V.
L’Ecclesia viterbiensis
1. Le Meditationi su san Paolo di Marcantonio Flaminio
Come si è visto, l’ultima revisione e la preparazione per la stampa del Beneficio di Cristo avvennero in un momento cruciale della rovente storia religiosa di quegli anni, tra il fallimento dei colloqui di religione in Germania e la convocazione del concilio a Trento per il 1° ottobre 1542. Lungi dal riflettere solo le raffinate riflessioni spirituali di un piccolo gruppo di anime belle, appartate nella quiete degli otia viterbesi, quel «dolce» e pacato libriccino era in realtà un testo militante in cui confluivano e trovavano una pur fragile risposta molte delle istanze e delle prospettive nuove così come delle tensioni e dei conflitti emersi all’inizio degli anni quaranta. Poco si capirebbe di quel testo e del suo grande successo editoriale se non si tenesse conto dell’intrecciarsi, sovrapporsi e contraddirsi di eventi molteplici, tali da modificare in un brevissimo arco di tempo il quadro complessivo, i problemi, i punti di riferimento, i contesti in cui si manifestava la profonda crisi religiosa di quegli anni. Basti qui riassumere ed elencare gli sviluppi eterodossi emersi nella Verona gibertina, non più contenibili nello slancio di un riformismo tutto pastorale; gli approdi agostiniani del Flaminio e poi il loro sciogliersi e mutare sostanza e linguaggio nella Napoli valdesiana; il grande successo incontrato dal magistero dell’esule spagnolo, capace di trasformare la capitale del regno in un nucleo attrattivo di personaggi di varia provenienza alla ricerca di una risposta religiosa che non li costringesse a scegliere seccamente tra Roma e Ginevra o Wittenberg, e poi di irradiarsi in tutta la penisola, coinvolgendo nel proprio spiritualismo eclettico personaggi illustri come Reginald Pole e di lì a poco Giovanni Morone; il confluire in questo filone anche di un altro cardinale di grande cultura e prestigio quale Federico Fregoso, scomparso troppo presto per assumere un ruolo da protagonista, ma in grado di trasmettere l’eredità di quell’evangelismo francese che aveva via via sviluppato in senso sempre più distante dall’ortodossia romana, come del resto aveva fatto in ambito benedettino il suo collega Gregorio Cortese; le aspre polemiche curiali sull’operato del Contarini a Ratisbona, fino a diventare oggetto di inaudite accuse di eresia; l’incrinarsi dei comuni orientamenti dottrinali tra di lui e il cardinal d’Inghilterra in conseguenza della nuova esperienza religiosa in cui quest’ultimo era stato coinvolto, pur nella permanenza di rapporti di stima e di franca discussione; il caso modenese, la cui rilevanza andò ben oltre il teso confronto tra gli eterodossi raccolti nell’Accademia e il loro vescovo, ma fu il terreno di competizione tra strategie diverse sul modo con cui affrontare il diffondersi dell’eresia al di qua delle Alpi e vide di fatto l’insuccesso della strategia irenica, moderata, pastorale a favore della linea dura e intransigente; il netto mutamento della situazione che ciò impose, come apparve subito chiaro nella convocazione a Roma dell’Ochino e del Vermigli e nella loro decisione di sottrarsi al processo cui essa preludeva rifugiandosi nella Svizzera riformata, poi imitati da altri via via che l’azione del Sant’Ufficio si sarebbe fatta più energica e capillare, e sempre più asfittica e impraticabile la strategia della dissimulazione.
Fu in questo groviglio di problemi che il Flaminio riprese tra le mani quel Beneficio di Cristo alla cui riscrittura «col suo bello stile» aveva già lavorato a Napoli nel 1539-40, forse inserendo anche qualche citazione di testi luterani e calvinisti nel manoscritto ricevuto da don Benedetto da Mantova, tanto da poterlo consegnare al Carnesecchi alla fine del 1540 e al Beccadelli nel gennaio del ’41. Adesso, nella primavera-estate del ’42, il progetto di darlo alle stampe rappresentava una scelta innovativa rispetto alla prassi cui sempre si era attenuto il Valdés, che molto, moltissimo aveva scritto ma nulla aveva pubblicato durante il suo soggiorno in Italia, dopo che a costringerlo a fuggire dalla Spagna era stata l’edizione del Diálogo de doctrina christiana apparso ad Alcalá de Henares nel 1529 e condannato poco dopo dalla Suprema. A indurre il Flaminio a mutare strada contribuirono certo le urgenze di un momento decisivo, prima tra tutte la convocazione del concilio i cui decreti dottrinali avrebbero segnato un punto di non ritorno. Tra i primi argomenti che sarebbero stati discussi a Trento figurava naturalmente la giustificazione, la questione cruciale dalla quale tutte le altre dipendevano, come del resto avevano affermato tanto Martin Lutero quanto Juan de Valdés, il cui breve catechismo per i fanciulli la poneva a fondamento primario della fede cristiana. «L’animo humano con molta facilità si riduce alla falsa religione, la quale consiste in superstitiose osservationi, et con molta difficultà si riduce alla vera religione, la quale consiste in abbracciar col core la gratia che ci è offerta per Christo et così adorare Dio in spirito et verità», esordiva l’esule spagnolo, per poi concludere che solo in tal modo i giovani «potranno esser capaci della vera religione quando piacerà a Dio di chiamarli con la vocatione spirituale et interiore alla gratia dello evangelio, affine che godano de l’indulto et perdono generale per la giustitia di Dio essequita con rigore nel medesimo figliuolo di Dio». Era quello l’«alfabeto cristiano» che occorreva insegnare a tutti, prima che fosse troppo tardi, il primo passo di un «negotio christiano» il cui cammino verso la perfezione avrebbe dovuto via via impadronirsi del lessico, della grammatica, della sintassi e infine della retorica. Il Beneficio di Cristo intendeva essere un primo passo in questa prospettiva, dopo che a Viterbo era venuta meno l’ipotesi di pubblicare proprio l’Alfabeto cristiano del Valdés, già pronto per la tipografia quando la ...