione dominante, e un concetto «assoluto», riferito alla società comunista.
Appare evidente come egli sia passato dall’interesse iniziale per la filosofia di Marx a quello per la sua analisi di carattere sociale, proponendo la tesi del «doppio Marx», il filosofo hegeliano e il sociologo moderno.
Egli è particolarmente interessato all’analisi marxiana delle classi e del cambiamento sociale, temi cautamente evitati nella Germania appena uscita dal nazionalsocialismo, in cui vige un particolare clima culturale: «Marx era un tabù e al posto delle classi c’era la comunità popolare (Volksgemeinschaft), i conflitti erano comportamenti devianti da sopprimere».
La parte conclusiva dell’analisi termina con dodici «Tesi per la critica di Marx»: le prime quattro evidenziano gli aspetti contrapposti del duplice Marx, le altre quattro sostengono che ciascuno dei due Marx potrebbe essere accettato o respinto indipendentemente dall’altro, nella convinzione che sia necessario scindere le due parti dell’opera marxiana per arrivare ad una critica ragionata del suo contributo teorico.
Le tesi successive dimostrano che, fin dall’inizio dei suoi studi, Dahrendorf è attratto dalla possibilità di impiegare la libertà come categoria applicata all’analisi sociale; un concetto che nell’opera marxiana si trova in relazione con quello di lavoro, indissolubilmente correlato al «regno della necessità»: «I contributi essenziali e considerevoli della parte socio-filosofica dell’opera di Marx sono: a) il suo concetto di lavoro e soprattutto b) il suo pensiero sulla libertà». Il concetto di libertà elaborato da Marx, sganciato dalla concezione deterministica della storia e dalla visione escatologica di stampo hegeliano, sottoposto al vaglio «dei fatti empirici» – come afferma nella dodicesima tesi – permette di porre delle questioni aperte, interessanti da approfondire sul terreno dell’analisi sociale, come la teoria delle classi, la critica dell’ideologia e le ipotesi circa il mutamento sociale.
Le conclusioni cui perviene nella tesi di laurea definiscono l’agenda di ricerca che ha poi sviluppato successivamente: il nesso tra cambiamento economico e trasformazioni sociali, le circostanze che favoriscono l’emergere di nuove forze produttive, motore del cambiamento, contro la resistenza dei rapporti di produzione esistenti. In particolare, Dahrendorf sottolinea il potenziale euristico del modello dicotomico adottato da Marx, imperniato sulla contrapposizione conflittuale tra due classi sociali, l’una portatrice di cambiamento, l’altra di conservazione delle strutture esistenti e degli interessi consolidati.
Risulta chiaro che, dovendo scegliere uno dei «due Marx», egli preferisce il sociologo, studioso dell’economia politica, delle rivoluzioni industriale e francese, la cui originalità è proprio nella centralità attribuita alle classi sociali e al conflitto tra gruppi sociali che si trovano in determinate condizioni di vita.
Quando Dahrendorf rivede questo lavoro, vent’anni dopo, ha nel frattempo acquisito nuovi strumenti concettuali e adottato una prospettiva inedita: se nella tesi di laurea e nella prima edizione proponeva la formulazione di una nuova teoria socialista, nella seconda edizione prospetta una nuova politica social-liberale, con un’enfasi particolare posta sulla libertà. Egli ritiene, infatti, che il problema della libertà dell’essere umano, della sua ricerca di autonomia nelle scelte e negli obiettivi, sia rimasto il grande tema della teoria politica. Nel frattempo, tra un’edizione e l’altra, ha sviluppato una visione kantiana dell’emancipazione liberale, collegata alla tesi filosofica che ciascuno abbia diritto alla propria autonomia, alla determinazione del proprio destino, all’uscita dallo «stato di minorità». Il problema della libertà dell’essere umano, la sua ricerca di autonomia nelle scelte e negli obiettivi, va sviluppato in relazione a quello dell’uguaglianza che, a seconda della sua declinazione, può essere la condizione necessaria della libertà oppure costituirne un limite (infra).
1.1. La scoperta della società, dell’industria e del conflitto «Nella mia tesi su Marx avevo promesso una nuova filosofia sociale, ma in Germania era difficile trovare il modo di arrivarci; nella patria dello spirito le università non avevano ancora scoperto la società». Così, nel settembre 1952, Ralf Dahrendorf parte per Londra e inizia il dottorato in sociologia alla LSE, inseguendo le orme di Karl Mannheim, il cui libro Diagnosi del nostro tempo lo ha particolarmente colpito.
L’ambiente intellettuale della LSE si rivela decisivo per la sua formazione come sociologo e lo avvicina alla scuola anglo-sassone, consentendogli di «penetrare a fondo nel mondo concettuale della sociologia». Sotto l’influenza di Thomas Marshall – suo supervisore durante il dottorato – e della sua opera Cittadinanza e classe sociale, egli comincia a interessarsi all’analisi dello sviluppo della partecipazione sociale e politica e della società civile, affrontato in relazione al tema delle classi e della stratificazione sociale.
L’influenza marxiana, che ha acceso in lui l’interesse per le classi sociali e il lavoro, trova rispondenza nella nascente attenzione per la società industriale e per lo studio della condizione operaia. La tesi di dottorato, centrata sul lavoro non qualificato nell’industria britannica, gli offre l’occasione di raccogliere materiale teorico ed empirico da cui attingerà in seguito, per interpretare le relazioni di lavoro nella società industriale e le potenzialità di cambiamento da parte di attori sociali in condizioni di deprivazione.
La sociologia britannica sviluppa temi e si pone problemi metodologici lontani e, spesso...