Napoleone e il bonapartismo
di Alberto Mario Banti
1. Parigi, 3 gennaio 1798
Luci accese all’Hôtel de Galliffet. Carrozze che arrivano. Bella gente che ne esce. Domestici che si occupano dell’accoglienza. C’è un ricevimento in corso. Lo ha organizzato Talleyrand, che è il padrone di casa. Uomo affascinante e inquietante, questo Talleyrand. Il «diavolo zoppo», lo chiamano. Zoppo perché, a causa di un incidente occorsogli quando era bambino, un piede non lo sorregge a dovere. E se lui in persona non è un diavolo, almeno un qualche tipo di accordo con Satana deve averlo sottoscritto: perché, vivendo in tempi tremendamente turbinosi, sembra dotato della capacità di restare sempre nelle prime file, tra gli uomini che contano, qualunque sia il regime che domina, qualunque sia il potente di turno.
Certo, è nato bene, nel 1754, in una delle più importanti famiglie dell’aristocrazia francese. Poi ha fatto gli studi giusti, anche se non sono quelli che avrebbe voluto fare: per imposizione dei genitori ha studiato in seminario, e nel 1779, all’età di 25 anni, è stato ordinato sacerdote. La sua vocazione non è per niente solida e quindi, nonostante la sua ordinazione, conduce una vita estremamente dissoluta. Ma è anche una vita ricca di relazioni con gente influente, prelati, intellettuali, politici in vista, le massime autorità dello Stato addirittura, tanto che nel 1789, a 35 anni, viene nominato vescovo di Autun grazie all’intervento diretto di Luigi XVI. In quello stesso anno, quando ormai la marea della crisi rivoluzionaria sta per sommergere la Francia, viene eletto tra i rappresentanti del clero agli Stati generali. Da allora diventa una delle personalità di spicco dell’esperienza rivoluzionaria, tra i protagonisti dell’Assemblea costituente, e tra i maggiori sostenitori della Costituzione civile del clero, tanto che nel 1791 viene scomunicato da papa Pio VI. Poi le cose si fanno complicate anche per uno come lui: la radicalizzazione del clima politico lo induce a chiedere e ottenere un incarico diplomatico in Inghilterra, che gli permette di allontanarsi dalla Francia proprio quando i giacobini stanno per imporre la loro politica del terrore. Le cose sembrano comunque mettersi male: dall’Inghilterra viene espulso, ed è costretto a trasferirsi negli Stati Uniti, dove la sua nascita e le sue relazioni non sembrano valere molto. Nel 1796, però, il nuovo governo della Repubblica francese, che ha rovesciato Robespierre e i giacobini, lo autorizza a ritornare in patria; e nel 1797 Paul Barras, uno dei leader del Direttorio (che è il nome assunto dal governo della Repubblica francese), fa in modo che venga nominato ministro degli Esteri.
In effetti l’Hôtel de Galliffet, dove il 3 gennaio del 1798 si svolge il ricevimento, è la sede del ministero degli Esteri della Repubblica francese. In quell’occasione tra gli ospiti c’è anche Vivant Denon, un cinquantenne che ha fatto carriera come diplomatico sia sotto Luigi XV che sotto Luigi XVI; poi è riuscito a mantenersi in sella anche dopo lo scoppio della Rivoluzione, un po’ come ha fatto Talleyrand. Anzi, durante la Rivoluzione è riuscito a coltivare la sua vera passione, che è l’arte, e in particolare l’arte antica. Già mentre era ambasciatore a Napoli (1782-87) si era interessato degli scavi in corso a Pompei. Poi, al suo ritorno a Parigi, è diventato amico di Jacques-Louis David, il dominatore dell’arte francese di questi anni.
Adesso Denon è davanti al buffet, dove ha preso un bicchiere di limonata. Voltandosi quasi si scontra con un giovane magro, piuttosto basso, con i capelli lunghi e gli occhi brillanti, che il buffet, invece, non riesce a raggiungerlo. Si narra che Denon gli abbia offerto il suo bicchiere di limonata e che i due abbiano fatto amicizia.
Quel giovane è il nostro uomo: Napoleone Bonaparte.
All’epoca del ricevimento ha 29 anni ma è già una celebrità : e il ricevimento in corso è proprio per lui, per omaggiarlo come la nuova brillante stella della Grande Nation. In effetti già nel 1793, quando aveva appena 24 anni, si era distinto come comandante dell’artiglieria durante l’assedio di Tolone, operazione con la quale si era meritato i gradi di generale. Nel 1795, poi, aveva coordinato la repressione militare di una ribellione filomonarchica scoppiata a Parigi, un’azione per la quale gli uomini del Direttorio – e Barras in primo luogo – gli devono riconoscenza. Non è comunque esattamente per queste gesta che è diventato famoso. La sua vera fama nasce nel 1796. È allora che sposa la donna di cui si è innamorato perdutamente, Joséphine Beauharnais. Costei è un’affascinante vedova creola che è stata in precedenza amante di Barras. Grazie ai buoni uffici di Joséphine, e all’apprezzamento che Barras già nutre per lui, all’inizio di marzo del 1796 Napoleone Bonaparte viene nominato capo dell’Armata d’Italia. Il nome roboante di questa sezione dell’esercito francese non deve nascondere la realtà della situazione: l’Armata d’Italia è un esercito non molto numeroso e male attrezzato, destinato a svolgere un ruolo secondario nel piano d’attacco all’Austria e alle altre potenze antifrancesi che il Direttorio sta meditando. Ma qui la genialità di Napoleone Bonaparte emerge in tutto il suo splendore. Agendo in buona misura di testa sua, in un anno – dall’aprile del 1796 all’aprile del 1797 – Bonaparte trasforma l’Armata d’Ital...