Intervento all’Assemblea
del 25 giugno 1997
1. La creazione della moneta unica è un evento che segnerà per generazioni il destino dei cittadini europei.
Ogni dubbio residuo sul fatto che l’euro nasca nei tempi previsti è stato dissolto al Consiglio Europeo di Amsterdam. L’Italia vuol far parte, sa di poter far parte, dell’euro fin dal suo avvio. Questa non è più una speranza, un proposito fondato sull’ottimismo della volontà. È una determinazione che oggi, a metà del 1997, si basa su elementi di fatto.
L’Italia ha fatto in questi mesi un progresso straordinario verso la convergenza e la stabilità. Il Governo sta oggi raccogliendo i frutti di scelte fatte un anno fa, sta conseguendo obiettivi enunciati e perseguiti con coerenza, con tenacia: l’abbattimento dell’inflazione, il calo dei tassi d’interesse, il rientro nell’accordo di cambio, il risanamento delle pubbliche finanze, da ultimo, obiettivo di sintesi, la partecipazione piena all’Unione economica e monetaria.
Allo stesso tempo, il Governo ha aperto la stagione delle grandi riforme strutturali che rappresentano il salto di qualità per un paese che ha saputo superare con successo il lungo e difficile periodo di transizione iniziato nel 1992. La riforma fiscale, la riforma, attesa da decenni, della pubblica amministrazione, la riforma del bilancio dello Stato, riforme tutte già approvate dal Parlamento e ora in fase di attuazione. Con la ridefinizione dello stato sociale, in vista della quale si è aperto il confronto con le Parti sociali, sono queste le fondamenta della costituzione materiale di un paese maturo che vuole partecipare all’Unione Europea portando in essa stabilità e forza.
La partecipazione dell’Italia all’euro trascende il terreno dell’economia. Essa è un momento importante della realizzazione del grande disegno europeo deciso e tracciato quarant’anni fa con il Trattato di Roma; disegno economico e politico che modifica l’assetto e le prospettive dell’intera Europa, e con essa del mondo. Non dimentichiamo mai la prima metà del secolo che sta per concludersi: le due grandi guerre fratricide.
Per l’Italia, partecipare fin dall’inizio all’Unione economica e monetaria va ben al di là di esigenze di prestigio o di acquisizione di vantaggi contingenti. Significa concorrere alla formazione della «qualità», dei «caratteri» delle nuove istituzioni europee, operando con gli altri paesi membri nel definirne le regole del funzionamento e nell’avviarne le prassi. Significa ancor più assicurare, nella costruzione europea, quell’equilibrio fra la componente mitteleuropea e la componente mediterranea che è elemento costitutivo della natura, della storia del nostro continente.
La strada della convergenza e della stabilità è stata percorsa con determinazione, e sono i fatti a parlare. L’inflazione annua è scesa in giugno all’1,4-1,5%, un tasso che ci riporta agli anni Cinquanta e Sessanta, quando il nostro paese era tra i più stabili d’Europa e fondava sulla stabilità dei prezzi e della moneta le ragioni di un vigoroso sviluppo del reddito. Un’inflazione all’1,4-1,5% ci consente di guardare con serenità ai prossimi mesi. Anche nel caso che motivi statistici provochino un qualche rimbalzo dell’indice mensile calcolato a distanza di dodici mesi, l’obiettivo di inflazione media annua stabilito nel Documento di programmazione economico-finanziaria per il 1998 nell’1,8% si conferma credibile e raggiungibile.
In queste settimane assistiamo a un’ulteriore riduzione dei tassi d’interesse di mercato. Il differenziale tra i titoli pubblici italiani e quelli tedeschi a lunga scadenza è sceso ai minimi storici, attorno a 120 punti base. Può ancora ridursi. Un anno fa, quando iniziò l’opera di questo Governo, era a 370. Resta ancora elevato il differenziale dei tassi a breve. Tuttavia la forza manifestata dal cambio della lira, la sua stabilità dopo il rientro nel meccanismo di cambio del Sistema Monetario Europeo, lasciano ben sperare sulla possibilità di una riduzione anche del differenziale dei tassi a breve.
La bilancia dei pagamenti è la più forte in Europa, con un avanzo delle partite correnti prossimo al 4% del Pil. L’Italia contribuisce in misura determinante al surplus dell’Unione Europea nei confronti del resto del mondo. La componente commerciale ha continuato ad essere fortemente attiva, nonostante il ricupero del cambio nel 1996 e la sua stabilizzazione con il rientro nell’accordo di cambio. Con i risultati dell’anno in corso il debito netto dell’Italia con l’estero sarà azzerato.
L’andamento dei conti pubblici è confortante. Non voglio astrologare sui consuntivi dell’intero 1997: li conosceremo solo a fine anno. Guardiamoci dagli ottimismi precipitosi. Sta di fatto che i dati del primo semestre sono coerenti con il raggiungimento del 3% nel rapporto tra indebitamento delle pubbliche amministrazioni e il Pil.
Questi risultati sono la prova che il «circolo virtuoso» che ci proponemmo di attivare un anno fa sta funzionando. Gli sforzi fatti nel risanamento della finanza pubblica hanno trovato un elemento di moltiplicazione nei tassi d’interesse. Il costante accrescimento della credibilità ha spinto al ribasso i tassi di mercato sgretolando il macigno soffocante dell’onere del debito pubblico. Il percorso che abbiamo indicato per i prossimi anni prevede che l’Italia stabilizzi la sua spesa per interessi tra il 7% e l’8% del Pil, dal 12,1% del 1993.
Abbiamo attuato per via di mercato quello che a molti non sembrava raggiungibile se non attraverso un’operazione «forzosa», un consolidamento del debito pubblico, che avrebbe squalificato l’Italia per generazioni.
Il fatto che il circolo virtuoso stia operando non vuol dire che tutto sia risolto. Il circolo virtuoso è un meccanismo che si nutre di credibilità, che deve essere continuamente alimentato. Dobbiamo perseverare in comportamenti coerenti. Stabilità e sviluppo trovano il loro fondamento nell’operare di tre politiche: dei redditi, di bilancio, della moneta. La coerenza di queste tre politiche, nel rispetto dell’autonomia delle Istituzioni a ciascuna di esse preposta, è la chiave del riequilibrio della nostra economia, della fiducia di aver di fronte a noi l’orizzonte di una crescita duratura nella stabilità.
L’approvazione del Documento di programmazione economico-finanziaria da parte del Parlamento, conclusa ieri con il voto al Senato, la risoluzione che l’accompagna sono un’ulteriore testimonianza della ferma volontà del paese non solo di partecipare alla moneta unica, ma di contribuire alla stabilità economica dell’Europa.
Il Documento si basa sulla necessità di dare una risposta non contingente ai mutamenti e alle innovazioni che investono la sfera sociale non meno di quella economica. Modello economico e modello sociale sono in rapporto di dipendenza reciproca, di complementarità. La «sostenibilità» del sistema sociale non è solo esigenza economica e finanziaria, è anche garanzia di equità e di sicurezza nel futuro: la garanzia del rispetto del «patto fra cittadini».
Il problema di ridisegnare lo «stato sociale» rendendolo coerente con l’andamento demografico, con l’allungamento delle speranze di vita investe tutti i paesi industriali, non è certo una specificità italiana. Il vertice di Denver si è concluso sabato con una dichiarazione solenne che impegna i maggiori paesi industrializzati ad agire tempestivamente per riformare i sistemi previdenziali, per ridare loro equilibrio.
È intendimento dei paesi europei ridisegnare lo «stato sociale» senza rinunciare alla caratteristica del proprio modello di sviluppo che è quella di saper coniugare il mercato e le esigenze della socialità. In questo modello qualcosa si è incrinato negli ultimi quindici anni. E ciò è testimoniato dai tassi crescenti ed inaccettabili di disoccupazione che affliggono le economie dell’Europa continentale. Occorre revisionare, ammodernare quel modello, per ritrovare il cammino della crescita e dell’occupazione, per ricuperare la competitività perduta nei confronti degli Stati Uniti d’America e delle aree di più recente industrializzazione.
Il Consiglio Europeo di Amsterdam ha approvato due risoluzioni che confermano e rafforzano la scelta per la stabilità e lo sviluppo. Due risoluzioni, che recepiscono nell’impianto giuridico dell’Unione il «patto di stabilità e di crescita» e impegnano a politiche per lo «sviluppo e l’occupazione». Due risoluzioni unite da un’unica premessa che testimonia come le due finalità non possano essere separate: la stabilità non è solida se non è sorretta dallo sviluppo del reddito, lo sviluppo non è duraturo se non si fonda sulla stabilità, dei prezzi, della moneta, del bilancio pubblico.
L’Italia intende rispettare con convinzione il patto di stabilità e di crescita. Esso è garanzia che l’euro sarà una moneta forte, stabile, che proteggerà il risparmio e il lavoro dei cittadini. Non bisogna mai dimenticare che la moneta non è solo unità di conto, mezzo di pagamento, ma anche strumento di conservazione del risparmio. Il patto di stabilità e di crescita offre garanzie tali da convincere i mercati a ridurre i tassi d’interesse reali elevati che hanno soffocato l’economia europea degli anni Ottanta e Novanta. Esso è dunque la premessa delle politiche attive per rilanciare lo sviluppo e l’occupazione che sono delineate nella seconda risoluzione di Amsterdam.
Altra conclusione importante che si è raggiunta ad Amsterdam è il riconoscimento della necessità di dar vita a un vero governo dell’economia europea. Il rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche e fiscali dei paesi dell’Unione è un’esigenza vitale. Mentre la politica monetaria unica verrà espressa da un’unica autorità – il Sistema europeo di banche centrali e la Banca centrale europea –, non altrettanto era fino ad oggi previsto per le politiche economiche.
2. Le grandi riforme strutturali e la creazione dell’euro vanno vissute come un unico processo che deve condurre a una nuova fase di sviluppo, a tassi di crescita vicini a quello potenziale, all’abbattimento della disoccupazione. Quella del settore del credito è essenziale, non meno delle altre, delle quali già ho detto, per il successo dell’intero disegno: il quadro ordinamentale è in larga parte completo, ora devono seguire i comportamenti.
Le banche dell’Europa continentale stanno vivendo la presente trasformazione dell’economia mondiale in una condizione di maggiore fragilità rispetto a quelle del Regno Unito e degli USA. Sono caratterizzate da bassi tassi di rendimento sul capitale, da riduzione nei margini di interesse, da elevate sofferenze. Sempre più frequentemente le agenzie di rating abbassano il giudizio sul loro merito di credito. Ciò è vero particolarmente per le banche italiane.
Alla spinta alla trasformazione del sistema finanziario si aggiunge l’imminente costituzione dell’Unione monetaria europea.
Con l’adozione dell’euro e la conseguente eliminazione dei rischi di cambio, muteranno i comportamenti della clientela, individui e imprese; questa potrà indirizzarsi facilmente all’estero soprattutto per quanto riguarda i servizi finanziari. Ne deriverà maggiore possibilità di confrontare le condizioni praticate, impulso per forme più progredite, in particolare, di banca elettronica.
I mercati obbligazionari cresceranno in spessore e liquidità, in competizione con l’intermediazione creditizia.
Il mercato monetario e il mercato dei titoli pubblici espressi in euro saranno altamente liquidi. La maggiore integrazione potrà portare all’affermarsi di un’unica curva dei rendimenti di riferimento per ogni mercato e di un solo contratto future per i titoli pubblici. I mercati dei capitali privati avranno un analogo sviluppo.
Gli investitori istituzionali sposteranno i propri portafogli dalle attività precedentemente espresse in valuta nazionale verso quelle in euro, indipendentemente dalla nazionalità dell’emittente.
La frontiera tra il mercato bancario e quello dei titoli tenderà a muoversi a favore di quest’ultimo. Di conseguenza le banche dovranno accelerare la modifica della composizione delle loro attività verso le componenti della distribuzione e del collocamento.
Analogamente sul fronte dei depositi il mercato per gli «euro repo» competerà con i depositi bancari per i fondi a breve termine, soprattutto quando la Banca centrale europea inizierà a operare nel mercato dei «repo» utilizzando come collaterale una vasta gamma di titoli pubblici.
Alle nuove spinte concorrenziali le banche europee dovranno reagire aumentando la produttività, diminuendo i costi, esplorando nuove linee di prodotto, ricercando migliori condizioni di efficienza e di economicità, attraverso fusioni e concentrazioni.
In occasione della 72ª Giornata mondiale del risparmio ebbi modo di notare: «Strette dalla concorrenza e dai mutamenti nell’economia reale, le banche italiane non dimostrano sufficiente prontezza nell’intraprendere azioni che innovino nel modo di far banca, che meglio rispondano alle esigenze della clientela, che incidano in modo permanente sulla struttura del conto economico». Osservavo ancora come: «Sbaglierebbe chi confidasse, con lo sguardo rivolto al passato, in una sorta di protezione naturale o nella transitorietà della realtà presente. Quando l’Italia farà parte dell’Unione monetaria, le banche europee diventeranno concorrenti in un modo e con un’efficacia diversi da quell...