Fenomenologia del cialtrone
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Fenomenologia del cialtrone

Come riconoscere i buoni a nulla capaci di tutto

  1. 142 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Fenomenologia del cialtrone

Come riconoscere i buoni a nulla capaci di tutto

Informazioni su questo libro

Da Ser Ciappelletto, effigiato da Boccaccio nel Decameron, che in punto di morte riesce a indurre il frate confessore ad avvolgerlo con un'immeritata aura di santità, sino a Bruno Cortona del Sorpasso, interpretato da Vittorio Gassman.In questo libro troveremo teoria e pratica di un tipo umano che si annida ovunque, buono a nulla e capace di tutto: un prontuario tecnico, più che un'operetta morale, che delinea i contorni di una 'scienza esatta' capace di individuare, con occhio clinico e appropriata attrezzatura, l'infido e diffusissimo soggetto.Massimiliano Panarari, "La Stampa"

Che frequentiate semplici dilettanti o sofisticati professionisti della cialtroneria, troverete in questo libro preziose indicazioni per relazionarvi con queste creature senza farvi troppo male.Se, invece, pensate di non aver bisogno di consigli, allora cominciate a preoccuparvi: perché nessuno è immune dai cialtroni. Essi vivono fra noi e, talvolta a nostra insaputa, sono noi.

Domande frequenti

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Informazioni

1. Il cialtrone tra noi ovvero
Cialtroni sono sempre gli altri

Qualità precipua del cialtrone è la mediocrità. Egli ne ha fatto una regola di vita. Anzi, la regola. Il cialtrone non spicca in nulla, neppure nella cialtroneria; al massimo può arrivare a essere un mediocre cialtrone, essendogli l’eccellenza, foss’anche in negativo, preclusa per definizione. A lui si attaglia perfettamente quel che Leo Longanesi diceva per insultare qualcuno, attribuendogli l’appellativo di «testina di manzo numero due», per non concedere il primato neppure in negativo. Di perfezione, quindi, nemmeno a parlarne, essendo la dimensione dell’apprendimento, con la sottesa tensione al miglioramento, fondamentalmente estranea alla natura di questo tipo umano. Il cialtrone è quel che è, formato una volta e per sempre, ontologicamente determinato, immutabile come le montagne eppure proteiforme nella sua insipienza. Sono concetti densi e di non immediata comprensibilità (è palese), ma è il rischio che si deve correre se si vuole trattare una materia così gravida e magmatica come quella che è oggetto di questo studio.
D’altra parte, dopo millenni di empirismo cui finora ci siamo attenuti nei rapporti con il cialtrone, credo che i tempi siano maturi per tentare un qualche grado di elaborazione teorica. Il cialtrone è una componente onnipresente della nostra vita e noi abbiamo il dovere morale di imparare a parlare, a lavorare, a relazionarci: in una parola, a vivere con lui. Sia che vogliamo difendercene smascherandolo, sia che vogliamo andare a ingrossare le file del suo esercito (e sull’annoso tema se cialtroni si nasca o si diventi si tornerà più avanti), non possiamo prescindere dalla sua conoscenza, pur consapevoli dei limiti insiti nel compito, giacché il cialtrone – prodotto eminentemente umano ma che per alcuni versi sfugge all’umana limitatezza – si sottrae a ogni catalogazione troppo rigorosa.

Non sono vero ma ci credo

Come il Gastone di Ettore Petrolini, il cialtrone è un uomo «senza orore di se stesso» che si immerge con la nonchalance di un sub professionista nelle profondità più vertiginose dello scibile umano uscendone completamente vergine. Intellettuale o uomo di fatica, giovane o anziano, progressista o conservatore, il cialtrone si districa, si arrabatta o – come si dice in alcune zone particolarmente espressive del nostro Paese – «arronza», improvvisando quel che non sa. Ma non è propriamente un impostore; molto spesso è genuinamente convinto di avere le qualifiche necessarie per essere quel che non può essere. E questa illusione, cui egli stesso è il primo a credere, segna la distanza concettuale dal ciarlatano. Oggetto del nostro studio, pertanto, è proprio quell’abborracciatore orgoglioso di sé che abbiamo convenzionalmente scelto di definire cialtrone.
Non occorre una particolare sagacia interpretativa per rilevare la vicinanza di questo tema con quello trattato nella Vita quotidiana come rappresentazione di Erving Goffman. In essa il sociologo canadese sostiene con il suo tipico vigore teorico che ognuno mette in scena una rappresentazione di sé ogniqualvolta entra in contatto con un altro essere umano; e in questa rappresentazione, che ha i caratteri dello spettacolo teatrale, ciascuno si comporta in modo diverso da come farebbe se fosse da solo. In quel suo studio pionieristico del 1969 Goffman voleva forse sostenere che siamo tutti, almeno in parte, dei cialtroni?
Semplificando, si potrebbe dire che il cialtrone mette in scena un’immagine di sé e poi sospende indefinitamente l’incredulità con cui è necessario accostarsi a ogni finzione, la qual cosa gli conferisce un enorme potere di penetrazione nella realtà: identificandosi con la propria rappresentazione, il cialtrone diventa quel che non è e induce gli altri a trattarlo come se lo fosse. Ma fino a che punto il cialtrone crede veramente a se stesso? Fin dove è convinto di essere ciò per cui non ha alcuna qualifica? Dove finisce il cialtrone e dove comincia l’impostore?

Il (dis)senso dell’umorismo

Appare evidente che conditio sine qua non per poter dire di trovarsi in presenza di un vero cialtrone è l’assenza di senso dell’umorismo o, più precisamente, di autoironia. L’umorismo è radicalmente antitetico alla cialtroneria. Perché vi sia un sorriso o una risata è necessario un distacco tra il contenuto comico e il soggetto che lo rileva. Semplificando all’estremo: se si vede Ollio cadere nel tombino viene da ridere; ma se si comincia a pensare che potrebbe essersi rotto l’osso del collo non si ride più. L’eccessiva vicinanza uccide il divertimento. Ecco perché umorismo e cialtroneria sono irriducibilmente antitetici. Il cialtrone è totalmente solidale con l’immagine che propone di sé: lui vi si identifica, annullando così la distanza tra vero e falso. Il cialtrone che si illude di essere un attore pur non avendo alcuna attitudine alla recitazione o che si immagina uomo politico mancando di qualunque competenza, si configura quindi come un succedaneo inconsapevole della cosa vera, una specie di homunculus, surrogato dell’essere umano reale, un similuomo in similpelle: si potrebbe dire un uomo skai, dal marchio «Skai» con il quale l’azienda tedesca Konrad Hornschuch AG di Weißbach commercializzò nel secondo dopoguerra la finta pelle.

Assolutamente sì, assolutamente no, assolutamente forse

Si può dire, dunque, che la ragion d’essere ultima del cialtrone è perseguire il prestigio che deriva dall’apparire qualcosa che non si è, arronzando, assecondando la corrente principale, senza però riuscire a cogliere lucidamente la distanza esistente tra la propria natura e ciò per cui ci si spaccia. Per capire meglio, ascoltiamo cosa ha da dire su questo punto James Hillman:
Il modo migliore per acquistare prestigio non è quello di imitare la leadership o l’autorità, ma quello di avere un sottile fiuto per ciò che è importante e per chi è importante. Chi è dotato di prestigio raccoglie seguaci semplicemente andando dietro a ciò che è nell’aria, facendo attenzione a come soffia il vento, a quando è il momento di orientare le vele, di spostare il carico, di invertire la rotta, di mettersi al riparo. Essendo interiormente vuote, queste persone sono completamente sotto l’influenza di forze esterne. Per questo sono capaci di percepire immediatamente qualunque cosa importante sia nell’aria. Nella conversazione lui lascerà cadere dei nomi, lei farà commenti su eventi che gli altri si sono persi. Entrambi non perdono mai l’occasione di dimostrare quanto sono ben informati e di dare indicazioni su dove avvengono le cose importanti.
Da ciò un pensiero sorge in un qualche punto della corteccia cerebrale e percorre con un sinistro effetto la spina dorsale. E se il cialtrone, pur con modi e intensità differenti a seconda delle persone, fosse dentro di noi?

2. Il codice del cialtrone ovvero
La katana e le cazzate

Il vocabolario della lingua italiana Zingarelli di qualche anno fa recita: «Cialtrone. s.m. 1. Individuo spregevole, volgare negli atti e nelle parole. SIN. Mascalzone. 2. Persona pigra e trasandata o senza voglia di lavorare». Il dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti invece dice: «Cialtrone. s.m. 1. Persona sciatta, trasandata; estens. Persona che lavora poco e male. Sin. Ciabattone, pasticcione. 2. non com. Villano, mascalzone, gaglioffo».
Al di là di un comune e severo giudizio di valore, entrambe le definizioni – ancorché corrette – non riescono a circoscrivere la proteiformità del cialtrone e, soprattutto, a individuare la caratteristica che più di ogni altra differenzia la categoria aristotelica del «cialtrone» da altre figure che popolano le nostre vite: i malvagi, gli imbroglioni, i pelandroni, gli inetti, i furbastri, i ciarlatani eccetera. Scopo della parte preliminare di questa ricerca è rendere manifesto come la caratteristica precipua del cialtrone – ciò che ne definisce il codice genetico – sia la totale mancanza di senso critico.

«Citatio praecox»

Il cialtrone si avvantaggia degli effetti di una tale moratoria dell’autocritica ricavandone una straordinaria capacità di penetrazione del reale. Laddove personalità più complesse si impanierebbero in snervanti tenzoni con se stessi, ritardando la consegna al pubblico giudizio, che so, della ponderosa tesi sui Minnesänger cui stanno lavorando da anni, perché non si sentono in pace con la propria integrità professionale a citare un’opera monografica della metà dell’Ottocento senza averne letto per intero l’unica copia conosciuta che, sfortunatamente, è conservata al museo civico di Königsberg, il cialtrone consegnerà con la più olimpica tranquillità interiore una tesi raffazzonata in due o tre giorni, contenente un temerario parallelo tra La canzone del falcone di Der von Kürenberg (XII secolo), là dove dice:
volò fuggendo il falcone in altro cielo.
Vidi allora volare il bel falcone:
lacci di seta brillavano alle zampe,
tutte le piume eran rosse e d’oro:
unisca Dio chi si vuole amare!
e i versi del Mio canto libero, là dove Giulio Rapetti, in arte Mogol, si spinge a scrivere:
nasce in mezzo al pianto
e s’innalza altissimo
e va
e vola sulle accuse della gente
a tutti i suoi retaggi indifferente
sorretto da un anelito d’amore
di vero amore.
L’analogia, del tutto gratuita e non giustificata se non da sfrontatezza e superficialità, varrà, nondimeno, all’autore il plauso del colto e dell’inclita e, con ogni probabilità, la laurea a pieni voti in Scienze della comunicazione; ché il cialtrone, pur se non dotato di particolari facoltà intellettive, sarà tuttavia stato tanto astuto dal tenersi alla larga dalle facoltà più inutili (lettere classiche e/o moderne e tutte quelle scientifiche), orientandosi strategicamente su discipline di più pronta spendibilità sociale. Con le debite differenze, in omaggio al ben noto adagio gesuita, si potrebbe dire Nisi caste, saltem caute, e cioè Se non castamente, almeno cautamente.

Rispettare il limite di lentezza

Il cialtrone è dotato dalla natura della sopraffina e istintiva capacità di individuare la velocità di crociera ottimale da tenere nelle differenti circostanze che la vita gli presenta. Agli appassionati del fuoristrada è tristemente nota la micidiale distesa di cunette, dossi, solchi, avvallamenti in perenne mutazione a causa del vento e dei segni lasciati dal passaggio di altri viaggiatori, designata con locuzione francese tôle ondulée, ovvero lamiera ondulata. Nelle sterminate piane del Nord Africa centinaia e centinaia di chilometri di tolla rugosa decimano le sospensioni anche delle più resistenti Land Rover e distruggono i nervi degli ardimentosi che osano percorrerli. Sballottati come all’interno di una gigantesca zangola, la resistenza di oggetti e persone è messa a durissima prova. Per procedere su questo tipo di terreno estremo senza avanzare col passo esasperante di una lumaca non v’è che mantenere una velocità opportunamente elevata, tra i 65 e gli 80 chilometri all’ora, così da viaggiare al di sopra degli avvallamenti, avendo cura, è ovvio, di non uscire di strada. Come un esperto rallista, il cialtrone è per predisposizione naturale incline a tenere una velocità di crociera esistenziale che gli consente di restare in superficie, senza curarsi d’approfondire il superfluo, superfluo che dalla sua particolare Weltanschauung corrisponde a pressoché qualunque cosa.
E la percepibile disinvoltura, la sprezzatura si sarebbe tentati di dire con termine caro al Cortegiano del Castiglione, con cui lambisce senza addentrarvisi le più impervie contrade del pensiero influenza l’ambiente circostante. La sua intima convinzione d’essere nel giusto – anche perché non v’è alcuna possibilità che egli immagini vi possa essere una posizione difforme dalla sua – permea l’atmosfera intorno a lui di un’aura positiva che dispone favorevolmente l’uditorio, attraverso vie che sono sottili fino all’impalpabilità, ma non per questo meno reali. Questa sorta di fluido emanante dal cialtrone produce effetti in tutti gli ambiti e in tutte le fasi della vita, dalla sfera privata a quella professionale, dalla più tenera età fino alla decrepitezza. A questo proposito è illuminante il racconto di Massimo S. di Milano, studente di liceo scientifico, 18enne.
Testimonianza n. 1
La B*, la prof. di francese, era una iena. Brava, eh, non c’è che dire, brava, ma una iena. Lei avrebbe voluto fare le interrogazioni programmate, che riteneva meno umilianti sia per noi che per lei, ma nella nostra classe eravamo troppo animali e quindi non c’era mai nessuno che si metteva in lista, così lei una volta perse la pazienza e decise motu proprio il calendario delle interrogazioni a suo insindacabile giudizio. Ci concesse sette minuti di interrogazione: se rispondevamo bene saremmo stati promossi, altrimenti saremmo stati bocciati. La B* ci aveva dato da leggere durante l’anno una serie di romanzi dell’Ottocento francese, La certosa di Parma, Le illusioni perdute, Madame Bovary, Il ventre di Parigi, L’uomo che ride ecc.
Ricordo ancora come fosse oggi l’interrogazione di Angelo C. Lui aveva letto sì e no una metà dei romanzi su cui avrebbe dovuto essere interrogato, ma poiché era un ragazzo simpatico e brillante, dalla battuta pronta, la B* lo aveva preso in simpatia. Arriva il giorno della sua interrogazione e Angelo si presenta: la faccia come il culo, bello, sorridente, traspirante fiducia nei propri mezzi. L’interrogazione comincia con qualche accenno generale al realismo ottocentesco e poi, stringendo gli occhi fino a farli diventare una fessura, la B* mena il suo fendente: «Qual è quel personaggio di Madame Bovary che fa la fioraia?».
Ora, questa è una domanda a cui si avrebbe difficoltà a rispondere anche conoscendo bene il romanzo in questione, poiché Cadine – questo il nome del personaggio men che secondario – occupa si è no una ventina di righe in un romanzo di quattrocento e passa pagine scritto pure piccolo piccolo. Figuriamoci cosa poteva saperne Angelo, che il romanzo non l’aveva neanche aperto. Nondimeno l’infingardo simulò un’intensa concentrazione e, dopo aver riprodotto con impressionante risultato mimetico lo sforzo di un caterpillar che scava nei meandri del suo cervello, se ne uscì proclamando coram populo: «Madame Bovary».
La povera B* balzò sulla sedia come se le avessero sparato e lanciò un grido di agonia, poi, dopo aver deglutito a vuoto un paio di volte disse, con le mani nei capelli e l’espressione stravolta di una fantesca sopravvissuta alla calata dei lanzichenecchi: «Mais monsieur!».
Che voto avrebbe preso un altro che non avesse avuto la faccia come il culo di Angelo C.? Quattro? Zero? Meno tre? Ma invece lui ribaltò la situazione con una di quelle fulminee intui­zioni che sono il marchio del genio: «Ah, già, è vero, mi scusi. È che ieri sera ho visto My fair lady e mi sono confuso con Eliza Doolittle».
Una valutazione anche solo gentile avrebbe radiato Angelo C. da t...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. 1. Il cialtrone tra noi ovvero Cialtroni sono sempre gli altri
  3. 2. Il codice del cialtrone ovvero La katana e le cazzate
  4. 3. Epistemologia del cialtrone ovvero Cialtroni si nasce o si diventa?
  5. 4. La banalità del cialtrone ovvero Lo zenzero e l’arte di smerciare i luoghi comuni
  6. 5. Eziologia del cialtrone ovvero Daje e daje pure ’a cipolla diventa aje
  7. 6. La comicità del cialtrone ovvero Il cono d’ombra è senza panna
  8. 7. Metafisica del cialtrone ovvero Tutti in autostrada contromano
  9. 8. Teoria e prassi del cialtrone ovvero L’inarrivabile Bruno Cortona
  10. 9. Estetica del cialtrone ovvero Il cialtrone nell’epoca della sua riproducibilità mediatica
  11. 10. Scopri il cialtrone che è in te ovvero Cialtroni sono sempre gli altri?
  12. Tavola dei punteggi
  13. Profili cialtroneschi
  14. Riferimenti bibliografici