Il complotto contro il merito
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Il complotto contro il merito

  1. 232 pagine
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Il complotto contro il merito

Informazioni su questo libro

È giusto che ciascuno abbia quello che merita; ingiusto che ottenga un bene, o soffra un male, che non merita. Questa è l'idea di giustizia di Aristotele e del senso comune. Michael Sandel obietta che la meritocrazia pretende di premiare il merito ma produce arroganza e umiliazione. L'accusa è infondata. A scuola, all'università, sul lavoro, nello sport non possiamo fare a meno di riconoscere e premiare il merito. La meritocrazia ha un volto umano.

Si dice che in una società meritocratica i redditi seguano i meriti. Ma in alcune società contemporanee che si presentano come meritocratiche le differenze di reddito sono enormi. Com'è possibile che alcuni abbiano meriti superiori ad altri di centinaia di volte? Da qui prende oggi le mosse il rifiuto del programma meritocratico che nella seconda metà del secolo scorso era la sostanza del 'sogno americano' ed era sottoscritto dal laburismo britannico e dal socialismo riformista europeo. Marco Santambrogio difende la meritocrazia con due ordini di argomenti. Dimostra da un lato che quelle società si presentano come meritocratiche ma non rispettano il principio irrinunciabile delle uguali opportunità. Dall'altro sostiene su solide basi filosofiche che il merito non si trasferisce dalle posizioni e dai posti di lavoro alle retribuzioni che li accompagnano. Non si butti dunque il bambino con l'acqua sporca. Si continui – o, in qualche caso, si cominci – a distribuire posti e posizioni rispettando le competenze, senza favoritismi e dando a tutti uguali opportunità. La meritocrazia consiste in questo. Quanto alle enormi differenze di reddito, si dimostri che sono meritate. Se non ci si riesce, una tassazione equa (richiesta dagli stessi principi meritocratici) si preoccuperà di ridurre le sperequazioni immeritate.

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Informazioni

eBook ISBN
9788858147184
Argomento
Economics

III
L’invenzione della meritocrazia

1. Prologo: James Conant e il SAT

Il primo tentativo serio di mettere in atto qualcosa di simile alla meritocrazia, ancor prima che fosse formulato il programma ed esistesse il termine, si deve a un’interessante figura di scienziato, James Bryant Conant. Autore di importanti lavori scientifici, ma anche di libri di divulgazione e di studi sul sistema scolastico pubblico, Conant fu eletto a trentotto anni direttore del dipartimento di chimica di Harvard. Due anni dopo, nel 1933, divenne rettore della stessa università e tenne la carica per vent’anni. Durante la seconda guerra mondiale fu anche presidente del National Defense Research Committee, che coordinava le ricerche per la bomba atomica. In seguito ricoprì molte altre cariche, tra cui quella di ambasciatore nella Repubblica Federale Tedesca.
Conant era un riformista che aveva le idee molto chiare sul ruolo dell’istruzione nel mondo contemporaneo. Quando fu eletto rettore, gli studenti di Harvard erano tutti maschi, ricchi, bianchi, protestanti e della costa orientale. Conant era un sostenitore dell’istruzione obbligatoria e gratuita fino ai diciassette anni. Quanto all’istruzione universitaria, sosteneva un sistema accademico selettivo, sorretto da un robusto programma di borse di studio, che individuasse gli studenti più bravi per farli studiare a spese dello Stato. Per sua iniziativa Harvard adottò un procedimento di selezione dei candidati mediante un test, lo Scholastic Aptitude Test (SAT), che derivava da un test usato nella prima guerra mondiale per distribuire i soldati tra i diversi reparti, a sua volta derivato da un metodo usato in Francia per individuare gli studenti in difficoltà. L’esempio di Harvard fu ben presto seguito da tutte le università americane. Il SAT continuamente aggiornato e gli altri test che lo hanno affiancato sono ancor oggi alla base delle procedure di ammissione a tutte le università a numero chiuso del mondo. I nostri test di ammissione ai corsi a numero programmato ne sono versioni semplificate e a volte ridicole1. Conant insisteva sul fatto che il test dovesse misurare l’intelligenza e il potenziale accademico e non la padronanza delle materie insegnate alle superiori, per evitare che risultassero avvantaggiati gli studenti ricchi che avevano frequentato le migliori e più costose scuole private. Inoltre sosteneva che, prima dell’università, l’istruzione dovesse essere obbligatoria e gratuita fino ai diciassette anni, in una scuola unica e uguale per tutti ma con una grande varietà di materie opzionali. Eric James, autore di Education for Leadership (1951) e in seguito rettore dell’università di York in Inghilterra, così deride il programma (utopistico secondo lui) di Conant:
Quando il professor Conant chiede di istituire «un nucleo comune di istruzione generale che unirà in un solo mondo culturale i futuri falegnami, operai, industriali, vescovi, avvocati, medici, direttori delle vendite, professori e meccanici di garage», egli chiede semplicemente l’impossibile. La richiesta di una cultura comune di questo genere si fonda o su una fede assolutamente cieca nell’educabilità della maggioranza, la quale non è certamente giustificata dall’esperienza, oppure sulla propensione a rinunciare ai più alti livelli di gusto e di intelletto a favore delle incessanti pretese della mediocrità2.
Credo che questo giudizio chiarisca bene le intenzioni di Conant in campo educativo e il senso della riforma meritocratica che, partita da Harvard, ha poi interessato tutto il sistema accademico statunitense.

2. L’invenzione della meritocrazia

Credo che sia successo a pochi programmi politici di essere attaccati nel momento stesso della loro nascita e, per di più, dal proprio autore. O almeno, questo è il modo in cui molti hanno letto il pamphlet di Michael Young, The Rise of the Meritocracy: come un attacco al tentativo di lasciarsi alle spalle l’ancien régime sostituendo il merito al privilegio. Dimostrerò che si tratta di un fraintendimento di quel geniale manifesto politico. Prima però vediamo che cosa dice3.
Young era un avvocato e un sociologo. Nel 1945, come segretario del comitato politico del Partito laburista britannico, stese il programma con cui i laburisti vinsero le elezioni. In seguito fondò un impressionante numero di istituzioni ispirate a un socialismo cooperativo, tra cui l’Open University, la Consumers’ Association, l’Open College of the Arts.
Nonostante avesse collaborato lui stesso al programma politico del partito, pensava che le riforme del sistema educativo britannico introdotte dai laburisti nel secondo dopoguerra fossero catastrofiche. I laburisti avevano tratto ispirazione proprio dalle riforme in campo educativo avviate qualche anno prima in America da James Conant. Soprattutto, erano stati colpiti dall’uso del test attitudinale, nelle procedure per l’ammissione a Harvard, per misurare le potenzialità intellettuali degli studenti al netto delle differenze dovute alla classe sociale. Il governo laburista britannico introdusse così nel 1945 un test analogo nell’esame al termine delle scuole elementari, con lo scopo di assegnare ciascun allievo al tipo di scuola a cui sembrava più adatto.
Non era esattamente quello che voleva Conant. Prima di tutto, il SAT serviva a selezionare gli studenti universitari, che a quell’epoca erano pochissimi. Inoltre Conant aveva in mente un’unica scuola primaria e secondaria per «falegnami, operai, industriali, vescovi, avvocati, medici, direttori delle vendite, professori e meccanici di garage». In Gran Bretagna esistevano invece, e continuavano ad esistere anche dopo il 1945, diversi tipi di scuola, proprio come in Italia in quegli stessi anni4. La selezione a undici anni, mediante un esame – l’Eleven Plus – che si serviva anche di test di intelligenza, creava una segregazione tra i bambini che ricalcava di fatto la divisione in classi della società britannica. L’intenzione dei laburisti non era di rendere invalicabili i confini esistenti tra le classi ma, esattamente al contrario, di dare a tutti l’opportunità di seguire il percorso di studi per cui ciascuno fosse meglio predisposto. Nelle loro intenzioni questo avrebbe prodotto mobilità sociale perché sembrava che niente impedisse agli allievi più capaci provenienti dai ceti svantaggiati di seguire un percorso che li avrebbe portati ai più alti gradi degli studi.
È chiaro che l’obiettivo principale di Young era di dimostrare come quella riforma fosse completamente sbagliata, nonostante le ottime intenzioni progressiste ed egualitarie del governo che l’aveva proposta. Young immagina quindi che il suo pamphlet (pubblicato in realtà nel 1958) sia scritto nel 2033 da un sociologo entusiasta di quella riforma, il quale descrive riforme successive – tutte immaginarie – che proseguono sulla stessa strada e portano a conseguenze estreme quanto era già in qualche modo implicito nella riforma del 1945. Il risultato è una società che finisce per riprodurre in forma aggravata le stesse storture della società tradizionale, in cui tutta la ricchezza e tutti i privilegi e le posizioni sociali più ambite sono ereditate di padre in figlio e sono concentrate in una sola classe. Si tratta di una brillante ed efficace reductio ad absurdum nello stile di George Orwell e altri polemisti inglesi.
Come la Modesta proposta di Jonathan Swift (1729), che suggeriva agli irlandesi poveri di alleviare le loro difficoltà vendendo i bambini alle ricche gentildonne e gentiluomini inglesi perché li mangiassero, così il pamphlet di Young non rappresenta proprio quello che pensa il suo autore. Quello che pensa è comunque abbastanza chiaro. Meno chiaro è che cosa intende per «meritocrazia». Non si tratta di quello che ho chiamato sopra con lo stesso nome, anche se nelle intenzioni dei laburisti inglesi gli obiettivi delle carriere aperte ai talenti e delle uguali opportunità occupavano una posizione centrale. Ma le loro riforme introducevano elementi che poco avevano a che vedere con quei principi. La selezione a undici anni, la separazione tra i tipi di scuola media inferiore, fare affidamento su un test di intelligenza che misura solo le capacità logiche, linguistiche e matematiche – tutto questo non ha niente a che vedere con quei principi.
Assegnare agli individui i posti di lavoro esclusivamente sulla base del merito è semplice buon senso, dice a un certo punto Young ed è indiscutibile che in questo caso sta parlando con la propria voce. Non mi sembra ragionevole nemmeno attribuirgli riserve sul principio delle uguali opportunità, che i laburisti avevano fatto proprio. Ma tutti i critici della meritocrazia arruolano Young tra le loro fila come se fosse uno strenuo oppositore di tutti i principi meritocratici. Sembra che vogliano dire «Vedete? Lo stesso inventore del termine ‘meritocrazia’ si è reso conto che è un imbroglio. Stiamone alla larga». È molto importante quindi chiarire che cosa esattamente intendesse Young col termine «meritocrazia» e se intendesse quello che intendiamo oggi.

3. Storia reale e storia immaginaria

Dicono i libri di storia che fino a circa la metà del secolo scorso in Gran Bretagna la società fosse rigidamente divisa in classi. Young ne dipinge un quadro a forti tinte ma – credo – abbastanza fedele nonostante le esagerazioni. Tutti i privilegi si trasmettono per diritto di successione dinastica. Il potere e le posizioni sociali sono basati sulla ricchezza ereditaria, su relazioni familiari, clientelismo, nepotismo, privilegi di classe e così via. Per quanto riguarda l’istruzione, l’ammissione alle due università più prestigiose – Oxford e Cambridge – è possibile solo attraverso le costose scuole private che sono di fatto accessibili solo ai ceti dirigenti. A differenza della Francia in cui una rivoluzione ha profondamente, anche se non completamente, trasformato l’ancien régime, la Gran Bretagna non ha avuto rivoluzioni paragonabili a quella francese e molti meccanismi dell’ancien régime sopravvivono intatti.
A un certo punto il movimento laburista, che interpreta l’uguaglianza soprattutto come uguaglianza delle opportunità, riesce a introdurre una serie di riforme per sostituire ai privilegi ereditari l’avanzamento per merito e offrire co...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Parte prima La società spietata
  3. I. I principi della meritocrazia
  4. II. La discussione sulla meritocrazia
  5. III. L’invenzione della meritocrazia
  6. IV. I nuovi critici della meritocrazia
  7. V. Filosofi contro il merito
  8. VI. L’alternativa?
  9. Parte seconda La meritocrazia dal volto umano
  10. I. Gli argomenti di Rawls contro il merito
  11. II. Meriti morali e non morali
  12. III. Cambiamento di prospettiva
  13. IV. La distribuzione della ricchezza
  14. V. Una società spietata?
  15. VI. Scoprire i propri talenti
  16. Postilla
  17. Bibliografia
  18. Ringraziamenti