Perché ancora destra e sinistra
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Perché ancora destra e sinistra

  1. 96 pagine
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Perché ancora destra e sinistra

Informazioni su questo libro

Carlo Galli non usa certo mezzi termini. E in questo densissimo, prezioso testo prende apertamente posizione sulla vexata quaestio della sopravvivenza o meno della coppia antitetica destra-sinistra. Seppur vulnerate dalla radicale trasformazione dello spazio politico, minacciate dagli effetti epocali della globalizzazione e della crisi dello Stato-nazione, difficili da riconoscere nella prassi politica quotidiana, tuttavia quelle categorie conservano ancora efficacia e significato.Marco Revelli, "Tuttolibri" Pagine densissime, che puntano a riconfermare la validità concettuale e politica della coppia destra-sinistra. Il punto di osservazione di Galli è quello di uno studioso che, proprio perché del Moderno conosce la logica, sa diagnosticarne e ne diagnostica senza nostalgie anche la fine.Ida Dominijanni, "il manifesto" Ma esistono davvero ancora destra e sinistra? Con lo sguardo lungo e tagliente del politologo di razza, Carlo Galli cerca la risposta fuori dagli schemi convenzionali e più battuti con cui i politici sono abituati a farsi lotta – e strada. In questo agile e denso pamphlet, lo scontro tra le due metà del cielo viene ricondotto alle origini e alla parabola della modernità.Mauro Calise, "Il Mattino"

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Informazioni

Argomento
Economia

L’origine della politica moderna, e le sue conseguenze

L’esistenza della coppia oppositiva destra-sinistra è l’espressione del fatto che la politica moderna è originariamente indeterminata, che cioè la sua unitarietà non consiste nell’esibire impianti o fondazioni condivise, ma in un problema, il quale si presenta costituito secondo una duplicità strutturale.
L’impianto categoriale del pensiero che innerva la politica moderna – in quanto essa deve rinunciare alla tradizionale idea di Giustizia, ossia di Ordine dell’essere che orienta, se non fosse per la peccaminosità umana, anche l’ordine politico – consiste infatti nella centralità del nesso fra disordine come dato e ordine come esigenza: da una parte esiste una realtà minacciosa e instabile, lo stato di natura, dall’altra è indispensabile costruire un artificio che dia forma e stabilità alla politica. Sono questi i due lati, inscindibili, del modo moderno di guardare alla politica.
Interpellata radicalmente, la storia delle idee politiche moderne, in quel suo mainstream che è il razionalismo politico, può essere interpretata come una cosmologia politica, come una serie di discorsi sulla costruzione dell’ordine: e l’elemento di novità non sta soltanto nella coazione epocale a costruire l’ordine, ma anche nel fatto che attore, centro e protagonista di esso è il soggetto singolo, razionale, libero e uguale.
In Hobbes, Locke, Pufendorf, Rousseau, Kant – pur con tutte le distanze, che a volte diventano opposizione – si ritrova la medesima struttura categoriale, il medesimo sguardo sul mondo: esiste un’esperienza primaria (naturale o storica che sia) del disordine, della scarsità, dell’aggressione, ma in essa si manifesta anche, contemporaneamente, un’esigenza di liberazione del soggetto singolo dalle sue angosce e deficienze; per quanto insensata, la realtà ha in sé un seme di razionalità e di uguale dignità umana, che può essere fatto fiorire nell’artificio politico.
C’è dunque un programma razionalistico, iscritto nel Dna del Moderno; che può essere interpretato in chiave trionfalistica o più scettica, che può essere visto come un’esaltazione dell’uomo o invece come abbassamento delle finalità che la tradizione assegnava alla politica (attingere il summum bonum, sostituito dal conatus sese conservandi); un programma di cui si può dire anche che è stato sempre smentito, nella real­tà storica e geografica, dalle innumerevoli forme di cittadinanza diseguale o di inclusione gerarchica, o di esclusione interna – il fenomeno della schiavitù, consustanziale alla nascita della modernità, la formazione degli Imperi coloniali e la costruzione razzista del dominio sugli indigeni, le lotte dei (e contro i) dissidenti, i ribelli, la subalternità delle donne – in cui si è sostanziato il progetto politico moderno fuori d’Europa. E anche in Europa (in Occidente), dove la modernità si dispiega in tutta la sua pienezza e potenza, il soggetto è stato collocato in realtà all’interno di forme di universale materiale – l’economia capitalistica – che realizzano sì potentissime forme di inclusione, ma in vie contraddittorie e gerarchizzanti. Tutto ciò ha potuto fare interpretare il progetto moderno come un dispositivo di dominio, e non di liberazione; di fatto, quello che qui si vuole sottolineare è che tra gli effetti di quel dispositivo – e anzi all’origine della struttura categoriale che caratterizza l’epoca moderna – c’è, e non può non esserci, la possibilità, e anzi la necessità, tanto della destra quanto della sinistra.
I critici più radicali potranno dire che proprio in quanto moderne né l’una né l’altra portano in sé la liberazione, ma sono entrambe forme di dominio; qui, però, si vuole solo mostrare la loro comune radice, la loro diversità, e la loro permanenza: il superamento del Moderno è infatti un orizzonte che si mostra, finora, in forme spurie, in cui destra e sinistra continuano a esistere.
In ogni caso, l’originaria modernità della destra e della sinistra, la loro differenza e al contempo il loro condividere la medesima origine, il loro essere i due modi in cui il Moderno necessariamente si manifesta, hanno a che fare con la differente radicalità con cui partecipano all’uno e all’altro dei lati della duplicità originaria e strutturale del moderno discorso politico. È lo sguardo genealogico sull’origine della politica moderna (del modo moderno di pensare all’origine della politica) – e non un riferimento a questo o a quel contenuto – che consente di stabilire il criterio della loro distinzione. Un criterio che permette di riconoscere le posizioni politiche e ideologiche che si sono snodate nel corso della storia tardo-moderna e contemporanea, anche senza che sia chiaramente presente ed esplicitato in esse e da esse. Un criterio che, però, non vuole misurare le intenzioni, palesi o recondite, delle forze e delle proposte politiche, ma che ne prende in esame le profonde strutture logiche, categoriali, argomentative.
Ciò detto, è abbastanza semplice constatare che le sinistre, pur nella loro storica varietà, si sono proclamate eredi del razionalismo e dell’illuminismo, e hanno tra loro in comune la più grande attenzione al lato del Moderno che consiste in quell’intrinseco elemento normativo, ma non immediatamente ordinativo, che è la natura umana nella sua forma seminale; questa, per le qualità innate che vi ineriscono – tradotte, secondo la semantica e la sintassi del discorso politico moderno, nei diritti, termine più spendibile politicamente e meno impegnativo che non ‘essenza’ –, è assunta a priori come Valore da affermare, ugualmente, per tutti. Lo sviluppo storico della modernità verso la democrazia ha portato gli obiettivi delle sinistre a consistere in concezioni della politica volte ad assicurare attivamente la libertà del fiorire del soggetto – singolare o collettivo (in comunità liberamente scelte) – in uguale dignità. Un liberale ‘di sinistra’ come John Stuart Mill poteva magnificare nell’Autobiografia «l’importanza per l’uomo e la società di una larga varietà di caratteri e di una completa libertà della natura umana di esprimersi in direzioni innumerevoli e contrastanti»; e dentro le medesime logiche, benché con strumentazioni concettuali assai differenti, il giovane Marx parlava del comunismo come della dimensione che realizza la ritrovata coincidenza, nell’uomo liberato, di società e natura («il naturalismo compiuto dell’uomo e l’umanismo compiuto della natura»), e che consente al lavoro di essere «libera estrinsecazione della vita, quindi godimento della vita». Insomma, la norma – che non implica necessariamente il normativismo – è qui l’idea che è Bene che i semi naturali di umana razionalità si sviluppino liberamente, in soggettività caratterizzate da uguaglianza di dignità e da autonomia, con la rinuncia a violenza, discriminazioni e dominio: che è Giustizia non l’ordine dell’essere ma il progetto delle soggettività di emanciparsi, attraverso la politica, da impedimenti e condizionamenti. Obiettivo per nulla generico e per nulla ovvio, che tiene insieme politiche liberal e politiche radical, e che non è per nulla moderato perché implica scelte difficili in ogni circostanza; se è vero che, secondo il detto di Rousseau, l’uomo nasce libero ma ovunque è in catene, allora alla politica – che a questo punto rivela il proprio carattere moderno, di essere cioè a un tempo strumento e destino – tocca il compito di realizzare concretamente l’umanità.
È quindi grazie alla politica che prende forma questa normatività che si trova nella realtà naturale: la natura umana non è un dato, ma un impulso, non è predeterminata ma è solo un seme di immediatezza, che rende indispensabile la mediazione delle istituzioni. Va sottolineato che la sinistra non coincide con l’ipotesi della razionalità del reale, ma solo della sua razionalizzabilità intorno al soggetto, in termini di uguale dignità. E quindi la stessa immagine della fioritura può essere sviante: se presa alla lettera, infatti, implica spontaneità, una sorta di necessità unidirezionale, quella appunto che da un seme porta inevitabilmente a un fiore (e solo a quello) e a un solo frutto. Al contrario, nonostante l’apparenza di essenzialismo e di naturalismo che pertiene al razionalismo moderno, la verità della sua immagine dell’uomo – una verità che si è resa manifesta nella riflessione novecentesca (ad esempio, con linguaggi differenti, tanto in Rawls quanto in Habermas) – è indeterminata: i diritti sono in realtà un modo per nominare ciò che solo è veramente essenziale, cioè la libera espressione di un Sé che ha il diritto di essere ciò che di volta in volta vuol essere, ovvero che non è un’essenza vincolata a rendersi attuale secondo schemi obbligati, o doverose configurazioni. Questa volontà del soggetto di vivere secondo quella che, nell’interpretazione di ciascuno, è la pienezza, è la logica profonda del Moderno, visto da sinistra; è l’impulso alla democrazia umanistica; è il modo con cui oggi parliamo della ricerca della felicità: una logica che ha in sé, per necessità, l’uguale dignità delle diverse volontà e dei diversi progetti, con l’esclusione conseguente del dominio e della violenza (non solo accidentale ma soprattutto strutturale: dal dominio di classe al dominio di genere).
Dentro l’universo delle sinistre questo ideale di libero sviluppo può essere concepito anche come di origine divina, come comando o come grazia o come esortazione di Dio agli uomini: ciò che importa è che la natura umana non sia interpretata né monisticamente, essendo anzi intrinsecamente plurale e vocata alla piena autonomia delle molteplici soggettività, né coercitivamente: non sono legittime istituzioni o agenzie di senso – partiti, Chiese o altro – che diano una versione obbligante (e quindi anche escludente) del fiorire dei semi dell’umanità, che argomentino in termini di ‘vera’ natura umana, di disordine individuale rispetto a un ordine oggettivo e imperativo, legittimato da una trascendenza che non è disponibile alla ragione umana e alla sua capacità critica. Il motivo e la legittimazione dell’esistenza in comune non stanno in nulla che trascenda gli individui.
La normazione e il disciplinamento, naturalmente, sono ben presenti all’interno dell’universo intellettuale e alla pratica storica delle sinistre, come mezzi per realizzare il fine: il loro peculiare rapporto con la doppia origine del Moderno può ispirare, politicamente, dirigismo in vista della spontaneità, coartazione in vista della liberazione (ma anche negazione di ogni mezzo autoritario che contraddica il fine liberator...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione alla presente edizione
  2. Premessa all’edizione 2010
  3. Avvertenza
  4. Una dicotomia obsoleta?
  5. Gli schemi delle teorie, e la complessità della storia
  6. L’origine della politica moderna, e le sue conseguenze
  7. L’età globale, e il caso italiano
  8. Sul presente, e sul futuro. Conclusione provvisoria
  9. Bibliografia essenziale