Relazione all’Assemblea
dell’Associazione Bancaria Italiana
del 29 febbraio 1968
1. Eccellenze, Signori, consentite anzitutto che io rivolga, a nome dell’intero settore creditizio e finanziario, dell’Associazione Bancaria Italiana, nonché a nome mio personale, il benvenuto ed il riconoscente saluto ai Ministri e Sottosegretari di Stato, al Presidente della Corte Costituzionale, del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, della Corte dei Conti, al Governatore della Banca d’Italia, ai Parlamentari, a tutte le altre Autorità intervenute, nonché a quelle che, impedite di partecipare alla nostra riunione, hanno espresso la loro adesione, ai rappresentanti di Organizzazioni di altri settori, a tutti coloro infine che con la consueta, squisita cortesia hanno voluto onorare con la loro partecipazione il periodico incontro delle Aziende di credito e finanziarie.
Il settore e l’Associazione che unitariamente lo rappresenta sentono che gli Organi di governo, la Pubblica Amministrazione, gli operatori economici seguono con vivo interesse i problemi creditizi e finanziari e ne hanno voluto dare graditissima conferma con la loro presenza oggi nella nostra sede.
Passeremo dunque in rassegna, come sempre, la nostra problematica; da parte mia mi propongo di tracciare a grandi linee l’evoluzione più recente, ed invitarvi a considerare fatti e problemi che ci attendono, mentre la dettagliata relazione che la Direzione dell’Associazione ha predisposto con la collaborazione di tutti i Servizi ed Uffici associativi fornirà documentazione dell’attività svolta.
Avremo poi il privilegio di ascoltare insieme la parola del Governatore della Banca d’Italia e quella del Ministro del Tesoro, che come sempre ci daranno modo di riflettere sulle prospettive creditizie e finanziarie del nostro Paese nel quadro più vasto della politica economica generale.
2. Avevo in animo di concentrare la mia esposizione esclusivamente sui problemi specifici del nostro settore, ma l’intreccio fra fatti internazionali e fatti interni è divenuto, nella fase a noi più vicina, così stretto e così operante da non potersi formulare una valutazione realistica di ciò che si compie e debba compiersi in casa nostra senza fermare l’attenzione preliminarmente sul significato delle vicende che sono venute a dominare la scena dei rapporti monetari internazionali.
Benché già da tempo si siano manifestate difficoltà e siano state espresse preoccupazioni per quanto concerne la posizione delle due monete più importanti per il commercio e la finanza mondiali, è nel corso dell’ultimo anno che i motivi di tali difficoltà e preoccupazioni si sono venuti accentuando, fino a sboccare nei recenti provvedimenti che non poco turbamento potenziale recano ai rapporti economici internazionali e alle prospettive delle economie nazionali.
Sappiamo bene quali cause immediate e quali cause di fondo siano all’origine delle recenti decisioni inglesi e statunitensi, numerose essendo le analisi che ne sono state date, alcune delle quali autorevolissime. Non possiamo, tuttavia, esimerci dal sottolineare, anche in questa occasione, la rilevanza che esse assumono per il nostro Paese nel loro significato di monito ad una corretta gestione dei conti economici della Nazione, di convalida della necessità della cooperazione internazionale, di sollecitazione all’urgente apprestamento di una linea di azione che valga a tutelare gli interessi della nostra economia, nel momento in cui questa è impegnata in un vasto sforzo di ripresa produttiva e di perseguimento di importanti obiettivi di politica interna.
Non possiamo, così, non rilevare l’insegnamento che scaturisce particolarmente dalle esperienze inglesi: è vera illusione che attraverso manovre di politica economica o di tecnica monetaria si possano eludere le leggi dell’economia. Quando si viva al di là dei propri mezzi, quando vi siano troppo forti squilibri nella scelta fra l’oggi e il domani, cioè nella scelta fra consumi e investimenti e quando il risparmio non sia sufficientemente tutelato, quando si intendano realizzare massicci programmi di espansione di spesa oltre i limiti posti dalle risorse disponibili, in tal caso l’equilibrio è irreparabilmente compromesso. E il rimedio non può ricercarsi che nella rimozione delle cause che hanno generato il male, attraverso un’opera di riequilibrio, la quale si rivela tanto più onerosa e irta di sacrifici quanto più tardivamente essa viene intrapresa.
I fatti recenti hanno pure dimostrato che se la crisi di una moneta-chiave, almeno nella sua fase acuta, ha potuto essere superata senza contraccolpi, ciò si deve in gran parte all’esistenza di un piccolo gruppo di monete di riconosciuto prestigio e responsabilità internazionale che, consapevolmente governate, hanno fatto argine e hanno retto allo sforzo. A questo riguardo ritengo doveroso dare atto alle nostre Autorità monetarie del successo da esse conseguito nell’assicurare alla lira una posizione di saldezza intrinseca presidiata anche da un cospicuo volume di riserve. Alla sagacia con cui esse – pur in situazioni obiettivamente non facili – hanno operato a questo fine, va tutto il nostro apprezzamento.
L’avanzato grado di integrazione internazionale oggi raggiunto tende a rendere ciascun Paese sempre più esposto alle influenze delle tensioni che si producono altrove. Le implicazioni in termini di politica economica si traducono in un ampliamento della responsabilità della condotta di ogni membro della comunità internazionale: a ciascuno spetta, pur nel perseguimento dei propri obiettivi interni, di coordinare la propria azione con quella degli altri Paesi sia in funzione preventiva, sia in funzione correttiva degli squilibri. È un campo, questo, in cui la cooperazione internazionale, anche se non facile da attuare, ha davanti a sé ampio spazio per intervenire efficacemente ai fini di un ordinato svolgimento dei rapporti economici fra i Paesi.
Merito del nostro Paese è certamente quello di aver recato allo sforzo di cooperazione un apporto validissimo che, in occasione delle trattative e delle vicende a noi vicine, ha suscitato larghi riconoscimenti.
Altro elemento di responsabilità della politica economica è quello che attiene alla necessità di difendere l’economia nazionale dall’impatto deflazionistico delle misure restrittive adottate altrove.
È con senso di conforto che il nostro settore – e con esso certamente tutti gli operatori economici – ha accolto le dichiarazioni del Ministro del Tesoro con le quali è stato espresso il fermo intendimento di contrastare gli effetti che dalla svalutazione della sterlina e più ancora dagli annunciati provvedimenti americani potranno derivare per la nostra economia.
Non vi è dubbio, infatti, che l’adozione di tali misure all’estero è in qualche modo suscettibile di incidere sfavorevolmente sulle condizioni nelle quali si va consolidando la ripresa della nostra attività produttiva. Risulterà accresciuta la competitività di talune produzioni estere sui mercati mondiali, mentre all’interno potremo registrare una contrazione di impulsi a seguito dell’effetto combinato di una minore domanda estera e di un diminuito afflusso di capitali. Siamo convinti che il secondo dei due fattori di turbativa, e sopratutto la possibilità di pressione al rialzo dei tassi di interesse possano essere contenuti da un’avveduta azione compensativa delle Autorità , anche se al riguardo non va dissimulato il pericolo che il perseguimento di tale obiettivo possa attribuire al volume della spesa una sfumatura di colore inflazionistico.
Resta, tuttavia, il problema della competitività . Su questo terreno la soluzione è naturalmente meno immediata e più complessa. Essa postula una serie di imperativi che consistono certamente in appropriati sforzi ed iniziative a livello imprenditoriale, ma che sopratutto richiedono, sul piano fiscale e su quello della stabilità monetaria, un clima di sviluppo del risparmio e di stimolo agli investimenti.
3. Passiamo dunque ai problemi dell’Italia e in particolare ai problemi del nostro settore, quali sono venuti presentandosi dal nostro ultimo incontro ad oggi.
Valutazioni ufficiali e non ufficiali sull’andamento dell’economia italiana ci hanno offerto un quadro sufficientemente approfondito dell’attuale congiuntura. Abbiamo superato la fase acuta della crisi, riconducibile ad una eccessiva valutazione della possibilità di mantenere un alto tasso di sviluppo economico, pur sottraendo consistenti mezzi agli investimenti produttivi per dedicarli a fini di consumo.
Da un lato i segni certamente numerosi attraverso i quali la ripresa della nostra economia si manifesta come fenomeno in corso di consolidamento e di diffusione, dall’altro i benefici riflessi che in misura crescentemente incisiva promanano dall’avanzata fase del processo di integrazione economica europea, inducono a prospettarci in termini sostanzialmente promettenti il futuro immediato e quello più lontano.
La ripresa dell’economia italiana, d’altra parte, non avviene senza residui e riflessi della passata congiuntura sfavorevole, che incidono in particolare, col naturale sfasamento temporale, sul sistema creditizio.
I fatti rammentano così, dopo un periodo di relativa facilità che aveva forse potuto sbiadirne la nozione, come la funzione creditizia consista nell’assunzione di rischi, il cui costo deve essere convenientemente coperto, e sopratutto come la concessione del credito comporti valutazioni e scelte che è interesse generale siano compiute con avvedutezza e competenza.
Vi è sicuramente un solido fondamento nelle odierne ottimistiche aspettative. Ma è altrettanto certo che il loro avverarsi, lungi dall’essere automatico, postula una serie di condizioni che in tanto potranno portarci ai risultati voluti in quanto sapremo soddisfarle nella misura e con la tempestività necessarie.
Il complesso di queste condizioni trova organica espressione nel «Programma economico» nazionale, che costituisce ormai la piattaforma sulla quale si impostano i nostri orientamenti per il prossimo futuro.
Senza indugiare ad evocare qui una per una tali condizioni, mi limiterò a rilevare – per quanto ovvio – che esse si riconducono in definitiva ad un solo imperativo, quello di assicurare un adeguato flusso di investimenti ad elevata produttività .
Non si può dimenticare infatti che il nostro Paese opera a questo riguardo da posizioni di partenza ancora notevolmente più arretrate di quelle di altri Paesi europei, e che malgra...