
- 362 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Informazioni su questo libro
La natura prevalentemente predatoria della guerra, la proliferazione delle fortezze e l'ossessione dell'assedio, cosa avviene nelle battaglie in campo aperto, i ritmi stagionali dell'attività militare, il cibo e il corpo del soldato. Tutto quello che si deve sapere della guerra lungo l'arco dell'intero Medioevo e sconfinando oltre i limiti dell'Occidente. Settia ha una conoscenza quasi universale delle cronache e ne è il migliore specialista. Jean-Claude Maire Vigueur
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Rapine, assedi, battaglie di Aldo A. Settia in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a History e European Medieval History. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
Argomento
HistoryCategoria
European Medieval HistoryII.
Il riflesso ossidionale
1. Proliferazione delle fortezze e ossessione dell’assedio
Nel mondo antico ogni grande compagine politica, governata da un’autorità centrale efficiente, fa fronte ai suoi nemici esterni munendosi di fortificazioni periferiche, opportunamente disposte e presidiate, che divengono così anche un segno di ricchezza e di superiorità organizzativa rispetto ai potenziali aggressori. Alla metà del II secolo d.C. Elio Aristide poteva scrivere che la città di Roma non aveva bisogno di mura perché sufficientemente protetta dal metaforico muro delle sue legioni schierate ai confini dell’impero, ma meno di cento anni dopo le fortificazioni, prima dislocate esclusivamente sul limes, cominciano a diffondersi all’interno segnalando da un lato la sopravvenuta debolezza dell’autorità centrale e dall’altro la necessità di salvaguardare gli abitanti inermi dalle penetrazioni barbariche sempre più frequenti e profonde.
Nel dicembre del 406 Alani, Vandali e Svevi, superato il Reno nei pressi di Magonza, erano dilagati in Gallia e nulla aveva potuto proteggere la popolazione dalle loro violenze: «Non la densità delle selve – lamentò il vescovo Orienzio – né l’asperità delle alte montagne, né la corrente dei fiumi dal rapido gorgo; non i castelli dei singoli luoghi, né le città difese da mura; non l’intransitabile mare, né lo squallore del deserto; non i burroni scoscesi e neppure le caverne nascoste fra le rupi», così che l’improvvisa emergenza venne percepita come catastrofe «piombata sul mondo intero». Il Commonitorium di Orienzio pur esasperando, per amore di retorica, la realtà dei fatti, rivela che le mura urbane e le fortezze rurali allora già esistenti erano di numero ed efficacia del tutto insufficienti poiché fu necessario cercar scampo in rifugi occasionali offerti dalle condizioni naturali del terreno: caverne e gole nascoste in zone boscose e deserte, sommità rocciose ritenute inaccessibili, ostacoli fluviali e marini solo apparentemente insuperabili. È verisimile perciò credere che quella dura esperienza abbia contribuito a incrementare l’allestimento di altre cerchie urbane e, nelle aperte campagne, la costruzione di nuove fortezze di rifugio più sicure.
La storiografia corrente sino a pochi anni fa soleva senz’altro datare al III secolo tutte le mura di età romana ancora oggi esistenti, e solo di recente la più raffinata valutazione delle tecniche costruttive da un lato e l’apporto degli scavi archeologici dall’altro, hanno consentito di individuare più fasi che dal III secolo si estendono almeno sino al V interessando tanto le città quanto i centri abitati minori. La progressiva diffusione di fortificazioni pubbliche e private all’interno dell’impero, destinata a contrassegnare durevolmente la storia dell’Occidente, ha dunque i suoi inizi nel mondo tardo antico. I barbari avanzanti incontrano così davanti a sé sempre nuove mura elevate non solo per iniziativa di singole città, ma secondo un disegno strategico d’insieme che persegue, appunto, lo scopo di frazionare la forza d’urto delle penetrazioni nemiche. In tale «preludio di Medioevo», di fronte a città che si trasformano in fortezze, la guerra tende sempre più a manifestarsi come guerra d’assedio, caratteristica che rimarrà costante per molti secoli.
L’utilità delle fortificazioni dipende invero, più che dalla solidità, dalla risolutezza dei difensori: le città infatti, talora paralizzate da un eccessivo numero di rifugiati, piuttosto che affrontare i disagi di un assedio, preferiscono molto spesso negoziare un riscatto. Le fonti letterarie cominciano a far menzione di residenze fortificate private anche fuori delle città: Sidonio Apollinare descrive il burgus di Ponzio Leonzio (costruito all’inizio del IV secolo in corrispondenza dell’odierno Bourg-sur-Gironde, alla confluenza fra Garonna e Dordogna) enfaticamente presentato come un formidabile complesso dotato di torri e di mura che nessuna macchina da guerra, ariete, catapulta, né qualunque altra delle più avanzate tecniche d’assedio potrà mai abbattere. Ma quelle mura in realtà rinserrano lussuosi edifici termali con colonnati rivestiti di preziosi marmi importati da lontane regioni, ampi granai, locali riscaldati per l’inverno e un’officina di tessitura costruita in forma di tempio; sulla torre centrale, poi, si trova una sala da pranzo con vista sulle montagne che dominano l’orizzonte.
Non è da meno la grandiosa dimora che nel secolo successivo il vescovo di Treviri, Nicezio, ha fatto elevare sulla Mosella; essa, nella descrizione di Venanzio Fortunato, appare come un grandioso recinto murario guarnito di ben trenta torri attorno all’aula sorta su un’altura sino a poco prima boscosa. La moda di tali meravigliosi complessi dalla Gallia era passata in Italia: verso la fine del V secolo una fortezza simile aveva costruito nella sua diocesi il vescovo di Novara Onorato, definita dalle fonti come «affidabilissima speranza di vita» contro i pericoli di una possibile guerra. Nello stesso periodo il futuro re dei Goti Teodato aveva trasformato in residenza fortificata un’isola del lago di Bolsena: alle sue rocce, già protette dalle acque, l’opera dell’uomo aveva aggiunto «mura, ponti, propugnacoli e torri» al riparo dei quali il padrone poteva soggiornare sicuro in previsione, anche qui, di «orribili guerre».
Le descrizioni poetiche tendono retoricamente a presentare come fortezze inespugnabili quelle che erano in realtà sontuose ville residenziali il cui apparato difensivo, prendendo a pretesto le esigenze di sicurezza effettivamente sentite in alcuni momenti, mirava a una semplice esibizione simbolica divenuta moda aristocratica. Le fonti epigrafiche e i dati desunti dallo scavo archeologico e dal rilievo di strutture sopravvissute sino ai nostri giorni attestano nondimeno la comparsa, fra IV e VI secolo, di numerose fortificazioni minori certamente nate dalla necessità di proteggere le popolazioni locali. Nell’Italia del Nord molte si collegano al sistema difensivo alpino: si tratta di «castelli» di diverse dimensioni e struttura costituiti da robuste cerchie murarie allestite a protezione di insediamenti della pianura e del pedemonte, mentre sui rilievi più aspri sorgono rifugi resi sicuri dalla loro stessa posizione.
Apprestamenti analoghi e coevi sono attestati in Francia ed entro l’area romanizzata della Germania: si va da ville romane rafforzate con fossato e terrapieno ad autentiche fortezze indicate nei testi di Sulpicio Severo e di Gregorio di Tours con i termini castrum, castellum e oppidum, la cui natura è stata confermata in più casi dalle ricerche archeologiche; esse erano comprese nei possessi di grandi famiglie aristocratiche e costituivano lo sdoppiamento di insediamenti di pianura con evidenti funzioni di rifugio. Siamo anche qui di fronte a un certo «preludio di Medioevo» il quale però – sia chiaro – è ancora di là da venire; va quindi evitata la tentazione di vedere semplicisticamente le fortificazioni tardo-antiche come veri e propri castelli ante litteram: quelli che alcuni secoli dopo riempiranno della loro presenza l’intero Occidente non avranno alcun rapporto diretto con le lontane anticipazioni dei secoli IV e VI, da considerare quindi, tutt’al più, come una «preistoria» del vero castello medievale1.
La riprova, comunque, della frequenza dei luoghi fortificati e della importanza militare da essi assunta si ha attraverso le ventennali vicende della guerra greco-gotica, combattuta in Italia nel VI secolo, note attraverso il circostanziato racconto di Procopio di Cesarea. Le operazioni consistettero in massima parte nell’attacco e nella difesa di località murate rispetto alle quali gli scontri in campo aperto furono numericamente insignificanti riducendosi di fatto alle pur importanti battaglie di Tagina e dei Monti Lattari. Caratteristiche analoghe assumono le guerre combattute dai Franchi per la conquista dell’Aquitania dove, accanto a importanti cerchie urbane, erano stati recuperati molti antichi oppida, e numerosi «castelli» erano sorti sui percorsi stradali; la toponomastica rivela, da parte sua, una fitta serie di punti fortificati specialmente lungo le frontiere settentrionali e orientali. La «guerra dei castelli», inaugurata dunque da Belisario in Africa e in Italia, fu praticata anche in Spagna dai Visigoti contro Baschi e Bizantini, e dai Franchi e dagli Aquitani contro Visigoti e Arabi; gli Aquitani indipendenti vi ricorsero per contrastare il ritorno offensivo dei Pipinidi, e questi ultimi la riproposero contro i propri nemici, tanto che – come si sa – nella penisola iberica proprio la frequenza dei castelli sarebbe all’origine dei nomi di Catalogna e di Castiglia.
I Longobardi, divenuti dopo il 569 padroni dell’Italia, assimilarono abbastanza rapidamente, a proprio vantaggio, i criteri difensivi che erano stati propri dell’ultimo periodo romano e dell’età di Teodorico applicandoli contro i loro avversari transalpini, Franchi e Avari: la presenza di numerose città fortificate fu sfruttata ponendola in coordinamento con le Chiuse alpine che furono strumento, ancora per qualche secolo, di una difesa «elastica» in profondità di tipo tardo antico. Le Chiuse almeno dal IV secolo sbarravano le principali vie di accesso attraverso le Alpi ed erano collegate a un sistema di avvistamento e di rifugio; sino a metà dell’VIII secolo si poté così esercitare un’azione ritardatrice in corrispondenza delle valli alpine e il logoramento dell’aggressore lungo gli assi di penetrazione verso sud. In condizioni sfavorevoli i Longobardi si chiudevano nelle città della pianura padana eludendo il contatto con gli invasori, i quali erano perciò costretti a ritirarsi senza poter conseguire risultati decisivi. Se invece il rapporto di forze era positivo per i difensori, il nemico, sboccato in piano, poteva essere sorpreso e annientato in campo aperto, come infatti avvenne in più occasioni2.
Coloro che vissero nei territori romani durante gli ultimi tempi dell’impero dovettero soffrire di un vero e proprio «complesso dell’assedio» percepibile attraverso numerosi indizi. Nel IV secolo l’anonimo autore del trattato De rebus bellicis parla con apprensione dei barbari circumlatrantes: essi, abbaiando come cani, «stringono tutto intorno con la loro morsa l’impero romano». All’incirca nello stesso tempo Vegezio dedica gran parte della sua Epitoma rei militaris alla difesa delle località fortificate, implicitamente denunciando il fallimento di una concezione difensiva globale, il frantumarsi dell’unità imperiale e l’incapacità del potere di proteggere i suoi sudditi. La preoccupazione per l’assedio come realtà sempre incombente sembra passare integralmente ai barbari insediatisi sul territorio dell’antico impero romano d’Occidente: in Italia, in specie, i Goti di Teodorico ereditano dall’età tardo antica, insieme con superstiti idee di grandezza imperiale, anche le angosce di un mondo abituato ormai da secoli a vivere in stato di assedio, ed esse sembrano ben presenti, secoli dopo, nella mente di un barbaro romanizzato come Paolo Diacono.
È da notare, innanzitutto, che nella sua Storia dei Longobardi di fronte a non meno di trentacinque episodi di assedio e conquista di luoghi fortificati, le battaglie in campo aperto rievocate o ricordate in modo più o meno ampio non sono più di tre: tali dati confermano dunque l’importanza complessiva che l’assedio ha assunto rispetto ad altre forme di guerra. Nelle opere di Paolo si assiste poi alla sottolineatura e alla costante drammatizzazione di famosi assedi del passato: ecco Antiochia e Tiana assediate nel 271 dall’imperatore Aureliano, Metz, Orléans, Aquileia e Ravenna assediate da Attila, e Roma sottoposta a blocco da parte di Totila. Sotto la penna dello scrittore tali rievocazioni si arricchiscono di nuovi particolari leggendari e la durata attribuita agli assedi tende a lievitare: forse la suggestione viene da Giordane che già attribuiva al blocco di Ravenna da parte di Teodorico una durata triennale, certo è che, contro ogni dato storico reale, Paolo porta a tre anni gli assedi posti da Attila ad Aquileia e dagli Arabi a Costantinopoli nel 717.
Ad assumere intensità, durata e drammatizzazione prima ignota sono però soprattutto certi episodi relativi a Pavia. Qui, dove già Odoacre aveva assediato Oreste, padre dell’ultimo imperatore d’Occidente, Teodorico sarebbe stato bloccato per due anni; in seguito sarà Alboino a stringerla in un assedio, dalla sacramentale durata di tre anni, concluso da un miracolo che salva la città dalla distruzione, ricalcato su quanto le storie di Aureliano raccontavano a proposito di Tiana. In realtà è da respingersi non solo la durata triennale ma l’intero avvenimento che ha tutta l’aria di un calco fantasioso suggerito dalla mitizzazione dell’assedio come fatto topico, presente in forma quasi ossessiva nell’immaginazione di Paolo Diacono. Egli bene esprime, dunque, un modo di sentire più generale tipico non solo del proprio tempo ma anche di tempi precedenti e successivi nei quali appare di fatto già pienamente operante il «riflesso ossidionale»: di fronte a un attacco si tende, cioè, a reagire automaticamente rinchiudendosi con le proprie forze entro i luoghi fortificati3.
In tale quadro sembrerebbero nondimeno fare eccezione i Franchi che, sino ai primi decenni del IX secolo, sono costantemente all’attacco nella sottomissione dell’Aquitania, nella lunga e faticosa conquista della Sassonia e del regno longobardo, nello sforzo di imporre la loro autorità in Bretagna e sugli Avari; essi svolgono quindi senza dubbio un’intensa attività di espugnazione e di distruzione di fortezze nemiche ricorrendo anche – sempre in funzione offensiva – alla costruzione di nuovi apprestamenti. Solo quando i confini dell’impero carolingio cessano di ampliarsi si pensa ad allestire, oltre l’Elba, una linea difensiva continua a rafforzamento del limes Saxonicus; altre fortezze (utili, probabilmente, tanto per l’attacco quanto per la difesa) sorgono sulla frontiera orientale mentre, per contro, all’interno dell’impero, le antiche cerchie urbane vengono cedute a privati e tranquillamente usate come cave di materiali. Tale atteggiamento, manifestato da Carlo Magno e dai suoi immediati successori, era probabilmente implicito ne...
Indice dei contenuti
- I. La strategia della rapina
- II. Il riflesso ossidionale
- III. Uomini contro
- IV. Tempi di guerra
- V. Il corpo del soldato