III. Verità, soggetto, temporalità: la presenza di Aristotele nei corsi di Marburgo e in «Essere e tempo»
1. L’impostazione del confronto
La pubblicazione dei corsi che Heidegger tenne a Marburgo dal semestre invernale 1923/24 al semestre estivo 1928 permette di fare luce sull’evolversi del suo pensiero negli anni immediatamente precedenti la pubblicazione di Essere e tempo, cioè in uno dei suoi momenti più intensi e più fecondi. Nel contesto qui considerato del confronto con la tradizione, questo periodo presenta inoltre un interesse particolare, in quanto esso è caratterizzato in prevalenza dal misurarsi di Heidegger con alcuni grandi momenti fondativi del pensiero ontologico tradizionale, vale a dire, nell’ordine in cui essi vengono attuati, dal confronto con Husserl, con Aristotele e con Kant (ma anche con Tommaso d’Aquino, con Suarez, con Descartes e Leibniz).
Tutti questi confronti, e specialmente quello con Aristotele, vengono attuati nell’orizzonte del tentativo heideggeriano di mettere in questione i presupposti dell’ontologia tradizionale e di preparare il terreno per una sua rifondazione veramente radicale. Questa messa in questione e questa rifondazione vengono attuate, da un lato, mettendo a nudo la riduttività della comprensione metafisica dell’essere come presenza (connessa a una comprensione del tempo che privilegia la dimensione del presente); dall’altro, individuando nel modo d’essere specifico della vita umana, cioè dell’esserci, il fondamento strutturale per la riproposizione radicale del problema dell’essere.
Vi è dunque una connessione non meramente esteriore che collega fra di loro questi confronti di Heidegger con la tradizione, e in particolare i tre principali, quello con Husserl, quello con Aristotele e quello con Kant. Quanto alla loro successione, si può dire che Heidegger si confronta innanzitutto con la fenomenologia husserliana e che approda poi all’interpretazione di Aristotele a partire dagli interrogativi che erano rimasti senza risposta nel confronto con Husserl. Nel pensiero di quest’ultimo, infatti, egli era giunto a vedere, compiuta e portata sino alle sue estreme conseguenze, la fondazione di una filosofia del soggetto orientata prevalentemente sul conoscere scientifico e sulle categorie logico-teoretiche. Volgendosi ad Aristotele, invece, egli crede di potervi scorgere un repertorio completo delle determinazioni ontologiche fondamentali della vita umana, e per di più senza i presupposti delle moderne filosofie del soggetto. In Kant, infine, Heidegger si sforzerà di vedere un superamento della tradizionale dimenticanza della connessione di essere e tempo, per il fatto che Kant avrebbe tentato di pensare l’unità delle determinazioni fondamentali della vita umana, che Aristotele aveva individuate, ma accostate rapsodicamente senza metterne a tema l’unità; e, sia pure inconsapevolmente, Kant avrebbe determinato questa unità come temporalità, connettendo così temporalità e soggettività e attingendo a quel fondamento della finitudine che – così come l’equazione heideggeriana di esserci e temporalità originaria vuole provare – consente di riproporre il problema dell’essere e del tempo.
Venendo ora all’interpretazione di Aristotele, appare subito il divario rispetto al precedente confronto, quello condotto negli anni giovanili in seguito alla lettura di Brentano e di Braig, sia per la maggiore ampiezza tematica, sia per il più maturo e profondo impegno speculativo, sia infine per il più alto livello interpretativo raggiunto. Ferme restando la centralità e la fondamentalità del problema dell’essere, appare inoltre evidente un certo spostamento tematico. Giacché, anche se l’essere rimane l’orizzonte generale e il fine ultimo della ricerca, Heidegger sviluppa ora il confronto con Aristotele in merito a quelle tematiche che saranno poi centrali anche in Essere e tempo; esse sono almeno tre: il problema della verità, il problema del ‘soggetto’, il problema della temporalità.
Per comprendere questo spostamento tematico e il salto di qualità che ne accompagna l’attuarsi, è opportuno considerare che gli anni intercorrenti tra la tesi di libera docenza e la chiamata a Marburgo, vale a dire gli anni del primo insegnamento di Friburgo, segnano per Heidegger un periodo di riflessione, di crisi e di cambiamenti radicali. Vi è un significativo documento, che vale la pena riportare per esteso, nel quale si può cogliere la profonda trasformazione di Heidegger in quegli anni. Si tratta di una lettera del 9 gennaio 1919 indirizzata a Engelbert Krebsl. Eccone il testo:
Egregio Signor Professore,
i due anni trascorsi, nei quali mi preoccupai di chiarire nei principi la mia posizione filosofica, tralasciando ogni compito scientifico particolare, mi hanno condotto a risultati per i quali, se stessi in un vincolo extrafilosofico, non potrei avere garantita la libertà di convinzione e d’insegnamento.
Convinzioni gnoseologiche coinvolgenti la teoria del conoscere storico hanno reso per me problematico e inaccettabile il sistema del cattolicesimo, non però il cristianesimo e la metafisica (quest’ultima, tuttavia, in un senso nuovo).
Credo di avere percepito troppo fortemente – forse più dei suoi funzionari ufficiali – quanti valori il medioevo cattolico porti con sé, e noi siamo ancora di gran lunga lontani da una sua vera valorizzazione. Le mie indagini di fenomenologia della religione, che terranno in forte considerazione il medioevo, intendono testimoniare, al posto di ogni discussione, che attraverso una trasformazione della mia posizione di fondo non mi sono lasciato indurre a posporre il giudizio oggettivo e sobrio e l’alta considerazione del mondo della vita cattolico a una polemica da apostata stizzita e desolata.
Pertanto, anche in futuro sarà mia cura rimanere in contatto con studiosi cattolici che vedono e ammettono dei problemi e sono in grado di immedesimarsi in convinzioni diverse.
Mi è perciò particolarmente prezioso – e di questo vorrei ringraziarLa molto cordialmente – non perdere il bene della Sua preziosa amicizia. Mia moglie, che Le ha fatto visita da poco, e io stesso vorremmo mantenere la confidenza del tutto particolare con Lei. È difficile vivere da filosofo; l’intima sincerità di fronte a se stesso e a coloro ai quali si deve insegnare esige sacrifici e rinunce e lotte, che all’artigiano scientifico rimangono sempre estranee.
Credo di avere la vocazione interiore alla filosofia e, attuandola nella ricerca e nell’insegnamento, credo di fare ciò che le mie forze mi permettono per la destinazione eterna dell’uomo interiore, e così credo di giustificare da solo dinanzi a Dio la mia esistenza e il mio operare.
Cordialmente grato, il Suo Martin Heidegger.
Quanto più questo documento ci fa percepire la radicalità con la quale il giovane Heidegger si accinge al compito del filosofare, tanto più dobbiamo rammaricarci di non disporre degli scritti di questo periodo, in modo tale da poter seguire, come per il periodo di Marburgo, il maturare del suo pensiero2. Fortunatamente, comunque, sappiamo da diverse testimonianze, almeno a grandi linee, le tematiche principali di cui Heidegger si occupa durante il primo insegnamento di Friburgo3. E sappiamo che in questo periodo egli dedica grande e ripetuta attenzione al pensiero aristotelico. Dall’elenco dei corsi e dei seminari tenuti, risulta la frequenza con la quale Heidegger ritorna su Aristotele: nel semestre estivo 1916 tiene assieme a Krebs un seminario su passi scelti dagli scritti logici di Aristotele; nel semestre estivo 1921 (parallelamente a un corso su Agostino e il neoplatonismo) legge in un’esercitazione seminariale il De anima; nel semestre invernale 1921/22 tiene un corso sulla Fisica (annunciato ora in HGA LXI col titolo: Phänomenologische Interpretation zu Aristoteles); nel semestre estivo 1922 di nuovo un corso intero su passi scelti dell’ontologia e della logica di Aristotele e inoltre, parallelamente, un seminario sull’Etica Nicomachea; infine, nel semestre invernale 1922/23 un seminario sui libri IV-V della Fisica4.
I risultati di questo intenso confronto con Aristotele sarebbero stati elaborati da Heidegger in un grosso manoscritto, i cui contenuti essenziali avrebbero dovuto venire pubblicati in un articolo previsto per lo «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung» di Husserl, ma mai apparso. In esso Heidegger avrebbe trattato il VI libro dell’Etica Nicomachea, il II libro del De anima, i libri I (1-2), VII-IX della Metafisica e il I (8) libro della Fisica, vale a dire tutti quei testi di Aristotele che anche in seguito rappresentano i riferimenti focali del confronto5.
Heidegger ricorda questo momento del confronto con Aristotele nel seguente modo: «Quanto più era evidente per me la fecondità della crescente familiarità con il vedere fenomenologico per l’interpretazione degli scritti di Aristotele, tanto meno potevo separarmi da Aristotele e dagli altri pensatori greci. Ma per la verità non potevo ancora valutare sul momento quali conseguenze decisive doveva portare con sé quel modo nuovo di rivolgersi ad Aristotele. Quando io stesso, a partire dal 1919, (...) misi alla prova in seminario una comprensione trasformata di Aristotele, il mio interesse si rivolse di nuovo alle Ricerche logiche, soprattutto alla seconda della prima edizione. La differenza qui enucleata tra intuizione sensibile e intuizione categoriale mi si rivelò in tutta la sua portata per la determinazione del significato molteplice dell’ente»6.
Questo importante confronto con Aristotele degli anni del primo insegnamento friburghese viene poi ripreso nei corsi di Marburgo, nei quali l’interpretazione di Aristotele appare strettamente connessa all’elaborazione del programma speculativo di Heidegger, vale a dire la riproposizione del problema dell’essere attraverso l’analisi dell’esserci. Per questo, l’interpretazione marburghese di Aristotele si differenzia dalle interpretazioni successive alla svolta. In essa non si tratta – come, ad esempio, nel saggio sul concetto aristotelico di physis – di interpretare entro un orizzonte già costituito, quello della storia della metafisica come storia della dimenticanza dell’essere, un momento essenziale di essa (quello aristotelico appunto), per saggiare la consistenza del quadro generale e l’appartenenza del momento al quadro. A Marburgo, continuando la ricerca avviata in precedenza negli ultimi anni di Friburgo, si tratta per Heidegger di cogliere nel pensiero aristotelico alcune determinazioni e alcuni momenti essenziali che, con opportune ristrutturazioni, gli servano da ausilio essenziale per perseguire le proprie finalità fondative.
Quanto alla sua estensione cronologica, tale confronto si concentra soprattutto nei primi anni dell’insegnamento marburghese. A partire invece dalla metà degli anni Venti, più precisamente dalla metà circa del corso del semestre invernale 1925/26, nell’interesse di Heidegger subentrerà quale termine privilegiato di confronto la figura di Kant.
Ad eccezione del corso sulla Retorica del semestre estivo 1924, disponiamo ormai di pressoché tutti i corsi marburghesi rilevanti per il confronto con Aristotele7. Peraltro, anche per il corso sulla Retorica si può supporre quale ne fosse in linea di massima il contenuto, e precisamente tenendo conto di quei passi delle altre lezioni marburghesi e di Essere e tempo nei quali – riprendendo molto probabilmente considerazioni sviluppate in quel corso – Heidegger tratta della dottrina delle passioni contenuta nel II libro della Retorica. E si sa che qui egli la utilizza nel contesto dell’analisi dell’esserci come «la prima ermeneutica sistematica dell’essere-assieme quotidiano», mettendone in rilievo la portata ontologica e asserendo che «l’interpretazione ontologico-fondamentale dei principi delle passioni non ha compiuto alcun passo avanti degno di nota da Aristotele in poi»8.
Sulla base degli altri corsi marburghesi pubblicati, si tratta ora di esaminare la centrale presenza di Aristotele in tutte le tappe essenziali dello sviluppo speculativo di Heidegger fino a Essere e tempo; e questo non solo nei momenti decisivi della trasformazione ontologica della fenomenologia e del distacco da Husserl, ma anche in quei passaggi nei quali, pur non essendo Aristotele al centro dell’impegno e dell’attenzione, è pur tuttavia percettibile quella tensione ontologica sviluppata e temperata nel cimentarsi di Heidegger con i testi aristotelici. Quest’esame potrà essere condotto poi nel modo più opportuno seguendo l’ordine dei tre problemi fondamentali emergenti: il problema della verità, il problema del ‘soggetto’ e il problema della temporalità.
2. Il problema della verità
A focalizzare la propria attenzione sul problema della verità, Heidegger giunge mediante un connubio tra Husserl e Aristotele, tra fenomenologia e ontologia, di cui si vedono le tracce evidenti nel primo dei corsi marburghesi di cui attualmente disponiamo, e cioè quello del semestre estivo 1925 pubblicato col titolo Prolegomeni a una storia del concetto di tempo9.
L’attenzione di Heidegger è qui concentrata prevalentemente sul confronto critico con Husserl. Nondimeno ci si imbatte con frequenza non casuale nei segni palesi della precedente interpretazione friburghese di Aristotele, ai quali si accompagna di sovente la dichiarazione programmatica della necessità di allargare il confronto a tutti gli ambiti fondamentali del domandare filosofico e di connettere in maniera sistematica i risultati di questo confronto allargato con i problemi nati dall’appropriazione critica della fenomenologia.
La parte introduttiva del corso, che è dedicata a illustrare il senso e i compiti della fenomenologia, presenta alcuni passi assai significativi in questo senso. In un primo di essi, nel contesto di un’esposizione del senso generale e dell’importanza della scoperta husserliana dell’intuizione categoriale, Heidegger tocca appunto il problema della verità, e precisamente la questione della distinzione e della caratterizzazione della comprensione ontologica della verità in contrapposizione alla comprensione meramente gnoseologica. Ora, nel trattare questo problema, Heidegger osserva che «la fenomenologia (...) rompe con la limitazione del concetto di verità agli atti che collegano (beziehende Akte), ai giudizi» e così «senza averne una consapevolezza esplicita, ritorna all’ampiezza del concet...