VI. Istituzioni inglesi, libertà italiana
Introduzione
Come ha notato Lucien Jaume, nel periodo tra la Rivoluzione francese e la fine dell’Ottocento, «ogni generazione di liberali tentò di trarre esempio dall’altra sponda della Manica, anche se né le sue strutture politiche né quelle sociali potevano essere esportate». Durante la Restaurazione l’interesse per la libertà inglese scaturì essenzialmente dalla ricerca da parte dei liberali di un modello politico che, contrapponendosi ai governi arbitrari della democrazia e delle dittature personali dei quali si era fatto esperienza nel corso della Rivoluzione francese e del regime napoleonico, fosse in grado di proteggere la libertà e di garantire la stabilità politica, assicurando a un tempo la pace sociale e gli interessi delle classi privilegiate. L’Inghilterra sembrava incarnare in modo ammirevole quella combinazione fra progresso, libertà e ordine sociale che i liberali del continente speravano di poter garantire dopo il cataclisma dei decenni precedenti. Nell’Europa continentale, furono gli intellettuali francesi a meditare più profondamente sul modello politico inglese, la cui storia costituì per loro anche una fonte di riflessione sui recenti eventi rivoluzionari e sul futuro politico che attendeva la Francia. Dopo la Restaurazione, anche la Francia aveva bisogno di una propria Gloriosa rivoluzione, visto che i Borboni non erano meno reazionari degli Stuart? E la storia inglese, non insegnava forse che solo salvaguardando la libertà era possibile salvare l’istituto monarchico? Per una minoranza di quegli intellettuali, i cosiddetti aristocratici liberali e gli ultras come René de Chateaubriand o Charles Cottu, l’ammirazione per l’Inghilterra scaturiva dalla convinzione che solo una forte aristocrazia nazionale, quale corpo intermedio fra il popolo e il governo, potesse conservare e proteggere la libertà . Essi credevano che per riaffermare in Francia la supremazia politica e sociale della nobiltà fosse necessario ricreare un’aristocrazia territoriale, nella quale vedevano l’unico ragionevole baluardo contro il dispotismo. A questo scopo, nel 1826 i realisti anglofili come Charles Cottu promossero una campagna per la piena reintroduzione nel loro paese della legge di primogenitura. Analogamente, più a sinistra nello schieramento politico, furono i conservatori francesi a trarre ispirazione dall’Inghilterra. I doctrinaires francesi come Auguste de Staël, Prosper Duvergier de Hauranne, François Guizot e Prosper de Barante ammiravano nell’aristocrazia inglese un corpo impegnato ad assicurare il benessere della nazione, e la contrapponevano alla nobiltà feudale francese, preoccupata esclusivamente dei suoi interessi e incapace di dar vita a una élite veramente nazionale. Come aveva precedentemente osservato Mme de Staël, le eccezionali virtù dell’aristocrazia inglese derivavano dalla sua capacità di combinare la grandezza e l’antichità con il merito e il talento. Erano queste le qualità che i doctrinaires ritenevano necessarie per istituire in Francia un’aristocrazia che fosse veramente dedita al bene comune. Nonostante le sue disuguaglianze sociali e l’imperfezione delle sue istituzioni, l’Inghilterra poteva vantare una vera mobilità sociale, che rendeva le carriere aperte a qualsiasi talento; la democrazia si sviluppava, e l’aristocrazia dava l’esempio. Auguste de Staël affermava che nel caso inglese l’influenza esercitata dall’aristocrazia mediante le elezioni, l’amore della gerarchia e gli onori si associavano all’esistenza di autentici esempi di vita democratica. Nell’Inghilterra i doctrinaires ammiravano un sistema politico che, diversamente dallo Stato accentrato napoleonico, si basava sull’autogoverno delle comunità . Essi inoltre guardavano con favore a un sistema parlamentare che permetteva di rappresentare gli interessi in modo coerente alla loro effettiva importanza nella società , piuttosto che in base all’idea astratta della rappresentanza popolare. Non sarebbe stato il suffragio universale, ma l’opinione pubblica a favorire il coinvolgimento e l’influenza del complesso della popolazione nella vita politica del paese. Allo stesso tempo, tuttavia, l’anglofilia dei doctrinaires, diversamente da quella degli ultras, non si associava a una nostalgia per l’ancien régime, a un rifiuto di tutte le riforme napoleoniche e a una propensione a indebolire le basi del governo parlamentare. L’ammirazione per l’aristocrazia inglese non impedì quindi ad Auguste de Staël di difendere, nel 1826, l’eredità legislativa francese. Con l’appoggio dei doctrinaires, egli sosteneva che in Francia la divisione della terra in piccoli lotti non ostacolava la produzione agricola, e anzi, dopo la Rivoluzione, aveva messo la terra a disposizione delle persone più industriose, contribuendo in tal modo alla pace sociale.
Ginevra era un altro importante centro dell’anglofilia europea, almeno fin dall’ultimo decennio del Settecento, quando Etienne Dumont aveva proposto di adottare la costituzione inglese per dare stabilità alla Francia all’indomani del Terrore. Negli anni Venti fu Sismondi, personalmente in contatto con ambienti progressisti inglesi, a continuare questa tradizione. Pur critico su molti aspetti della costituzione, e scettico riguardo all’opportunità di importare le istituzioni inglesi in Francia, egli elogiava il ruolo svolto dall’opinione pubblica nello sviluppo di una «educazione nazionale che quotidianamente convoca le classi più numerose del popolo a conoscere, a comprendere gli interessi della patria [...] e a manifestare la loro volontà ».
In questo capitolo prenderemo in esame il modo in cui questi dibattiti influenzarono e coinvolsero gli esuli italiani. Infatti, esattamente come molti altri liberali europei, i fuoriusciti italiani presero spunto dal caso inglese per riflettere sulla compatibilità fra la libertà e l’ordine sociale. Sia tramite contatti personali a Parigi, come nel caso di Santorre di Santarosa, sia semplicemente grazie alla loro conoscenza della letteratura politica francese, i liberali moderati in esilio erano al corrente delle idee dei liberali francesi sull’Inghilterra. Ciò vale anche per quanti di loro erano in una posizione tale da poter osservare in prima persona la società inglese e le sue istituzioni. Oltre che da un’approfondita conoscenza della cultura liberale francese, l’immagine che gli esuli avevano della Gran Bretagna era influenzata anche dai dibattiti sulla riforma costituzionale che si svolgevano in quel paese, ed era resa ancora più precisa dalla possibilità di accedere direttamente agli ambienti socialmente più esclusivi e intellettualmente raffinati. Dopo il 1821 gli esuli lombardi e piemontesi della generazione romantica vennero accolti dall’aristocrazia whig, in particolare alla Holland House, vale a dire dal settore più cosmopolita dell’aristocrazia inglese, o perché ne avevano in precedenza incontrato alcuni esponenti in Italia o a Coppet, o per il tramite di Ugo Foscolo, che era stato in contatto con Lord Holland fin da quando era arrivato a Londra nel 1816. Agli intellettuali e agli aristocratici come Foscolo, Giuseppe Pecchio, Antonio Panizzi, Santorre di Santarosa, Ferdinando Dal Pozzo e Giovanni Arrivabene, la frequentazione della Holland House consentì di incontrare esponenti della «Edinburgh Review» come Sydney Smith, William Empson e Francis Jeffrey, storici come Thomas Babington Macaulay e Henry Hallam, molti esuli spagnoli, intellettuali e italofili come Charles Macfarlane e Stewart Rose, e i più importanti fra gli stranieri che transitavano da Londra. Un’altra possibilità di accedere all’élite intellettuale inglese era offerta da Lord Lansdowne, della cui cerchia a Bowood facevano parte benthamiti e studiosi di economia politica. E di fatto, o grazie ai loro contatti con John Bowring o tramite Sarah Austin, moglie del riformatore John Austin, ebbero accesso anche alla cerchia di Bentham. Tuttavia, come dimostrerò, data la provenienza sociale e le tendenze politiche della maggioranza di essi, i loro commenti sulle istituzioni inglesi erano più in sintonia con il linguaggio e le idee dei philosophical whigs e della Holland House che con il radicalismo benthamita. Gli aristocratici in esilio non gradivano affatto il repubblicanesimo di Bentham e la sua campagna a favore del suffragio universale.
Se la Holland House sosteneva la tradizione whig che si ispirava a Fox, e che veniva identificata con la difesa delle libertà inglesi dal dispotismo e con cause umanitarie come la campagna contro la schiavitù, fu il movimento dei philosophical whigs a fornire gli strumenti più sofisticati a coloro che volevano promuovere una riforma graduale della costituzione e giustificare l’esigenza del Reform Bill. Per gli esponenti di questa corrente come Sir James Mackintosh, Henry Hallam, Thomas Babington Macaulay e i redattori della «Edinburgh Review», la società era un organismo che aveva le sue radici nello sviluppo storico. Essi quindi si opponevano alla concezione radicale che considerava la società come un meccanismo, e condannavano il suffragio universale e le teorie astratte riguardanti la riforma legislativa e istituzionale. Nel caso di Mackintosh, tuttavia, questa prospettiva filosofica poteva comprendere una spiegazione, e una giustificazione, della Rivoluzione francese. Grazie all’adozione della teoria stadiale dell’illuminismo scozzese, con cui si spiegav...