Storia del debito pubblico in Italia
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Storia del debito pubblico in Italia

Dall'Unità a oggi

  1. 304 pagine
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Storia del debito pubblico in Italia

Dall'Unità a oggi

Informazioni su questo libro

L'Italia è il paese del debito pubblico: da sempre alto e difficile da gestire, ha costantemente condizionato la nostra storia. Ma come abbiamo potuto crescere nonostante questo peso? Quali sono le conseguenze che ha prodotto sulla politica e sulla società? Fin dalla sua origine, il forte debito pubblico è stato uno dei grandi problemi dell'Italia unita. Un problema che ha accompagnato tutta la nostra storia, tanto da essere l'unico paese al mondo ad aver avuto un debito superiore al 60% del Pil per più di 110 anni. Dal 1992 è divenuto l'asse centrale di tutta la vita politica nazionale: prima con le ingenti misure e i 'tagli' per entrare nell'euro, poi con i limiti imposti dal rispetto dei parametri di Maastricht. Questo libro, oltre a ricostruire l'andamento storico delle politiche del debito e ad analizzare le responsabilità della classe politica e della società italiana che spesso del debito si sono alimentate, mostra altresì un'inaspettata dinamicità dello Stato, dello Stato 'debitore' italiano, di fronte alle sue crisi, a quelle dei decisori politici, al susseguirsi di squilibri e riequilibri dei conti. Tale dinamicità, tuttavia, dopo l'esplosione della pandemia pare non bastare più e ha bisogno di essere sostituita da una più organica visione che si misuri con la natura 'fisiologica' del debito stesso.

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Informazioni

eBook ISBN
9788858145852
Argomento
Commerce
Categoria
Finance

II.
La trasformazione
(1888-1918)

1. Verso una nazionalizzazione del debito

Gli anni compresi fra il 1887 e il 1895 furono fra i più duri per l’economia italiana dell’Ottocento. Si manifestò infatti in tale congiuntura una serie di difficoltà che ebbero particolari riflessi anche sul rapporto tra il debito pubblico e il Pil, destinato a registrare un peggioramento di circa dieci punti in quella fase e a porsi stabilmente al di sopra del 115% fino a raggiungere il 120% nel 1897. Se poi si aggiungono gli effetti dell’indebitamento delle altre amministrazioni pubbliche, il rapporto schizza al 125-128%79. Si trattava di un sensibile balzo, dettato però solo in parte limitata dall’indebolimento dell’ormai consolidato sistema di finanziamento del debito italiano e dall’emergere di alcuni anni di disavanzo. Il vero dato che segnò questo appesantimento dipese invece dal netto rallentamento della capacità italiana di produrre reddito, che scese tra il 1891 e il 1897 da poco più di 1,3 miliardi ai valori correnti a 1,180. Ciò era provocato dalle conseguenze della guerra doganale con la Francia, dal perdurare della crisi agricola, dagli affanni del neonato sistema siderurgico e da una feroce tempesta finanziaria che ebbero, come accennato, ricadute sul Pil ma assai meno sul costo del debito e sulle sue possibilità di collocamento. Il costo medio del debito pubblico, nei suoi vari strumenti, rimase fermo al 4% e l’incidenza della spesa degli interessi sul totale della spesa statale passò dal 29 al 32,5% tra il 1887 e il 189381. Anche negli anni più neri dunque il debito italiano trovava compratori, sia pur con alcune importanti differenze rispetto al passato.
La prima coinvolgeva il sistema bancario, travolto dell’uragano che colpì il settore edilizio dove si era gonfiata una gigantesca bolla speculativa favorita proprio dal credito facile avviatosi dopo la fine del corso forzoso. L’esplosione della bolla, con un repentino crollo dei prezzi, determinò una miriade di insolvenze che appesantirono i bilanci delle banche italiane e, di conseguenza, quelli degli istituti di emissione che le avevano sostenute e che si erano impegnati in un’opera di salvataggio di numerose società immobiliari, dovendo poi registrare enormi partite di crediti inesigibili82. Nel gennaio del 1893 era emerso in tutta la sua gravità lo scandalo della Banca Romana che aveva contribuito nell’agosto successivo ad accelerare la creazione della Banca d’Italia, nata dalla fusione della Banca Nazionale nel Regno con i due istituti di emissione toscani, nell’ambito del disegno di Giovanni Giolitti di procedere alla sistemazione dell’intero comparto bancario, dove stavano prendendo corpo anche le cosiddette banche miste, la Banca Commerciale Italiana e il Credito Italiano83.
Mentre si consumavano simili stravolgimenti, gli istituti di emissione e una parte rilevante dei banchi privati italiani non abbandonarono l’ormai tradizionale pratica di acquisto di titoli di rendita né tantomeno scelsero di venderla dal momento che tali titoli, e in particolare il consolidato, costituivano la pressoché sola parte dei loro bilanci in grado di conferirgli una qualche stabilità. Questo mantenimento fu operato però con un ampio ricorso all’emissione cartacea che raggiunse, rapidamente, livelli patologici; tra il 1887 ed il 1890 la circolazione aumentò da 936 a 1126 milioni, con un successivo, rilevante e non controllabile incremento dopo il 1891, quando il governo decise di cancellare la legge con cui si regolava la «riscontrata», il meccanismo utilizzato per disciplinare i modi della liquidazione dei debiti e dei crediti dei vari istituti di emissione e quindi per calmierare la produzione cartacea. L’aumento della circolazione proseguì nel 1894, con ulteriori autor...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. I. Dal Gran libro alla prima crisi (1861-1887)
  3. II. La trasformazione (1888-1918)
  4. III. Dalla fine della guerra alle conseguenze della «superlira» (1919-1929)
  5. IV. Verso il trionfo dell’inflazione (1930-1945)
  6. V. «A golden age of growth»: il debito sotto controllo (1946-1973)
  7. VI. Il punto di svolta: l’inizio della crescita (1974-1982)
  8. VII. La crisi del debito (1982-1995)
  9. VIII. Dalla crisi valutaria alla recessione, allo scontro con l’Unione europea (1996-2019)
  10. IX. Emergenza, democrazia e debito