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Un grande mercato fatto su misura per te
L’insegna è ben visibile dalla strada. È rossa, luminosa, identica a quelle degli altri punti vendita della stessa catena. Cartelli affissi all’ingresso riportano le offerte del giorno: carne, pasta, passata di pomodoro, tonno in scatola a prezzi imbattibili.
L’uomo si ferma a guardarle: sono le stesse che ha letto sul volantino recapitato nella sua cassetta della posta, che per sicurezza ha portato in tasca. Non è mai stato in questo supermercato, è la prima volta che vi entra. Ma una rassicurante sensazione di familiarità lo investe fin dall’ingresso. Tutto sembra al posto giusto, esattamente dove si aspetterebbe di trovarlo. All’entrata ci sono la frutta e la verdura. Le mele, le pere, le arance e i cespi di insalata sono lucidi, coloratissimi, perfettamente ordinati in cassette di plastica poggiate su banchi di legno. Un cartellino nero indica provenienza, prezzo e tasto da pigiare sulla bilancia dopo la pesa.
Su un lato del reparto ortofrutta, un lungo frigorifero espone insalate in busta, rucola, lattughine, odori. Prodotti tagliati, lavati e pronti al consumo: gli articoli sono in bella vista, con il bollino giallo di un prezzo che sembra molto conveniente. Accanto alle insalate, una confezione da due pannocchie, i funghi, tagliati o interi, la zucca a pezzi, un trittico di broccoli di diverso colore. Il tutto in vaschette di plastica. Di fronte, sull’altro lato del reparto, il frigo con il latte in diverse confezioni, insieme a yogurt e latticini. E poi ancora: insaccati di vario genere, pasta all’uovo, pesto, prodotti lavorati o semilavorati per consumatori che hanno poco tempo da impiegare in cucina.
Il nostro cliente passa oltre e arriva ai banchi del fresco: salumi e formaggi, panetteria, carne e pesce. Gli addetti in camice bianco servono le persone in fila, che aspettano il proprio turno munite di numeretto. L’uomo dà un’occhiata fugace e passa oltre. Con il volantino pubblicitario stretto in mano, prosegue il percorso alla ricerca dei prodotti di uso comune: la pasta in offerta, il tonno in scatola. Va verso il reparto successivo, dove le corsie sono divise per categorie merceologiche, con una successione che sembra scandire i vari momenti della giornata: nelle prime i prodotti per la colazione, a seguire quelli per il pranzo e la cena. I corridoi sono tematici, in alto sono indicati a lettere cubitali i tipi di cibi esposti: in uno biscotti, dolciumi, farine; in un altro pasta, riso, sughi e legumi. E poi le bevande alcoliche, cui seguono, ben divise dalle prime, le bibite gassate e i succhi di frutta. In fondo, poco prima dei surgelati in un congelatore a parete, si allunga uno scaffale con i prodotti vegetariani, vegani, senza glutine; espressione di nuove tribù alimentari, questi articoli sono esposti con una certa evidenza, quasi a volerne rimarcare l’elemento di novità. Ben staccato dal reparto cibo, è poi venduto tutto ciò che riguarda la cura (cerette, rasoi) e l’igiene personale – dentifrici, saponi, creme – e quella della casa: detersivi, panni, smacchiatori.
L’uomo prende il volantino e si guarda intorno. Non avrà bisogno di domandare: come molti prodotti in offerta, gli articoli che cerca sono in bella mostra, su cartelloni rossi ad altezza occhio, con il prezzo segnato in giallo. Agguanta quattro pacchi di pasta, tre bottiglie di passata, due scatole di tonno e mette tutto nella borsa che ha portato da casa. Accanto a lui si muove l’ampia e variegata fauna che popola il supermercato: c’è l’elegante donna trentenne, che legge con attenzione le etichette e non bada ai prezzi. C’è il padre di famiglia, che guarda più alla quantità che alla qualità: riempie il carrello all’inverosimile con generi di prima necessità, molti surgelati e diversi prodotti per la casa. Ci sono due ragazzi appena maggiorenni che comprano alcolici in offerta. Incurante di quanto gli accade intorno, il nostro cliente si dirige con il suo shopper verso l’uscita per pagare. Ma qualcosa attira la sua attenzione: una caciotta alle noci scontata del 30%. La osserva. La prende in mano. È indeciso, ma ne è attratto. Alla fine cede: venuto nel nuovo punto vendita solo per le offerte del volantino e risoluto a non comprare altro, si è fatto convincere. Il formaggio cade nella borsa.
Compiuto il gesto imprevisto, va verso le casse. Sono disposte in file orizzontali, con un numero in alto. Accanto ai nastri su cui poggiare gli acquisti spicca una serie di prodotti dolci dal richiamo irresistibile: caramelle, cioccolatini, snack. Davanti a lui c’è un signore con un figlio piccolo. Il bambino agguanta una confezione di Kit Kat. Il padre lo guarda con aria di sfida, cercando di dirgli di no. Poi si arrende. Lo snack scorre sul nastro. Il cliente osserva la scena divertito. E pensa: ingegnosa l’idea di mettere i dolciumi vicini alle casse, come tante trappole per bambini.
Anche se non c’era mai stato prima, quel supermercato appare agli occhi del nostro avventore occasionale come un luogo già tante volte visitato, in cui è impossibile perdersi: i viali-corsie sembrano familiari, i percorsi definiti, gli spazi rassicuranti. Come in una vera e propria città, un piano regolatore preciso stabilisce la divisione in quartieri, piazze e vie ad alto scorrimento, con una segnaletica studiata nei minimi dettagli. Ci sono i «punti caldi», aree dove più frequentemente il consumatore transita o si ferma, e i «punti freddi», più distanti, poco illuminati e più trascurati, sorta di quartieri periferici. Ci sono le «testate di gondola», parti terminali della scaffalatura che godono di una maggiore visibilità e sono spesso impiegate per vendite promozionali. C’è il cosiddetto «stopper», cartellino perpendicolare al senso di marcia della clientela, che ha lo scopo di attirarne l’attenzione rallentandone o arrestandone lo scorrimento. Ci sono le «isole», allestimenti scenografici che solitamente occupano un’area di alcuni metri quadri, in cui sono posizionati espositori carichi di prodotti o promozioni.
La merce è disposta secondo strategie precise. Come abbiamo visto, gli snack dolci sono vicini alle casse ad altezza bambino, pronti per essere afferrati da piccole mani cui pochi genitori sapranno opporre un rifiuto. I beni di prima necessità, come lo zucchero, il pane confezionato, il sale, sono collocati apposta in zone semi-nascoste, in modo da costringere l’acquirente a cercarli, e così vagare all’interno del punto vendita e indulgere in acquisti non previsti. I prodotti, poi, sono spesso organizzati secondo la cosiddetta occasione d’uso: quando volti lo sguardo dallo scaffale della pasta, troverai la passata di pomodoro. Così, anche se hai bisogno di uno solo di questi prodotti, sarai inconsciamente spinto a comprare pure quello a esso associato.
Anche le scelte apparentemente poco sensate hanno il loro significato. Perché se è vero che ogni volta che si arriva alla cassa la speranza è che la frutta e la verdura non siano rimaste schiacciate dal peso dei prodotti confezionati e delle bottiglie, è altrettanto vero che il prodotto fresco rappresenta il biglietto da visita del supermercato, quello che deve trasmettere la sensazione di freschezza e naturalità che altri prodotti, se messi all’ingresso, non riuscirebbero a dare.
L’organizzazione di scaffali e corridoi sembra dunque rispondere a una sintassi precisa, una grammatica spaziale concepita per creare un percorso di senso, fatto apposta per non spaesare il cliente anche occasionale e spingerlo al contempo ad acquistare il più possibile. Tecniche espositive e divisione degli ambienti rispondono a strategie di marketing studiate a tavolino per attirare varie tipologie di acquirenti, venendo incontro ai bisogni di tutti e offrendo a ciascuno la propria personale esperienza. Perché fare la spesa è sorprendentemente anche un’«attività esperienziale», in cui ognuno di noi proietta un insieme di sensazioni emotive, aspettative, bisogni di rassicurazione e voglia di sperimentare cose nuove.
Non a caso, il marketing emozionale è una delle materie più studiate dai gestori dei supermercati: è nevralgico per la vendita capire come un certo prodotto possa comunicare un’emozione, veicolare un ricordo, risvegliare una sensazione che vada al di là del prodotto stesso. Lo deve fare attraverso il packaging, l’associazione mentale, lo stimolo di bisogni secondari e non immediati. Le emozioni che vanno a toccare afferiscono alla sfera del subcosciente. Così, ad esempio, le lattine delle bibite hanno sempre un aspetto lucido: sfruttano lo stimolo mentale alla sete per indurci il bisogno di consumarle nell’istante preciso in cui le vediamo sullo scaffale del supermercato.
I colori giocano a loro volta un ruolo essenziale: le offerte vengono sbandierate in un rosso acceso, tonalità che attira l’attenzione. I prezzi che finiscono con la doppia cifra ‘99’ risvegliano la sensazione subliminale del risparmio: tutti noi sappiamo che 2,99 è uguale a tre euro, ma il nostro cervello registra in modo prioritario la prima cifra e quindi assume l’informazione che il prodotto in questione costi poco più di due euro.
Anche i suoni e le musiche hanno un impatto. La radio in-store può far aumentare il tempo di permanenza, perché la canzone giusta ci suscita emozioni o ricordi, ci trattiene all’interno del punto vendita. Cioè ci fa spendere di più. Una melodia lenta ci spinge a trascorrere più tempo nel negozio. Rallentiamo il passo, ci guardiamo più volentieri attorno, adeguando il nostro ritmo a quello del brano. Un certo tipo di musica può persino indurci a compiere un particolare acquisto piuttosto che un altro. Alcuni anni fa è stato fatto un esperimento dai risultati stupefacenti: nella sezione vini di un supermercato in una periferia inglese sono stati diffusi per due settimane, a giorni alterni, un disco della fisarmonicista francese Yvette Horner e un altro con un’imprecisata marcetta dal carattere tipicamente tedesco, analizzando al contempo i dati di vendita dei vini francesi e tedeschi. Ebbene, si è visto che la musica francese portava a un maggiore acquisto di vino francese, in una misura cinque volte superiore rispetto al competitor. All’inverso, se dagli altoparlanti veniva diffusa la marcetta teutonica aumentavano le vendite di vino prodotto in Germania.
Eppure l’organizzazione degli spazi, l’utilizzo di suoni e colori e il marketing emozionale, tutto ciò che un supermercato escogita per guidare le nostre scelte, ci fanno provare l’irresistibile sensazione di aver scelto in base ai nostri canoni, ai nostri gusti, alle nostre predisposizioni.
Il supermercato identifica i clienti e li soddisfa tutti: dal ricco al povero, da chi ha tempo a chi va di corsa, da chi la spesa la fa a colpo sicuro a chi è alla ricerca dell’offerta. Interpreta i cambiamenti di gusto e a suo modo sa orientarli, studia i mutamenti sociali e adegua il mercato. Consapevole che negli ultimi anni è aumentata la capacità di spesa delle famiglie ricche (+3%), mentre è diminuita del 4% quella delle meno abbienti, si attrezza per venire incontro ai bisogni di tutti. È in definitiva quello che potrebbe essere definito il «partito populista» ante litteram, perché conosce il popolo meglio di chiunque altro, registrandone giorno per giorno i cambiamenti nelle abitudini, negli stili di vita, nei comportamenti. Come sintetizza efficacemente Coop nel suo rapporto annuale, «vince chi interpreta le esigenze mutevoli dei consumatori».
Perché i consumatori – cioè noi – sono un popolo volubile. Noi cambiamo idea, mutiamo abitudini in base al potere d’acquisto, seguiamo le mode e ne creiamo di nuove, ci affezioniamo a una marca o a una categoria merceologica, a una confezione o a un’offerta. Il successo delle diverse insegne della Grande distribuzione organizzata sta proprio nel cogliere questi mutamenti e indirizzarli. Nessun sondaggio è in grado di scattare una fotografia più esaustiva, completa e organica della società di quanto possa fare il database di un supermercato, che registrando le rese, gli stock, il venduto, ha in tempo reale il polso di come cambiano i consumi. Nessun partito è in grado di rispondere, con la stessa celerità e gli stessi strumenti, alle richieste che arrivano dalla società. I consumatori chiedono cibi più green o senza glutine? Mentre la politica si avvolge in se stessa, la GDO ha già portato sugli scaffali l’articolo più adeguato per i celiaci, le confezioni che riportano ben visibile la dicitura «senza olio di palma», il prodotto vegan.
Per intercettare e addirittura anticipare tutte le esigenze, i cittadini consumatori vanno analizzati e categorizzati. Cosa che vari enti di ricerca fanno frequentemente: uno studio sui «nuovi processi d’acquisto», condotto nel 2017 dall’istituto GFK per conto dell’Associazione distribuzione moderna (ADM), identifica cinque tipologie di clienti, ognuna con un preciso identikit, una specifica collocazione sociale e anche geografica. L’uomo che abbiamo seguito fino alle casse, entrato nel supermercato con un volantino in mano e deciso a non comprare nulla che non sia in promozione, è il tipico «cliente Cacciatore», che si sposta da una catena all’altra a caccia di offerte. Ha un budget contenuto e normalmente si rifornisce al discount. Non ha grande interesse per la qualità, o più probabilmente non può averlo, e non ha quindi alcuna fede...