1.
«Una solennissima giustizia»
(Campo de’ Fiori, Roma, 17 febbraio 1600)
Se non lo [Bruno] volete far accompagnar
con cinquanta o cento torchi, i quali,
ancor che debba marciar di mezo giorno,
non gli mancaranno, se gli avverrà di morir in terra catolica romana, fatelo al meno accompagnar con un di quelli; o pur, se questo vi parrà troppo, improntategli una lanterna
con un candelotto di sevo dentro.
La cena de le Ceneri, dialogo V
Per essere un pubblico supplizio, si trattò di un evento insolitamente sbrigativo1. Nell’incerta luce di un’alba invernale, si poteva appena intravedere la sfilata di funzionari, inquisitori e preti che lasciava la prigione di Tor di Nona: comunque non erano molte le persone che avrebbero potuto notarla, perché nelle botteghe e ai banchi del mercato si stavano appena preparando per le attività della giornata. Niente venne a ostacolare il corteo mentre scendeva rapido per la via Papale verso Campo de’ Fiori, che a Roma aveva il duplice ruolo di piazza del mercato e luogo di esecuzione.
Il prigioniero andava a dorso di mulo, come richiesto dalla tradizione. Una tradizione fondata su motivi pratici, perché al momento della sentenza capitale molti dei condannati non erano più in grado di camminare con le proprie gambe. In verità , alcuni erano già morti, strangolati prima che i loro cadaveri venissero ritualmente arsi sul rogo. Ma quel prigioniero, Giordano Bruno, era fisicamente integro, e una volta raggiunto Campo de’ Fiori sarebbe stato bruciato vivo. Non esisteva altra pena adeguata per le eresie che non aveva mai smesso di sostenere durante gli otto giorni a Tor di Nona, e i precedenti otto anni passati nelle prigioni dell’Inquisizione. Per più di una settimana, giorno e notte, gruppi di confessori avevano tentato di fargli cambiare idea; frati domenicani, agostiniani e francescani che si erano avvicendati a turno, implorandolo di abiurare e di salvare l’anima, perché, come sapevano bene, per il corpo non c’era più alcuna speranza. Ma quel mattino l’ultimo gruppo di religiosi aveva dovuto riconoscere la sconfitta e aveva passato definitivamente il prigioniero ai fratelli laici di San Giovanni Decollato, volontari incappucciati di nero che nella loro confraternita mettevano in pratica una delle sette opere di misericordia offrendo assistenza ai condannati a morte nei loro ultimi momenti di vita. I fratelli di San Giovanni offrirono a Bruno la rituale colazione di biscotti di mandorle inzuppati in un marsala denso e scuro, quindi pregarono per lui mentre i carcerieri gli immobilizzavano la lingua con un morso di cuoio e lo issavano sul mulo. Quando il corteo cominciò a muoversi verso la via Papale, levarono in alto un dipinto della crocifissione, sperando di attirare lo sguardo di quell’uomo dalla lingua bloccata verso l’immagine incorniciata d’oro del Cristo sofferente.
Nei loro verbali di quel mattino del 17 febbraio 1600 si riporta che Bruno «da’ ministri di giustizia fu condotto in Campo di Fiori, e quivi spogliato nudo e legato a un palo fu brusciato vivo, aconpagniato sempre dalla nostra Compagnia cantando le letanie, e li confortatori sino all’ultimo punto confortandolo a lasciar la sua ostinatione, con la quale finalmente finì la sua misera et infelice vita»2.
Gli inquisitori che avevano ordinato quella esecuzione singolarmente ambigua avevano timore di quello che stavano facendo, e Bruno lo sapeva. Un testimone oculare ci riferisce che otto giorni prima, alla lettura della sentenza, «non replicò niente se non per dire in tono minaccioso: ‘Forse avete più paura voi a pronunciare questa sentenza contro di me di quanta ne abbia io a riceverla’»3. Il 1600 era un anno giubilare, e pellegrini da tutto il mondo cattolico giungevano a Roma per ottenere indulgenze sulle pene del purgatorio visitando nello stesso giorno sette chiese. Ma non tutti venivano per quello scopo: fin dall’inizio dell’anno santo agitatori protestanti avevano già interrotto diverse messe gridando «idolatria!» quando il sacerdote innalzava l’ostia per la consacrazione, o vociando e creando scompiglio fra i fedeli fino a rendere del tutto impossibile il proseguimento delle funzioni religiose4. Bruno aveva trascorso molti anni proprio in paesi protestanti, muovendosi quasi sempre ai più alti livelli della società , fra re, ambasciatori, duchi e grandi elettori: nessuno sapeva quali legami politici potesse ancora vantare, o chi avrebbe potuto reagire vedendolo bruciare vivo sul rogo. L’esecuzione era già stata annullata una volta, come aveva riferito un agente del duca di Urbino qualche giorno prima:
Hoggi credevamo vedere una solennissima giustitia, et non si sa perché si sia restata, et era di un domenichino da Nola, heretico ostinatissimo, che mercordì in casa del cardinal Madrucci sententiarono come auttore di diverse enormi opinioni, nelle quali restò ostinatissimo, et ci sta tuttora, non ostante che ogni giorno vadano teologhi da lui. Questi frati dicono sia stato due anni in Genevra; poi passò a legere nello Studio di Tolosa, e poi in Lione, et di là in Inghilterra, dove dicono non piacessono punto le sue opinioni; et però se ne passò in Norimbergh, e di là venendosene in Italia, fu acchiappato; et dicono in Germania habbia più volte disputato col cardinal Belarminio. Et in somma il meschino, s’Iddio non l’aiuta, vuol morir ostinato et esser abbruggiato vivo5.
Come la maggior parte dei pettegolezzi romani, il rapporto dell’informatore conteneva inesattezze (Bruno non aveva mai incontrato il cardinale Bellarmino in Germania), ma coglieva i punti nevralgici del caso e delle paure degli inquisitori: le idee di Bruno li terrorizzavano quanto i suoi possibili appoggi politici, e avevano tentato in ogni modo di trovare un’alternativa al pubblico sacrificio. Erano tempi di violenza, e il papa regnante, Clemente VIII, aveva permesso alcune esecuzioni raccapriccianti, come il rogo dell’eretico scozzese Walter Merse, avvenuto nel 1595 e scrupolosamente riferito al duca di Urbino dallo stesso agente del rapporto su Bruno:
La giustitia fu fatta al Campo dei Fiore dove per farlo inorridire fu preparato una grandissima catasta di legna carbone fascine e più di dieci caratelli di pece e fu per lui fatta fabricare a posta a misura della sua vita longa fino alli piedi una camiscia di pece negra come il carbone, e poi gli fu posta sopra le carne nude accioché così presto non morisse, e la sua vita con più dolore al foco si consumasse, fu condotto con seguito di molte persone al patibolo, e fatto salire sopra una sedia di ferro accanto al foco di già infocata, gli fu fatta la solita protesta di come si usa da buoni servi di dio per vederlo pentito essendo ancora in tempo di potersi acquistare gratia, ma egli frettolosamente appena montato sopra la detta seggia di ferro che fu non men tardo da presto a gettarsi in mezzo di quelle ardenti fiamme, nelle quali sepolto, morendo in queste per eternare nelle altre dell’inferno6.
Per contro, l’esecuzione di Giordano Bruno fu rapida e dimessa, una cerimonia senza nulla di memorabile. Doveva serpeggiare qualche timore che lo spettacolo potesse apparire barbaro se uno dei testimoni, il neo convertito Kaspar Schoppe, si affrettò a correre a casa per scrivere al suo mentore di un tempo, il luterano Konrad Rittershausen, che tutto si era svolto nella maniera più civile:
Proprio questo giorno mi sollecita a scrivere, in cui Giordano Bruno, a causa della sua eresia, è stato pubblicamente bruciato in Campo de’ Fiori di fronte al teatro di Pompeo [...]. Se tu fossi a Roma adesso, sentiresti dire da molti Italiani che è stato bruciato un luterano, e così troveresti una non piccola conferma per la tua opinione sulla nostra ferocia7.
I dieci cardinali che componevano l’Inquisizione romana non avevano la stessa sicurezza di Schoppe riguardo a quanto stavano facendo. L’esecuzione di Bruno era la dimostrazione manifesta del fallimento della loro missione, che non consisteva nell’incutere terrore bensì nell’«ammonire e persuadere». Il cardinale Bellarmino era la mente dell’Inquisizione quando si arrivava alla stretta finale delle decisioni più difficili, e benché fosse universalmente riconosciuto come il più grande teologo del tempo, non era stato capace di maneggiare la teologia della Madre Chiesa con abilità sufficiente a persuadere Bruno – che a sua volta era un inquisitore preparato – a cambiare idea. Bellarmino non poteva neppure affermare di avere adempiuto alla missione fondamentale del suo nuovo ordine, la Compagnia di Gesù, che era quella di «confortare le anime». Al contrario, le pene crudeli che il cardinale (e futuro santo) inflisse alle proprie vittime, Bruno compreso, l’avrebbero perseguitato fino alla tomba. Come pure l’avrebbe tormentato la ristrettezza della sua visione cristiana: Bellarmino, al pari di Bruno, in giovinezza era stato affascinato dalle stelle e dalla nuova astronomia, ma non era stato capace di immaginare, come fece il Nolano, che quelle stelle fossero collocate in un cielo di vastità infinita, governato da un Dio che secondo Bruno avrebbe un giorno perdonato tutte le creature. Eppure le idee dell’eretico riuscirono a smuovere in qualche misura l’inquisitore, se è vero che nel 1616, quando Galileo cominciò a suscitare l’interesse dell’Inquisizione, Bellarmino fece ricorso a tutta la propria autorità per distoglierlo dallo scontro frontale.
Ancora oggi la morte di Bruno pesa sulla Chiesa cattolica, la quale ha accettato da tempo il suo universo infinito, ma non la sua sfida alla propria autorità . Il problema non sta solo nell’atteggiamento di Bruno e nel rifiuto di Giovanni Paolo II di perdonare quella sfida come avvenne nel 2000. Per render...