1498. Savonarola dal falò delle vanità al rogo
di Adriano Prosperi
Di pochissime persone si sa così tanto come di Savonarola. Sappiamo quello che ha detto e fatto, ma anche che cosa ne hanno ricordato i presenti e che cosa ne hanno pensato coloro che vissero dopo di lui. Conosciamo i pensieri, i sentimenti, le passioni che ha suscitato nella mente degli altri, contemporanei e posteri – fino ai nostri giorni e oltre. E non c’è luogo al mondo che lo sappia meglio di Firenze. È qui che le passioni suscitate da lui vivo e quelle vivacissime nate dalla sua morte hanno avuto un carattere del tutto speciale. Parlare di Savonarola a Firenze è diverso dal parlare di Savonarola in qualsiasi altro luogo. Per fare un solo esempio: a Ferrara c’è una sua statua che ricorda il concittadino importante. Ma se parlassimo di lui a Ferrara sarebbe una cosa diversa, per l’oratore e per gli ascoltatori. E questo vale per i moltissimi luoghi dove la sua figura è conosciuta e studiata e dove si sono propagati i cerchi concentrici della sua azione. Gli echi dell’opera sua si estesero fuori d’Italia, raggiunsero la Spagna, la Francia, la Germania, risuonarono nella predicazione dei missionari fuori d’Europa. Ma quelli che si ebbero a Firenze furono di diversa qualità e di altra intensità. C’è una topografia dei suoi movimenti in questa città che ha segnato i luoghi con tracce indelebili. Ai canti delle strade fiorentine, sulle piazze, capita di leggere segni di memoria degli abitanti più illustri della città. Chi più illustre di Dante? I versi della Divina Commedia sono incisi in tante parti d’Italia e a Firenze sono più fitti che altrove, quasi più delle tracce lasciate dalla memoria delle inondazioni dell’Arno. Eppure non saremmo in grado di ricostruire giorno dopo giorno i passi del poeta nella sua Firenze prima dell’esilio. Di Savonarola, del Savonarola fiorentino degli ultimi anni, possiamo farlo. Le processioni dal convento di San Marco fino a Santa Reparata o alle altre chiese dove predicò, i percorsi che lo condussero verso i luoghi del potere, fino all’ultima truce cerimonia in piazza della Signoria, ci sono state raccontate e descritte da molte testimonianze. E non è solo una questione di quantità di documenti ma di qualità. Firenze ha conservato a lungo caratteri culturali speciali e ha ospitato una religiosità inquieta, vivace e critica, uno spirito di contestazione e di riforma che si sono spesso rivestiti di panni savonaroliani. Ma davanti a una più precisa definizione di questa religiosità dobbiamo fermarci. Definire in una formula fra Girolamo Savonarola, decidere come se ne debba parlare, non è facile. La sua eredità fu e resta contesa tra movimenti, chiese, gruppi religiosi e politici diversissimi: se ne è parlato come di un precursore di Lutero e come di un santo cattolico, lo hanno indicato come un padre morale del Risorgimento liberale e come un sostenitore di un intollerante fondamentalismo religioso. Oggi i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia non sono più quelli della fine dell’Ottocento. E tuttavia la commemorazione che ne fece Pasquale Villari il 10 giugno 1897 resta un documento delle diverse facce che il personaggio ha potuto assumere di volta in volta, a seconda delle urgenze del presente:
Quei cattolici che anche oggi desiderano l’unione di tutti i cristiani in un solo ovile, sotto un solo pastore, e vorrebbero vedere la Chiesa procedere in armonia con lo stato, la religione santificare la libertà e la patria, lo dicono profeta e maestro. Ma quei cattolici che vorrebbero invece della Chiesa e della religione fare un partito, che la desiderano in lotta con l’Italia, che non ammettono mai nessuna libera discussione di fronte all’autorità del Papa infallibile sempre, lo dichiarano ribelle.
Per studiare Savonarola, Pasquale Villari lasciò Napoli e andò a Firenze; e se questo gli fu rimproverato da Francesco De Sanctis come un abbandono nel momento della lotta politica, resta il fatto che era difficile per Villari pensare Savonarola fuori del contesto fiorentino, così come era accaduto a tutti prima di lui. E questo significa una cosa sola: perché il frate domenicano nato a Ferrara e formato a Bologna diventasse il Savonarola della storia fu necessaria Firenze. Se Savonarola ha creato un volto della religiosità fiorentina e dell’idea di Firenze, la città di Firenze ha fatto di un domenicano predicatore di penitenza un profeta, un riformatore, un leader morale, l’annunciatore della rigenerazione e del rinnovamento della Chiesa e della cristianità ma anche un capo politico, l’ispiratore e la guida di un governo e di una forma di Stato: lo Stato repubblicano di cui fu data la corona a Cristo.
Parlare di Savonarola a Firenze fu a lungo cosa proibita, almeno nel secolo che seguì alla sua morte. La sua figura restava troppo viva nelle memorie dei cittadini. Nel 1498 le ceneri del rogo che aveva consumato il suo corpo e quelle dei suoi due confratelli furono raccolte velocemente, per essere disperse come resti maledetti o conservate come reliquie salvifiche. Quegli avanzi del rogo, raccolti furtivamente, venivano accreditati di una potenza taumaturgica, mantenevano vivi convincimenti e speranze che inquietavano i potenti. Accadeva spesso che i resti umani di morti in fama di santità venissero rubati e venduti (si chiamavano «furti sacri»). Dopo Savonarola si cominciò a farlo perfino con le persone vive. Proprio subito dopo la sua morte una terziaria domenicana sua devota, suor Lucia Brocadelli, fu rapita per ordine del duca di Ferrara Ercole I d’Este e portata nella città estense. Il fatto singolare è che qui il duca ne alimentò la fama di santità visionaria dichiarando autentiche le stimmate che ben sapeva essere fortemente sospette di falsità. E non fu questo il solo caso del genere, ché anzi ci fu una rete di mistiche savonaroliane nelle città italiane, la cui fama di santità e di doti profetiche fu messa al servizio delle famiglie dominanti. Invece la devozione al morto profeta a Firenze fu un fenomeno che venne percepito come una forma di opposizione al potere.
Ancora alla fine del Cinquecento le autorità ecclesiastiche sorvegliavano con sospetto chi in città custodiva quelle ceneri e quei resti raccolti in piazza della Signoria. E quando i primi gesuiti si erano avviati da Roma alla conquista di Firenze recavano con sé una istruzione del segretario della Compagnia Juan de Polanco che li avvertiva di evitare ogni familiarità con la «setta di fra Girolamo».
Dunque se a Firenze il frate aveva trovato le condizioni fondamentali per diventare Savonarola, dopo la sua morte quella città div...