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Quaresima e Carnevale:
una dinamica dell’Occidente
Durante il Medioevo, va detto ancora una volta, il corpo è il luogo di un paradosso. Da un lato, il cristianesimo insiste nel mortificarlo. «Il corpo è l’abominevole involucro dell’anima», dice Gregorio Magno. Dall’altro, è esaltato, soprattutto attraverso il corpo martoriato di Cristo, sacralizzato nella Chiesa, che è il corpo mistico di Gesù Cristo. «Il corpo è il tabernacolo dello Spirito Santo», dice san Paolo. L’umanità cristiana si fonda in ugual misura sul peccato originale – trasformato nel Medioevo in peccato sessuale – e sull’incarnazione: Cristo fattosi uomo per salvarla dai suoi peccati. Nelle pratiche popolari, il corpo è frenato dall’ideologia anticorporale del cristianesimo istituzionalizzato, ma resiste alla rimozione.
La vita quotidiana degli uomini del Medioevo oscilla tra Quaresima e Carnevale, in una lotta immortalata da Pieter Bruegel nel famoso dipinto del 1559, Il combattimento tra il Carnevale e la Quaresima. Da una parte il magro, dall’altra il grasso. Da una parte il digiuno e l’astinenza, dall’altra bagordi e crapule. Un’oscillazione senz’altro correlata al ruolo centrale occupato dal corpo nell’immaginario e nella realtà del Medioevo.
Gli ordini di cui si compone la tripartita società medievale, oratores (gente di preghiera), bellatores (gente d’armi) e laboratores (gente che lavora) sono in parte definiti attraverso il loro rapporto con il corpo. Corpi sani dei sacerdoti che non devono essere né mutilati né storpi; corpi dei guerrieri nobilitati dalle loro imprese belliche; corpi dei lavoratori schiacciati dalla fatica. I rapporti tra anima e corpo sono a loro volta dialettici, dinamici, e non antagonistici.
È opportuno ricordarlo: a separare in maniera radicale l’anima dal corpo non è stato il Medioevo, ma piuttosto la razionalità classicista del Seicento. Nutrito dei princìpi di Platone, secondo i quali l’anima preesiste al corpo – una filosofia che alimenterà il «disprezzo del corpo» degli asceti cristiani quali Origene (185 ca.-252 ca.) – ma anche permeato delle tesi di Aristotele secondo cui «l’anima è la forma del corpo», il Medioevo ritiene «ogni uomo composto di un corpo, materiale, creato e mortale, e di un’anima, immateriale, creata e immortale»1. Corpo e anima sono indissociabili. «L’uno è l’esterno (foris), l’altra l’interno (intus), che comunica attraverso tutta una rete d’influssi e di segni», conclude Jean-Claude Schmitt2. Veicolo di vizi e del peccato originale, il corpo è anche strumento di salvezza: «Il Verbo si è fatto carne», dice la Bibbia. Da uomo, Gesù ha sofferto.
Ma il periodo che per convenzione viene definito Medioevo3 è stato in primo luogo l’epoca della grande rinuncia al corpo.
La grande rinuncia
Le espressioni più manifeste della socialità, al pari dei godimenti più intimi del corpo, sono largamente repressi. È durante il Medioevo che scompaiono le terme, lo sport, il teatro, eredità dei Romani e dai Greci; gli stessi anfiteatri, il cui nome passerà dai giochi dello stadio ai certami teologici che si svolgevano all’interno delle università. La donna demonizzata; la sessualità controllata; il lavoro manuale svilito; l’omosessualità prima condannata, poi tollerata e infine messa al bando; il riso e il gestire riprovati; maschere, trucco e travestimenti condannati; lussuria e gola accomunati... Il corpo è considerato il carcere e il veleno dell’anima. A prima vista, quindi, al culto del corpo del mondo antico si sostituisce nel Medioevo uno svilimento del corpo nella vita sociale.
Sono i Padri della Chiesa a introdurre e fomentare questo grande ribaltamento concettuale, con l’instaurazione del monachesimo. L’«ideale ascetico» conquista il cristianesimo attraverso l’influenza della Chiesa e diviene il piedistallo della società monastica che, durante l’alto Medioevo, cercherà di imporsi come modello ideale di vita cristiana. I benedettini concepiscono l’ascesi come «strumento di ripristino della libertà spirituale e di ritorno a Dio»: «È la liberazione dell’anima dal gravame e dalla tirannia del corpo». Due gli aspetti fondamentali: «la rinuncia al piacere e la lotta contro le tentazioni»4.
L’ascetismo benedettino, di matrice orientale, derivante dall’esperienza dei Padri del deserto, attenua il rigore nei confronti del corpo. Vi si ritrova la parola d’ordine discretio, cioè moderazione. Di fronte all’instaurarsi del feudalesimo, la riforma monastica del secolo XI e degli inizi del XII, soprattutto in Italia, accentua la repressione del piacere, principalmente del piacere corporeo. Il disprezzo del mondo – parola d’ordine della spiritualità monastica – è in primis un disprezzo del corpo. La riforma pone in primo piano la privazione e la rinuncia in campo alimentare (digiuni e divieto di alcuni alimenti) e l’imposizione di sofferenze volontarie. I laici di grande religiosità (è il caso di san Luigi, re di Francia nel XIII secolo) possono assoggettarsi a mortificazioni corporee simili a quelle che si infliggono gli asceti: cilicio, flagellazioni, veglie, dormire sulla nuda terra...
A partire dal XII secolo, l’affermarsi dell’imitazione di Cristo nella devozione introduce tra i laici pratiche che ricordano la passione di Cristo. Devoto di un Dio sofferente, san Luigi sarà un Re-Cristo, un re sofferente.
Tali pratiche si manifestano spesso per iniziativa di laici, in particolare di confraternite di penitenti. È quanto accade a Perugia nel 1260, dove i laici organizzano una processione espiatoria durante la quale i partecipanti si flagellano pubblicamente. La manifestazione incontra grande successo e si diffonde nell’Italia centrale e settentrionale. La Chiesa mantiene il proprio controllo prolungando i periodi in cui l’alimentazione dei fedeli è soggetta a restrizioni. A partire dal Duecento, il calendario alimentare comprende l’astinenza dalla carne tre volte a settimana, il digiuno della Quaresima, dell’avvento, dei quattro Tempora, delle vigilie delle feste e dei venerdì. Attraverso il controllo dei gesti, la Chiesa impone al corpo una disciplina nello spazio; attraverso il calendario dei divieti, gli impone una disciplina nel tempo.
Il tabù dello sperma e del sangue
Già agli albori del periodo in cui, quanto meno in Occidente, si va insediando una religione ufficiale e un ordine nuovo – il cristianesimo –, inizia a manifestarsi la ripugnanza verso i liquidi corporei: lo sperma e il sangue. Questo «mondo di guerrieri» condanna infatti il sangue. La società medievale è, da questo punto di vista, un mondo di paradossi. In un certo senso, si può affermare anche che il Medioevo ha scoperto il sangue. Nel suo Michelet5, Roland Barthes insiste su questo problema decisivo e complesso: «Secoli interi si sgretolano nelle manifestazioni di un sangue instabile. Il XIII nella lebbra, il XIV nella peste nera».
Nel Medioevo, il sangue è la pietra di paragone dei rapporti tra i due ordini superiori della società: oratores e bellatores. Caratteristica della seconda categoria, quella dei guerrieri, in concorrenza e conflitto permanenti con la prima, quella dei chierici, è spargere il sangue. Anche se il divieto non è sempre rispettato, i monaci, custodi del dogma, non devono invece battersi. La distinzione sociale tra oratores e bellatores si gioca quindi attorno a questo tabù. La motivazione è sociale, strategica e politica, ma anche teologica, poiché Cristo nel Nuovo Testamento dice che non bisogna spargere il sangue.
Contraddizione e paradosso, in quanto la pratica rituale cristiana è fondata sul sacrificio di una vittima, santa ma sanguinante, Cristo. L’eucarestia rinnova costantemente tale sacrificio: «questo è il mio corpo, questo è il mio sangue», dice Gesù ai discepoli durante l’Ultima Cena. La liturgia fondamentale del cristianesimo, la messa e l’eucarestia, sarà in parte un sacrificio del sangue. Così il sangue diviene la base della gerarchia sociale. Tra chierici e laici, ma anche tra laici, poiché la nobiltà si converte poco per volta a questa nuova concezione, fa sua questa invenzione che costituisce l’unico elemento permanente e consustanziale del proprio gruppo sociale. Sin dal più alto Medioevo inizia a ricorrere l’affermazione «Si nasce di sangue nobile»6. Tuttavia il sangue come definizione della parentela tra nobili non appare che in epoca più tarda. Solo a cominciare dal Trecento i discendenti diretti dei re saranno chiamati «principi del sangue». E solamente nella Spagna di fine Quattrocento fa la sua apparizione, in contrapposizione agli ebrei, il concetto di «purezza del sangue».
Ma il tabù del sangue permane. Una delle numerose ragioni della condizione di relativa inferiorità della donna durante il Medioevo è ascrivibile alle mestruazioni, anche se Anita Gueneau-Jalabert7 ha osservato che la teologia medievale non ha fatto suoi i divieti dell’Antico Testamento riguardanti la donna mestruata. La trasgressione al divieto ecclesiastico ai coniugi di copulare durante il periodo delle mestruazioni della donna avrebbe avuto come conseguenza la nascita di figli affetti da lebbra, «malattia del secolo», si direbbe oggi, che trovava in questo modo la sua spiegazione più generalmente accolta. Anche lo sperma è lordura. La sessualità, associata a partire dal XII secolo al tabù del sangue, diviene in tal modo il vertice della svalutazione del corpo.
Il cristianesimo medievale privilegia il peccato riferito alla sozzura. Lo spirituale prevale sul corporale. Il sangue puro di Cristo è tenuto distinto dal sangue impuro degli uomini. Lo si chiama il Preziosissimo Sangue, raccolto dagli angeli e da Maria Maddalena ai piedi della croce e di cui molte chiese nel Medioevo rivendicano il possesso, a Bruges, ad esempio, e soprattutto a Mantova. Il culto del Sacro Sangue è stato veicolato dal successo del tema letterario e cavalleresco del sacro Graal. Nell’Occidente medievale, tuttavia, non esistono le fratellanze di sangue.
La sessualità, apice dello svilimento
Come osserva Jacques Rossiaud8, è chiaro che i documenti sui quali si basano gli storici rispecchiano esclusivamente il pensiero degli uomini che detengono il potere di scrivere, descrivere e condannare, cioè i monaci e gli ecclesiastici che, a causa del voto di castità, hanno aderito a regole ascetiche di vita. Ed è altrettanto vero che le parole dei laici di cui ci è pervenuta traccia sono il più delle volte quelle pronunciate nei tribunali dove essi accusano, rendono testimonianza e si difendono, aderendo al pensiero dominante al fine di perorare la propria causa. Quanto ai romanzi, novelle e fabliaux, questi attingono le loro storie, farse e intrighi dalla quotidianità dell’«uomo medievale». Ma, come nota Georges Duby, sono esempi che si collocano «in una messa in scena convenzionale dell’amore e della sessualità»9.
È quindi possibile affermare che il corpo sessuato del Medioevo è prevalentemente svilito, e che le pulsioni e il desiderio carnale vengono largamente repressi. Lo stesso matrimonio cristiano, che non senza difficoltà comincia ad entrare nell’uso nel Duecento, sarà un tentativo di porre rimedio alla concupiscenza. La copula è vista ed accettata soltanto al fine della procreazione: «Adultero è anche chi con troppo ardore ama la propria moglie», insistono gli uomini di Chiesa. Il dominio sul corpo è così statuito, le pratiche «devianti» vietate.
A letto, la donna ha l’obbligo di essere passiva, l’uomo attivo, ma moderatamente, senza trasporto. Nel XII secolo, soltanto Pietro Abelardo (1079-1142), forse pensando alla sua Eloisa, avrà il coraggio di dire che il predominio maschile «cessa nell’atto coniugale, in cui l’uomo e la donna esercitano un uguale potere sul corpo dell’altro». Ma per la maggior parte degli ecclesiastici e dei laici l’uomo è un possessore. «Il marito gestisce il corpo della moglie, esercita il diritto di successione nel suo possesso», riassume Duby. Agli occhi dei teologi qualsiasi tentativo di contraccezione ...