Un mondo di ferro
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Un mondo di ferro

La guerra nell'Antichità

  1. 528 pagine
  2. Italian
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Un mondo di ferro

La guerra nell'Antichità

Informazioni su questo libro

Marco Bettalli, uno dei nostri più approfonditi conoscitori del fenomeno 'guerra' nel mondo antico e specialmente greco, ha scritto un importante libro che non si propone un (impossibile) racconto analitico di infinite vicende ma pone al centro la questione più importante: il rapporto, sul piano dell'etica di massa, del cittadino con la guerra.Luciano Canfora, "Corriere della Sera"

Il libro di Bettalli potrebbe sembrare solo un affascinante racconto di scontri, battaglie, vittorie e stragi, magari accompagnato da riflessioni sulle cause politiche ed economiche dei conflitti. Non è così o, meglio, è anche così, ma soprattutto questo è un libro che 'pensa' la guerra antica. La pensa nelle sue motivazioni, nelle sue ideologie, nelle sue innumerevoli connessioni con la cultura e la società delle varie epoche in cui la guerra – unica vera grande costante in tutto il mondo antico – esercitò il suo funesto potere.Maurizio Bettini, "Robinson – la Repubblica"

La guerra di Troia, le guerre persiane e del Peloponneso, l'epopea di Alessandro Magno, l'epica lotta di Annibale contro Roma. Nessun greco e nessun romano avrebbe mai potuto concepire un mondo senza guerre. Perché? Cosa voleva dire per un greco e un romano indossare l'armatura e scendere sul campo di battaglia?

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Informazioni

Argomento
History

1.
Guerra.
Un mondo violento

Si crede forse che quelle piccole libere città greche, che volentieri
si sarebbero divorate tra loro per rabbia e gelosia, fossero guidate
da principî di filantropia e onestà?
Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza

Un mondo di ferro

Il mondo antico richiama alla mente immagini di guerra, a partire dai poemi identitari della civiltà greca, posti all’inizio del cammino della letteratura occidentale. L’Iliade è infatti il racconto di una breve fase di una lunghissima guerra, in cui assistiamo a duelli e scontri di ogni genere, praticamente senza interruzioni (cfr. cap. 16); l’Odissea, a volte avventatamente definito come poema della pace, tiene pur sempre ben presenti i valori fondanti di una società guerriera e si conclude con una spettacolare carneficina ricca di particolari splatter.
Nel mondo greco, Sparta fu tra le più celebri società militariste della storia umana, e il suo nome è legato all’attività bellica in maniera archetipica (cfr. cap. 17). Che i valori su cui si basava la società romana e, soprattutto, l’élite aristocratica che la guidò nell’epoca delle conquiste, fossero essenzialmente militari, è cosa ben risaputa (cfr. capp. 6 e 7).
Molti famosi personaggi dell’antichità sono generali che hanno guidato eserciti: dei numerosi protagonisti greci e romani delle Vite parallele di Plutarco – almeno tra quelli che hanno una sicura consistenza storica – forse i soli Demostene e Cicerone, guerrieri della parola, non si resero protagonisti nel corso della loro esistenza di alcuna impresa militare.
L’imagerie greca si nutre di figure di guerrieri; ma anche il côté che collochiamo sul versante della pace e dello straordinario sviluppo culturale di Atene è per così dire infarcito di guerre: le trame delle tragedie che senza sosta venivano rappresentate evocavano quasi sempre sanguinosi conflitti del passato mitico e almeno quattro delle undici commedie superstiti di Aristofane riguardano direttamente la guerra. Platone e Aristotele riflettono spesso sulla guerra, su chi debba farla, le sue conseguenze, il suo posto in una città ideale.
Un personaggio come Socrate, non propriamente una figura di combattente, almeno nel nostro immaginario, scelse, al momento in cui si approssimava la sua morte, di ricordare i suoi trascorsi militari, evidenziando di fronte ai giurati che stavano decidendo della sua sorte il suo esemplare comportamento nei ranghi oplitici nel corso della guerra del Peloponneso da poco terminata. Socrate si mostrava semplicemente come cittadino; e ogni cittadino di una polis, di qualsiasi polis, era in primo luogo un guerriero, un combattente, come Max Weber aveva già suggerito molto tempo fa. E la cosa vale a maggior ragione per Roma e i suoi cittadini.
Ho lasciato da ultimo, non certo per dimenticanza, gli storici. Coloro i quali si incaricarono di trasmettere ai posteri gli avvenimenti più significativi dei loro tempi, ritennero che solo i fatti di guerra fossero degni di essere tramandati. Il ruolo degli avvenimenti bellici è pervasivo in Tucidide, Senofonte e Polibio, ma è centrale anche in Erodoto, che scelse di strutturare il suo complesso impianto narrativo intorno alle guerre sostenute dai Persiani per costruire il loro impero, fino a giungere agli epocali conflitti contro i Greci. Anche i principali storici latini, Livio, Sallustio e Tacito si occuparono in larghissima misura di conflitti (cfr. anche più avanti, pp. 29-30).
Di recente, la responsabilità di questa immagine ferrigna del mondo greco e romano, nel tentativo di contestarla, è stata in buona misura attribuita proprio agli storici, la cui scelta avrebbe determinato, in ultima istanza, una visione così cupa del mondo antico. Se nei Romani, infatti, sarebbe effettivamente possibile scorgere un ruolo centrale della dimensione bellica, che avrebbe sovrastato le altre sfere della società, i Greci, almeno loro, avevano infiniti interessi e una ricostruzione affidabile della loro civiltà dovrebbe tenere conto di tutti questi aspetti. Il che è un po’ semplicistico, ma grosso modo vero, così come è vero che esiste una qualche sovraesposizione della guerra che ci porta a sopravvalutarla (è il ben noto problema del male che è molto più visibile del bene), ma non cancella quanto abbiamo detto finora: se una civiltà si premura di offrire di sé un’immagine nella quale il fenomeno bellico ha una parte così preponderante, un motivo ci dovrà pur essere (cfr. la Bibliografia per una breve appendice a queste riflessioni).

Violenza tra le «pòleis» e all’interno della «polis»

Quale tipo di società sta a monte di questa marcata attenzione per la guerra? Le pòleis erano numerose e diverse le une dalle altre, così come il mondo greco è diverso da quello di Roma repubblicana; tutto il mondo antico era però accomunato da un modello di convivenza che presupponeva una larga abitudine, che sconfinava nell’indifferenza, nei confronti della violenza, intesa come uso di forza fisica, prevaricazione, adeguamento forzato a precise gerarchie, immaginario ricco di vendette e omicidi, all’interno di comunità che, per un motivo o per l’altro, non ritenevano fondamentale la necessità di far rispettare principi di giustizia e rispetto per il prossimo, se non per quanto riguardava una stretta minoranza di persone. Tutto ciò, in ultima analisi, ha a che fare con la guerra, perché quest’ultima, in quanto forma organizzata e comunitaria di violenza, trova il suo terreno di coltura ideale in società siffatte.
Lasciamo pure da parte il mito: che è spesso violento e inquietante – circostanza che tanto lasciava perplessi gli studiosi dell’Ottocento («perché i Greci che sono tanto per bene hanno un immaginario così terribile?») –; ma James Hillman ci ha insegnato che un immaginario violento non è necessariamente legato a una società violenta.
Limitiamoci dunque alle realtà del mondo della polis, all’interno del quale possiamo annoverare, con qualche distinguo, la stessa Roma repubblicana. In primo luogo, si tratta di un universo in cui è diffuso il fenomeno della schiavitù. Diffuso e – vorremmo sottolineare – mai messo in discussione. Ora, non è immediatamente perspicuo che una società schiavista sia una società violenta e dedita alla guerra. Ma, a parte il fatto che il legame tra schiavitù e guerra è evidente dal punto di vista economico (la guerra è la principale fornitrice di schiavi, e l’esistenza di un bottino così appetibile non poteva che alimentare il fenomeno: cfr. cap. 11), la presenza quotidiana, costante, incombente, di moltissime persone, identiche ai liberi ma prive dello statuto di esseri umani, non poteva che alimentare pensieri che a noi non sono – oso sperare – neppure più accessibili: pensieri truci, nutriti di prevaricazione, violenza spicciola e quotidiana. Ricordiamoci che le autorità spartane, all’inizio di ogni anno, dichiaravano guerra agli iloti, vale a dire al preponderante elemento servile della loro società, a sottolineare un rapporto inevitabilmente improntato a grande violenza. Il fatto che l’ilotismo sia un tipo particolare di servitù, ben diverso dalla schiavitù/merce, qui non ci interessa. Gli schiavi comprati sul mercato ad Atene non conducevano certo una vita migliore.
Il legame schiavitù/guerra è esplicitato da Aristotele (Politica I 1256b 23-27):
«Perciò anche l’arte della guerra sarà per natura in qualche modo arte di acquisizione – infatti l’arte della caccia è una parte di essa –, della quale bisogna servirsi con le bestie e tra gli uomini con quanti, nati per obbedire, non vogliono farlo, dal momento che per natura questa guerra è giusta».
Dove il problema è quello di definire chi siano gli uomini che sono destinati a essere schiavi: a partire dal IV secolo a.C., si fece strada un’ideologia ellenocentrica, che individuava come potenziali schiavi tutti i ‘barbari’ in blocco, garantendo dunque la liceità di qualsiasi guerra contro non-Greci. Non è questo il momento per approfondire questi temi: basti l’esempio per riflettere su come l’esistenza stessa del concetto di schiavitù favorisca la crescita del fenomeno guerra.
Anche limitando il discorso ai rapporti tra Greci, non troviamo certo un idilliaco concetto di uguaglianza dominare le relazioni tra le varie comunità. I legami tra le pòleis, al di là dei sogni di autonomia che ciascuna di esse coltivava, erano fortemente gerarchizzati. Nell’esempio più noto e su più vasta scala della storia greca, Atene fu la prima a sviluppare, consolidare e giustificare un vero e proprio impero all’interno del mondo greco: un impero piccolo, se confrontato con i grandi imperi dell’antichità, ma pur sempre un organismo che comprendeva svariate centinaia di comunità sparse nel mondo egeo, sulle quali la città esercitava una forte leadership non esente da forme di umiliazione simboliche, per rimarcare il proprio indiscusso dominio.
Gli alleati/sudditi della lega di Delo, sorta dopo le guerre persiane, erano indubbiamente greci; da qui la necessità di elaborare una giustificazione dell’impero ateniese, che troviamo nel seguente, celebre passo di Tucidide (I 76.2):
«Noi Ateniesi non abbiamo fatto nulla di straordinario, né di alieno al comportamento umano, sia quando abbiamo accettato l’impero che ci veniva offerto, sia quando ci siamo rifiutati di rinunciare a esso, obbedendo a delle motivazioni fortissime, quali il prestigio, il timore e l’interesse; d’altra parte, non siamo stati i primi a esercitare un ruolo di questo genere, ma sempre ha avuto valore la norma per la quale il debole è tenuto in soggezione dal più forte».
Nelle parole dell’ambasciatore ateniese, pronunciate, secondo lo storico, nel corso del grande dibattito svoltosi a Sparta nell’imminenza dello scoppio della guerra del Peloponneso (431 a.C.), il prestigio (timè) e l’interesse (ophelia) sono le motivazioni positive: Atene ricava dal suo dominio il piacere di primeggiare, di porsi sopra gli altri, di essere vista come la più potente; nello stesso tempo, l’impero le permette di trarre dei benefici materiali per nulla trascurabili. La terza motivazione è forse la più interessante e trova la sua spiegazione nella parte finale della citazione, nonché una esemplificazione ancora più sfrontata nelle parole che un altro ambasciatore ateniese, qualche anno dopo, pronuncerà di fronte ai maggiorenti di Melo, che si apprestavano a organizzare una strenua quanto inutile resistenza all’assedio ateniese (Tucidide, V 105.2). In poche parole, vi si afferma che il più forte è destinato a dominare sul più debole, e tale legge è universale e condivisa da tutti (cfr. anche cap. 22). Chiunque, nelle condizioni degli Ateniesi, accetterebbe di esercitare tale dominio e una delle motivazioni è appunto quella, che chiameremo negativa, del timore (deos) che altri facciano a te la stessa cosa, una volta che il tuo potere venga meno.
Se tale rapporto squilibrato, e spesso causa di prevaricazioni, era prevalente nei rapporti tra pòleis, non diversamente accadeva nelle relazioni tra gli abitanti all’interno della polis. La spinta egualitaria, che vagheggiava la realizzazione di una società di uomini con gli stessi diritti e gli stessi doveri, dove l’eventualità di conflitti sarebbe radicalmente diminuita, è certo presente nel pensiero greco, ma le soluzioni che vennero trovate nella pratica riguardarono sempre una piccola élite, composta da coloro i quali, al termine di un complesso e mai lineare processo di inclusione/esclusione, furono considerati degni di godere dei pieni diritti di cittadino. Il caso più famoso è quello degli Hòmoioi spartani, gli Spartiati, vale a dire quel gruppo ridotto di uomini (originariamente composto da 10.000 unità, destinate a ridursi nel corso dei secoli a poche centinaia) che esercitava il dominio su un numero molto più elevato di iloti ridotti in condizioni di sostanziale schiavitù.

Il caso ateniese

La società ateniese, per la presenza di una documentazione relativamente vasta e diversificata, è un eccellente case-study. Ad Atene, nel corso dell’epoca classica venne sperimentata la democrazia cosiddetta radicale; tale aggettivo è giustificato dal fatto che, per la prima volta, furono abbattute le barriere di sangue e di censo che limitavano l’accesso alla cittadinanza, tanto...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. 1. Guerra. Un mondo violento
  3. 2. Pace. Una dea minore
  4. Fare la guerra
  5. 3. Il grado zero della guerra Il modello oplitico
  6. 4. Non solo opliti. La guerra altra
  7. 5. La guerra in età ellenistica. Da Cheronea a Cheronea
  8. 6. Le guerre di Roma. Da Romolo a Furio Camillo
  9. 7. Le guerre di Roma. La legione manipolare
  10. 8. Conquistare le città. Gli assedi nella storia greca e romana
  11. 9. La guerra sul mare. Un mondo a parte
  12. Riflettere sulla guerra
  13. 10. Guerra e politica. Quasi la stessa cosa
  14. 11. Guerra ed economia. La guerra come profitto, la guerra come onere
  15. 12. Guerra e religione. Il rapporto con gli dèi
  16. 13. Insegnare la guerra? Tra dilettantismo e professionismo
  17. 14. Ricordare, raccontare, dimenticare. La guerra nei memory studies
  18. Le guerre dei Greci e dei Romani. Tra mito e storia
  19. 15. Le guerre più degne di essere raccontate. Storia che diventa mito, mito che diventa storia
  20. 16. L’Iliade e la guerra di Troia. La guerra come spettacolo
  21. 17. Sparta. La guerra come educazione
  22. 18. Le guerre persiane. La guerra come esaltazione
  23. 19. La guerra del Peloponneso. La guerra civile del mondo greco
  24. 20. Alessandro. La guerra fine a se stessa
  25. 21. La guerra di Annibale. La guerra come terrore
  26. 22. Uno sguardo conclusivo
  27. Cartine
  28. Cronologia
  29. Bibliografia