V. La Chiesa dell’accoglienza
«Io vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri. Amatevi come io vi ho amato! Da questo sapranno che siete miei discepoli: se amate gli uni gli altri» (Vangelo di Giovanni 13, 34-35).
L’amore è la dimensione fondamentale della vita, senza amore non si può vivere.
Dio è amore. Il Vangelo ci comunica e ci propone l’amore incondizionato di Gesù come percorso e senso profondo della vita. Senza amore non c’è fede in Dio, non c’è riferimento al Vangelo di Gesù di Nazaret. Sono convinto che nella nostra vita questo nucleo sia decisivo; sentirsi accolti, amati, considerati, è l’esigenza prioritaria dell’essere umano da quando nasce a quando muore, in tutte le fasi e situazioni della vita.
Ma in che cosa si traduce concretamente questa dimensione fondamentale? Quali sono le esperienze quotidiane in cui si incarna questa relazione così importante e insieme così fragile? Quali i problemi, le sofferenze, i dubbi di cui sento ogni giorno vivida testimonianza dalle voci delle persone che sono in cerca di una risposta, anche dalla Chiesa?
In questo ambito così vasto si collocano questioni decisive per le nostre vite, questioni che interrogano ciascuno di noi, e in senso più ampio la società , la cultura, le istituzioni, la politica, le leggi, l’etica, la fede. Amore, matrimonio civile e religioso, separazione e divorzio, procreazione, contraccettivi e aborto, omosessualità , celibato dei preti, delle religiose e dei religiosi, pedofilia, malattia, sofferenza, fine-vita, morte. Questioni spesso oggetto di trattazione superficiale o di dure prese di posizione proprio da parte di chi dovrebbe avere come riferimento costante il Vangelo. Ma il Vangelo orienta le scelte etiche, non stabilisce legislazioni e ordinamenti.
Ancora una volta mi viene spontaneo chiedere che cosa ha insegnato Gesù di Nazaret rispetto a questioni così importanti. La risposta è sorprendente nella sua semplicità : il suo invito è ad amarci come lui ci ha amati perché da ciò riconosceranno che siamo suoi discepoli. Un amore incondizionato, fatto di attenzione, ascolto, perdono, guarigione, incoraggiamento, fiducia, serenità e pace.
Su queste complesse e pregnanti questioni, davvero decisive per la nostra vita, nei Vangeli si trova un riferimento al matrimonio e al divorzio, un cenno di possibile orientamento al celibato per il Regno dei Cieli, e nient’altro. Non una parola su tutte le questioni che interrogano le coscienze in questo avvio di XXI secolo: contraccettivi, procreazione assistita, aborto, omosessualità , malattia e morte. Non è al Vangelo che ci si può richiamare per un’indicazione letterale su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato (anche se, in realtà , non lo si fa per altri motivi). Ci si riferisce piuttosto ai principi, alla legge naturale, ai valori non negoziabili. Certamente il Vangelo si incarna e si attua nella storia. Ma è con profonda umiltà che dobbiamo cercare di rapportare la fede e la storia, il Vangelo e la vita, a partire dai vissuti delle persone, e dalle diverse situazioni sociali e culturali presenti oggi nel mondo. Se partiamo dalle storie delle persone, nel Vangelo troveremo luce, guida, orientamento, verifica, sostegno, tenendo in considerazione il tema dell’incarnazione.
Intendo il mio compito, la mia missione, il mio essere uomo del Vangelo, come essere sempre disponibile all’ascolto e alla comprensione autentica.
Recentemente un giovane che aveva preso consapevolezza della propria omosessualità mi confidava di sentirsi spaventato all’idea che la notizia di questa sua condizione affettiva trapelasse nell’ambito della comunità parrocchiale e del consiglio pastorale di cui faceva parte. Nel dialogo diretto e sincero con chi vive una lacerazione tra la propria condizione e l’astratta dottrina di una Chiesa a volte distante, affiorano le sofferenze e le angosce. Emerge la paura di rimanere soli ed emarginati, esclusi da un mondo di conforto e di ricchezza spirituale a cui si vorrebbe aderire senza nascondimenti e ipocrisie, nella pienezza del proprio essere. Ho ascoltato a lungo questo ragazzo. Ho cercato di rasserenarlo dicendogli che anche Gesù lo avrebbe accolto e rasserenato; che lo avrebbe esortato a vivere la sua affettività e sessualità in modo sereno, con l’unica, fondamentale attenzione – che vale per chiunque – a non strumentalizzare mai nessuno, meno che mai le persone più deboli, più fragili, più esposte.
L’ideale di un nucleo affettivo composto da una donna, un uomo, uno o più figli, non deve comportare un giudizio negativo, né tantomeno discriminazione nei confronti delle coppie di fatto e delle coppie omosessuali. La considerazione di fondo per qualsiasi situazione dovrebbe riguardare l’amore, liberandolo, come il Vangelo ci insegna, da egoismo, dominio, possessività , strumentalità nei confronti dell’altra o dell’altro. E questo, ripeto, vale per tutti, che siano etero oppure omosessuali.
La Chiesa magisteriale continua ad affermare che «l’omosessualità è contro natura». Ma la loro ‘natura’ è quella; come possono essere contro la loro natura, contro se stessi? La Chiesa appare loro lontana, incapace di accoglierli. Tante donne e tanti uomini omosessuali credenti vivono, fortunatamente, esperienze molto profonde e significative di lettura della Parola del Signore, che è accoglienza e sostegno.
Ogni giorno ascolto storie di sofferenza legate alla fragilità della famiglia; ogni giorno ascolto storie di rapporti familiari sereni. Sono frequenti, rispetto al recente passato, le convivenze, i matrimoni civili; mentre diminuiscono in misura significativa i matrimoni in chiesa. Che dovrebbero diventare il segno di una fede cercata, vissuta, testimoniata, a cominciare dalle modalità di celebrazione: discrete, sobrie, alternative – in nome del Vangelo – a cerimonie vistose, a esibizioni di apparenza e di consumismo. In più di un’occasione sono stato confortato dalle scelte degli sposi, che hanno destinato il ricavato di offerte e regali a progetti di solidarietà locali o internazionali.
Le separazioni così frequenti, se abbandoniamo i facili moralismi, interrogano noi tutti sull’amore, sulle sue motivazioni, sui progetti di vita e sulle fragilità a cui sono esposti; sulla relazione di coppia, sulla disponibilità ad accogliere reciprocamente la diversità dell’altro; sulla liberazione da una concezione egocentrica della vita che esige che tutte le situazioni abbiano come riferimento iniziale e finale il proprio io. Sono interrogativi doverosi e stringenti, che investono anche i tanti casi in cui non si arriva alla separazione, ma che sono segnati da incomprensione, incomunicabilità , sottili forme ricattatorie o di violenza esplicita, in particolare su donne e bambini.
Sono certo che tutte le donne e gli uomini di buona volontà sperano che il rapporto d’amore che li unisce possa essere duraturo, permanente, proprio perché credono in quello che vivono e lo avvertono come fondamentale per la loro vita. Questo è anche il sogno di Dio: che due persone che si amano possano, per il loro bene, continuare a farlo. Ma poi – come risponde Gesù a chi gli chiedeva cosa pensasse della legge di Mosè (Vangelo di Matteo 19, 1-9) che in alcuni casi prevedeva il divorzio – la fragilità , l’egoismo, il fraintendimento, la mancanza di sincerità e di coerenza, la durezza del nostro cuore, portano a situazioni difficilmente vivibili o del tutto invivibili. E questo sia nelle convivenze sia nei matrimoni celebrati civilmente sia in quelli celebrati religiosamente (che non sono di per sé una garanzia di maggior durata, coerenza, fedeltà ).
L’attuale Concordato fra Stato e Chiesa in Italia (1984) sancisce che il matrimonio celebrato religiosamente ha contestualmente anche valore civile. Sarebbe invece importante distinguere i due momenti: la celebrazione civile con i suoi vincoli e le sue conseguenze legislative per la famiglie, nella società ; la celebrazione religiosa come scelta di vita, come orientamento che si fonda sul Vangelo, come segno nella comunità cristiana, come assunzione dell’impegno della testimonianza e della coerenza. Così cerco di non pensare al fatto che, contestualmente, celebro l’eucarestia e il matrimonio e sono un ufficiale di Stato civile. È una sovrapposizione incongrua: smentisce la laicità delle istituzioni e delle scelte; fa perdere alla fede la profondità dell’annuncio e della profezia.
Mi è capitato di partecipare anche a matrimoni celebrati civilmente in cui, da cittadino, da amico, ho espresso brevi riflessioni prive di riferimenti religiosi espliciti, ma che di fatto comunicavano quei valori di fondo della vita in cui possiamo tutti riconoscerci e che nel Vangelo trovano ulteriore sollecitazione e incoraggiamento.
Oggi ci si separa con frequenza, si divorzia, si formano altri nuclei familiari. Le situazioni non sono semplici né per le donne, né per gli uomini, né per i figli. È per questo che diventa molto importante accogliere, ascoltare, supportare, accompagnare.
Essere a favore del matrimonio indissolubile non significa contrastare la possibilità del divorzio e di sancire legalmente un nuovo nucleo familiare, nel rispetto di chi lo sceglie e lo decide. Non avverto contraddizione in questa posizione, bensì rispetto e attenzione; essa peraltro non sminuisce affatto l’impegno nel favorire rapporti d’amore più profondi e stabili possibili.
La Chiesa magisteriale afferma che coloro che hanno celebrato il matrimonio religioso e poi si separano, divorziano e costruiscono – legalmente o meno – un nuovo nucleo familiare, di fatto vengono meno a quel patto di fedeltà che avevano assunto come progetto e come impegno di fronte a Dio, nella Chiesa, e che quindi non dovrebbero vivere relazioni di amore con un nuovo partner, perché questo significherebbe negare l’indissolubilità del matrimonio.
In questa situazione i divorziati risposati possono sì partecipare alla vita della comunità , alla celebrazione dell’eucarestia, ma non viverla pienamente con la comunione, perché hanno rotto l’indissolubilità del matrimonio.
Un nuovo legame d’amore è possibile solo se vengono esclusi i rapporti sessuali. Ciò appare davvero paradossale: come si fa a non riconoscere la globalità della persona umana; a dividerla e dissociarla; come si può pensare che la sessualità sia una dimensione separata dall’amore fra due persone e non invece la sua espressione comunicativa?
Chi chiede di vivere l’eucarestia pienamente, e cioè con la comunione, il più delle volte è fortemente motivato perché avverte l’esigenza di incontrare la Presenza del Signore, che comunica luce, forza, coraggio, sostegno. Come è possibile negare questa esigenza a chi lo desidera? Mi è capitato spesso di accogliere persone, donne in particolare, che piangevano esprimendomi questo loro bisogno in modo accorato. Personalmente, non mi sono mai sentito di rifiutare la comunione ad una persona separata, divorziata, risposata, che con serietà e responsabilità abbia espresso il desiderio di riceverla. E perché, allora, non si dovrebbe rifiutarla anche a chi è palesemente responsabile di ingiustizie, di assassinio per fame, sete, mancanza di cure, a chi ruba strutturalmente con l’adesione personale al sistema dominante? A chi fabbrica e vende armi; a chi decide le guerre che distruggono soltanto e mai nulla risolvono? A chi discrimina e attua legislazioni xenofobe e razziste? A chi contribuisce alla distruzione delle specie viventi, a chi usurpa le risorse, a chi distrugge l’ambiente?
Penso sia estremamente urgente per la Chiesa universale e le nostre comunità parrocchiali ripensare ad una pastorale per la famiglia, scendendo dal piano ideologico-religioso; è necessario informare e formare ai sentimenti, all’amore, alla sessualità , alla contraccezione, alla procreazione responsabile, incontrare le persone separate, divorziate, risposate civilmente, contribuire ad una consapevolezza il più possibile aperta e serena per celebrare pienamente l’eucarestia con la comunione. Questo bisognerebbe fare perché la Chiesa diventi la Chiesa dell’accoglienza.
E ancora, che risposte vengono date a questioni delicate come quelle legate alla possibilità di avere figli con l’ausilio della scienza medica? L’attuale legislazione prevede la possibilità della fecondazione in vitro omologa, cioè con entrambi i coniugi coinvolti biologicamente (seme e ovulo forniti dai coniugi). La fecondazione artificiale eterologa – nella quale almeno uno dei due futuri genitori non è coinvolto biologicamente – non è prevista e vede la Chiesa contraria. Di nuovo: se la questione riguarda l’amore che accoglie e sostiene una vita umana, si dovrebbe porre molta più attenzione alla maggior o minor qualità di questa dimensione fondamentale, anziché all’aspetto biologico. L’attenzione, la cura, la delicatezza nei confronti degli embrioni in soprannumero devono essere sostenute da atteggiamenti e decisioni di rilevante spessore etico, mai essere considerate con superficialità e pressappochismo. Una donna mi ha chiesto di battezzare la sua bambina nata con fecondazione eterologa; temeva di non essere accolta nella Chiesa. Abbiamo dialogato a lungo e poi abbiamo celebrato il battesimo con molta commozione.
Una questione delicatissima è quella dell’aborto. Chi non è contro l’aborto? Ricordo che, nel periodo precedente al referendum sulla legge 194 sulla tutela della maternità e dell’interruzione volontaria della gravidanza, così si espresse il segretario dell’allora Partito comunista italiano Enrico Berlinguer: «Siamo contrari all’aborto; ci impegnamo, anche attraverso l’approvazione di questa legge, a liberare progressivamente la società dall’aborto». Anche cattolici come Raniero La Valle, Mario Gozzini ed altri, erano impegnati in Parlamento non a contrastare pregiudizialmente la legge, ma a renderla migliore, attenti ai diversi aspetti, tutti estremamente delicati e coinvolgenti.
Sono, siamo contrari all’aborto; in uno Stato laico e pluralista dovremmo assumere una posizione non pregiudiziale e piuttosto impegnarci nell’informazione, nell’educazione all’amore e alla sessualità ; alla prevenzione, alla contraccezione, alla procreazione responsabile, al rispetto dell’altra persona.
Dobbiamo cercare di prevenire quanto più possibile le situazioni in cui una donna si trova ad affrontare una così drammatica scelta. La legge 194 non ha favorito gli aborti, che infatti sono diminuiti; piuttosto ha fatto sì che questo dramma emergesse dalla clandestinità consentendo alle donne di non essere abbandonate alla loro solitudine in condizioni pericolose, come è avvenuto per decenni.
Certo, possono verificarsi anche casi in cui questa scelta viene fatta con leggerezza e superficialità , a conferma di una mancanza di etica e di senso di responsabilità personale, ma è sul clima sociale e culturale che bisogna intervenire così da eliminare ogni possibile superficialità e leggerezza.
Il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2270-2271-2272-2273) recita: «la vita umana deve essere rispettata in modo assoluto fino dal momento del concepimento. Dal primo istante della sua esistenza l’essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, fra i quali il diritto inviolabile di ogni essere umano alla vita... Fin dal primo secolo la Chiesa ha dichiarato la malizia morale di ogni aborto provocato. Questo insegnamento non è mutato. Rimane invariabile. L’aborto diretto, cioè voluto come un fine e come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale... La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. Chi procura l’aborto, ottenendo l’effetto, incorre nella scomunica latae sententiae, per il fatto stesso di aver commesso il delitto e alle condizioni previste dal Diritto. La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno incomparabile causato all’innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società ».
È una questione davvero delicata. Ribadisco la contrarietà all’aborto, con questo interrogativo: è preferibile la situazione degli aborti clandestini o una legge che ne preveda la regolamentazione, e attraverso il dialogo inviti a riflettere prima di decidere? E poi è comunque prevista l’obiezione di coscienza. Mi chiedo sinceramente: contrastare la 194, nel mondo cattolico, cosa ha comportato in questi anni? Forse un maggior impegno all’informazione e alla educazione all’affettività e alla sessualità , alla contraccezione, a cominciare dalle parrocchie? Non mi pare. Di questo non si parla. I centri di aiuto alla vita svolgono senza clamore un compito importante, ma mirato al sostegno delle persone, non al contrasto ideologico-politico che porta a dividere le persone tra buone e cattive, dalla parte della vita o della morte! Con discrezione, e nel silenzio, in questi anni anche il Centro Balducci si è impegnato nell’offrire sostegno, nel rispetto profondo delle scelte personali.
Si afferma che questa legge attua un delitto contro la vita umana. Assumendo in toto la complessità di queste riflessioni, viene spontaneo domandarsi perché la Chiesa non usi lo stesso linguaggio e la stessa severità nei confronti di chi è responsabile della morte per fame e sete di un bambino ogni cinque secondi, dei commercianti di armi; dei ‘Signori della guerra’, dei trafficanti di droga; di chi rende schiavi donne e bambini e abusa di loro.
Nella mia vita di uomo e di prete ho ascoltato diverse donne che hanno abortito. Mai gli uomini, responsabili ugualmente e forse anche maggiormente di quella situazione. E questo è già un motivo di seria riflessione sul rapporto uomo-donna e sulle loro responsabilità personali e reciproche. La comunicazione delle donne è stata sofferta, dolorosa, in cerca di accoglienza e di ascolto, di liberazione dal senso di colpa. Ho sempre fatto il possibile per non alimentare questo senso di colpa e per favorire una riflessione pacata; per suggerire di guardare avanti, al futuro. Più di una volta mi sono espresso con queste parole: «Non si può tornare indietro e operare una scelta diversa; quella fatta resta nella tua vita, ne è parte. Dopo avere con calma e pacatezza riesaminato il contesto, la situazione, le motivazioni per riconsiderarli a distanza, per collocarli dentro di te in modo non disordinato, ma possibilmente chiaro, facendone il ‘conto’ esistenziale, ora guarda avanti. Cerca di favorire le situazioni di vita in te e attorno a te; di essere disponibile con le persone, in iniziative concrete, di non ricader...