1908. Firenze capitale delle avanguardie
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1908. Firenze capitale delle avanguardie

  1. 20 pagine
  2. Italian
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1908. Firenze capitale delle avanguardie

Informazioni su questo libro

20 dicembre 1908: a Firenze nasce "La Voce" di Giuseppe Prezzolini; 20 febbraio 1909: a Parigi "Le Figaro" pubblica il manifesto del futurismo; 13 gennaio 1913: Giovanni Papini e Ardengo Soffici, con Aldo Palazzeschi, danno vita, a Firenze, a "Lacerba". Sono queste le date entro cui si svolge la singolare e straordinaria esperienza di Firenze capitale delle avanguardie italiane, negli anni di Giolitti e della rivoluzione industriale. Nel 1911 "La Voce" entra in polemica con il futurismo e ne mette in ridicolo le innovazioni estetiche come stravaganti e cervellotiche. I futuristi reagiscono, futuristicamente, con una aggressione fisica contro i vociani fra i tavolini del caffè Giubbe Rosse e alla stazione. La rissa è la premessa di una svolta all'interno de "La Voce". Prezzolini continua a detestare il futurismo, Papini e Soffici lo apprezzano, diventano futuristi militanti e contestano a Marinetti il ruolo di capo del movimento. E intanto polemizzano con "La Voce", che polemizza con "Lacerba". La Firenze di quegli anni è - e tale rimane fino alla vigilia dell'intervento nella Grande Guerra - il centro dello scontro più animoso fra i movimenti culturali e artistici dell'avanguardia italiana. Per qualche anno: alla fine tutti si ritroveranno schierati, per motivi diversi, sul fronte interventista, convinti che solo la guerra possa essere l'inizio della rigenerazione del paese.

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Informazioni

1908. Firenze capitale delle avanguardie

di Emilio Gentile

Che cosa promettiamo?
Non promettiamo di essere geni, di sviscerare il mistero del mondo e di determinare il preciso e quotidiano menu delle azioni che occorrono per diventare grandi uomini. Ma promettiamo di essere onesti e sinceri.
[...]
Crediamo che l’Italia abbia più bisogno di carattere, di sincerità, di apertezza, di serietà, che di intelligenza e di spirito. Non è il cervello che manca, ma si pecca perché lo si adopera per fini frivoli, volgari e bassi: per amore della notorietà e non della gloria, per il tormento del guadagno o del lusso e non dell’esistenza, per la frode voluttuosa e non per nutrire la mente [...]
Noi sentiamo fortemente l’eticità della vita intellettuale, e ci muove il vomito a vedere la miseria e l’angustia e il rivoltante traffico che si fa delle cose dello spirito [...]
Di lavorare, abbiamo voglia. Già ci proponiamo di tener dietro a certi movimenti sociali che si complicano di ideologie, come il modernismo e il sindacalismo; di informare, senza troppa smania di novità, di quel che di meglio si fa all’estero; di proporre riforme e miglioramenti delle biblioteche pubbliche, di occuparci della crisi morale delle università italiane; di segnalare le opere degne di lettura e di commentare le viltà della vita contemporanea [...]
Soltanto occorre che il pubblico risponda. Col pubblico vogliamo stare in contatto, soprattutto con quello delle provincie e dei piccoli centri e delle campagne, dove si respira aria meno scettica che nelle mezze grandi città d’Italia.
Noi vogliamo cantare l’amore del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. Il coraggio, l’audacia, la ribellione saranno elementi essenziali alla nostra poesia. [...] Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno [...] Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la terra lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita [...] Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipotente. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli [...] Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle...
È evidente, dallo stile e dal contenuto di queste due citazioni, che si tratta di due testi diversi, scritti da persone diverse, con spirito diverso, con presupposti diversi, con obiettivi diversi.
La prima citazione è tratta dal secondo numero de «La Voce», la rivista fondata a Firenze da Giuseppe Prezzolini il 20 dicembre 1908. La seconda citazione è tratta dal Manifesto del Futurismo, pubblicato a Parigi su «Le Figaro» il 20 febbraio 1909. Solo tre mesi separano la nascita della rivista fiorentina dalla nascita del movimento futurista che ha il suo centro principale a Milano. Firenze e Milano sono le capitali delle due avanguardie italiane all’inizio del secolo, che entrarono subito in conflitto e diedero vita a una terza avanguardia, che nasce a Firenze il 1° gennaio 1913, con la rivista «Lacerba», fondata da Papini, Soffici, Palazzeschi, Tavolato. «Lacerba» nasce da una costola dissidente de «La Voce», come una contro-Voce, per introdurre a Firenze il futurismo, stabilendo un’alleanza con il gruppo futurista di Milano. Fino alla Grande Guerra, Firenze fu il luogo in cui si misero a confronto, o meglio, furono continuamente in situazione di scontro, «La Voce» di Giuseppe Prezzolini, «Lacerba» di Papini e Soffici futuristi, e i futuristi di Milano che collaborarono a «Lacerba», ma ne divennero poi gli antagonisti.
Dunque, fra il 1908 e il 1915, Firenze può essere considerata la capitale dell’avanguardia italiana. È il luogo geografico in cui si concentrano le due più importanti avanguardie italiane all’inizio del secolo. Anche se, come vedremo nella conclusione, la popolazione fiorentina non voleva affatto essere la capitale dell’avanguardia italiana.
Delle due avanguardie, certamente il futurismo appare oggi rappresentare, molto più de «La Voce», un grande evento internazionale. Dei due centenari, quello de «La Voce» è stato ricordato quasi in sordina, quello del futurismo è stato rievocato con una propaganda perfino assordante. È pertanto evidente quale delle due avanguardie abbia lasciato di sé una fama più duratura. E forse è giusto che sia così, soprattutto per l’importanza che il futurismo ha avuto nella storia dell’arte europea e mondiale del Novecento. Ma il futurismo oggi celebrato è un futurismo mutilato, amputato, epurato. Del futurismo si ricorda oggi, e si celebra, soltanto l’estetica. Invece delle idee futuriste sull’uomo, sulla vita, sulla politica, sulla società, sulla religione, sulla morale, sul costume, si parla molto meno, e comunque non se ne parla con lo stesso clamore col quale si parla della sua rivoluzione estetica. E non si parla affatto del laicismo integrale del futurismo, del suo integrale anticattolicesimo, del suo militarismo, del suo bellicismo, dell’amore per la violenza, del disprezzo per la donna. Il futurismo volle essere avanguardia di una rivoluzione antropologica, una rivoluzione culturale integrale, per creare un uomo nuovo, una nuova società, una nuova Italia, radicalmente diversa, e per moltissimi aspetti totalmente opposta, all’Italia nella quale oggi viviamo.
Avanguardia è un termine fondamentale per capire la nuova cultura che emerge in Europa all’inizio del secolo. Avanguar­dia viene dal linguaggio militare e fin dalla metà dell’Ottocento indica tutti i movimenti artistici e culturali modernisti, formati dai pochi intellettuali, scrittori, poeti, artisti che osano andare avanti, che vogliono precedere e guidare gli altri alla scoperta o alla creazione di nuovi mondi. Appartengono all’avanguardia modernista coloro che vogliono creare un’arte nuova, uno stile nuovo, una letteratura nuova e si sentono militanti contro un mondo ostile che è quello della tradizione dominante. Gli avanguardisti vogliono rinnovare la vita, vogliono rinnovare l’uomo.
Cosa hanno in comune le avanguardie che si scontrano a Firenze? Sembrerebbe ben poco, come abbiamo visto dalla citazione dei due programmi. La differenza appare enorme fin dall’esordio. Il primo numero de «La Voce» esce il 20 dicembre 1908 senza una dichiarazione di programma. Inizia immediatamente con gli articoli, come se stesse continuando un discorso iniziato da tempo. Poi, nel secondo numero, quello del 27 dicembre, c’è una semplice nota di programma, intitolata con tono di modestia e di impegno morale, La nostra promessa: vogliamo lavorare, informare, studiare, riformare, migliorare, e lo faremo lavorando e studiando. Un programma modestissimo, quasi un proponimento di buona condotta. Il futurismo invece nasce con un manifesto che annuncia l’assalto al cielo: il manifesto si concludeva con la frase: noi scagliamo la nostra sfida alle stelle!
Eppure, le due avanguardie hanno effettivamente alcuni motivi comuni. Entrambe operano nell’ambito dell’italianismo, cioè sono due movimenti per i quali la coscienza nazionale, la riforma del carattere italiano e l’obiettivo di creare una grande Italia sono elementi fondamentali, sono presupposti e obiettivi primari, anche se poi è completamente diverso, e persino opposto, ciò che loro pensano debba essere l’italiano nuovo, la nuova cultura nazionale, la nuova grande Italia. La loro stessa rivalità, e gli scont...

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