XI. Le grida degli innocenti
La valanga si mette in moto a febbraio. Al Consiglio per la famiglia Benedetto XVI ricorda che la Chiesa condanna quanti nelle sue fila hanno «violato i diritti dei minori». È un tasto su cui batte da oltre due anni. Nel 2008, celebrando messa nella cattedrale di Sydney durante le Giornate mondiali della gioventù, ha precisato che i «responsabili di questi mali devono essere portati davanti alla giustizia»1.
Il 15 e il 16 febbraio 2010 il papa ha programmato un vertice con l’episcopato irlandese: partecipano ventiquattro presuli guidati dal cardinale primate Seán Brady, i prefetti delle Congregazioni per la dottrina della fede, del clero, dei religiosi, dell’educazione cattolica, il responsabile del Consiglio per i testi legislativi, il nunzio in Irlanda e infine il segretario di Stato cardinale Bertone, il Sostituto mons. Fernando Filoni, il ministro degli Esteri mons. Dominique Mamberti.
Degli abusi sessuali registrati nelle strutture ecclesiastiche in Irlanda si parla da tempo. Benedetto XVI se ne è occupato subito dopo la sua elezione, incontrando i vescovi irlandesi nell’ottobre 2006 e poi nel dicembre 2009. Con loro ha condiviso lo «sdegno, la sensazione di tradimento e la vergogna», provati da tanti fedeli di fronte agli scandali2. Perché il 2009 ha portato prove documentali schiaccianti.
Il 26 novembre è stato pubblicato il Murphy Report, un dossier di settecentoventi pagine redatto dal giudice Yvonne Murphy sugli abusi sessuali del clero dell’arcidiocesi di Dublino tra il 1975 e il 2004. Sono elencati – riduttivamente – trecentoventi casi, che coinvolgono quarantasei sacerdoti. Alcuni abusi si sono verificati all’interno della stessa cattedrale.
Le accuse più gravi riguardano i comportamenti della gerarchia ecclesiastica. Almeno fino a metà degli anni Novanta – scrive la giudice – la preoccupazione era di «mantenere il segreto, evitare scandali, proteggere la reputazione della Chiesa e tutelare i suoi beni». Inequivocabile il giudizio finale: «L’Arcidiocesi non ha adempiuto alle proprie regole derivanti dal diritto canonico e ha fatto del suo meglio per evitare qualsiasi applicazione della legge dello Stato». Il dossier denuncia inoltre le responsabilità della polizia e della procura, che hanno liquidato molte denunce come tardive. Sul finire del 2009 quattro vescovi irlandesi hanno già dovuto presentare le dimissioni: Donald Murray di Limerick, James Moriarty di Kildare, Raymond Field e Eamonn Walsh, ausiliari a Dublino.
Il vertice in Vaticano si chiude con l’ammissione esplicita del fallimento delle autorità ecclesiastiche irlandesi nel controllare gli abusi, la confessione che si è prodotto un «crollo della fiducia nella guida della Chiesa», l’ammissione dell’urgenza di ripristinare la credibilità spirituale e morale della Chiesa. I vescovi riferiscono di avere preso nuove misure a tutela dei minori e Benedetto XVI li esorta ad agire con «onestà e coraggio», perché la pedofilia è un crimine odioso e un grave peccato che offende Dio e ferisce la dignità della persona umana3. Viene preannunciata una Lettera del pontefice ai fedeli d’Irlanda.
Le organizzazioni delle vittime reagiscono deluse. Tom Hayes, esponente dell’“Alliance support group”, commenta: «Il documento del Vaticano non contiene soluzioni per le persone abusate». Tra l’altro nel comunicato si parla di abuso sessuale «perpetrato da alcuni sacerdoti e religiosi irlandesi». Una formulazione minimizzante. Specialmente alla luce delle rivelazioni devastanti contenute in un altro dossier pubblicato il 20 maggio 2009.
Il Ryan Report, che riguarda gli istituti gestiti da religiosi in Irlanda, è frutto di nove anni d’inchiesta con l’ascolto di oltre mille testimoni e non lascia spazio alla tesi di una casualità delle violenze. Tra abusi e pene corporali l’«Irish Times» riferisce di ottocento colpevoli, attivi in duecento istituti nell’arco di trentacinque anni: una «mappa dell’inferno irlandese».
Viene certificato che le «autorità religiose sapevano che la violenza sessuale era un problema persistente nelle congregazioni religiose maschili... era endemica... da toccamenti impropri e carezze allo stupro con violenza. Gli autori delle violenze sessuali hanno potuto agire per lungo tempo indisturbati all’interno delle scuole». Ciò nonostante le autorità ecclesiastiche trattavano isolatamente e in segreto ogni caso di violenza sessuale, senza fare «alcun tentativo per affrontare il carattere sistemico» degli abusi. Afferma il rapporto del giudice Sean Ryan che non furono adottate direttive per proteggere i bambini da comportamenti predatori. Le direzioni scolastiche non ascoltavano i bambini o non credevano loro quando si lamentavano. «Nel migliore dei casi i colpevoli venivano allontanati, ma senza fare nulla per rimediare al danno causato al bambino. Nel peggiore, il bambino veniva rimproverato, considerato come corrotto dall’attività sessuale e punito severamente».
Il paragrafo 20 rimarca che la linea di condotta delle autorità ecclesiastiche era di «ridurre al minimo il rischio di divulgazione e le conseguenze per l’istituzione e la congregazione religiosa». Con due pesi e due misure. Se i colpevoli scoperti erano laici, di norma venivano denunciati. «Se invece l’autore della violenza sessuale era membro di una congregazione, il caso veniva trattato internamente e non veniva segnalato alla polizia». Altro aspetto della violenza endemica erano le punizioni corporali, inflitte con l’«intenzione precisa di aumentare angoscia e umiliazione [degli alunni]».
Né il Murphy Report né il Ryan Report, le cui risultanze la presidente d’Irlanda Mary McAleese ha definito un «atroce tradimento dell’amore», ricevono adeguata trattazione e diffusione sull’«Osservatore Romano» e sulla stampa ecclesiastica italiana. Eppure – al di là dei numeri – la prassi dell’insabbiamento e della sistematica sottovalutazione del fenomeno si riscontra in tutto il mondo cattolico. Non rivelarlo compiutamente favorirà ciclicamente atteggiamenti vittimistici secondo cui i media o nemici della fede vogliono aggredire la Chiesa e il pontefice.
Mentre il caso irlandese occupa l’agenda papale, esplode in Germania lo scandalo degli abusi nel prestigioso Canisius-Kolleg di Berlino, gestito dai gesuiti. È stato lo stesso rettore del collegio, il gesuita Klaus Mertes, a premere perché si faccia piena luce su quanto accaduto negli anni Settanta e Ottanta. Agli inizi di gennaio del 2010 ha chiesto per lettera agli ex allievi di rompere il silenzio. In breve tempo si fanno vivi centoquindici ex alunni, anche provenienti da altre scuole, ricordando episodi che risalgono persino a cinquant’anni prima.
Data la rinomanza del liceo lo scandalo in Germania è enorme. La vicenda provoca la rivelazione su altri abusi avvenuti nel collegio Aloysianum nella diocesi di Paderborn e poi in istituti di Amburgo, Hannover, Gottinga, Hildesheim, Francoforte, Baviera. La bufera investe la patria del pontefice. L’impatto mediatico è fortissimo. Tocca il tessuto ecclesiale da cui è venuto Benedetto XVI. Ogni notizia, che gli viene portata, rappresenta per lui un colpo. Dagli ambienti vaticani trapela il suo dolore e la vergogna per ciò che sporca la comunità ecclesiale della sua nazione.
Ancora una volta viene documentata la sistematicità di abusi e insabbiamenti. L’avvocato Ursula Raue, incaricata dai gesuiti di indagare sulle vicende del Canisius e le accuse relative a dodici religiosi, riferisce che nella maggioranza dei casi si tratta di manipolazione dei genitali, carezze insistenti senza alcun riguardo al danno psichico inferto agli allievi. Dagli atti non risulta mai, sintomaticamente, una preoccupazione per lo stato psicologico degli allievi. L’ordine religioso si occupava dei suoi appartenenti e non delle vittime. Nel caso di almeno due gesuiti, Peter R. e Wolfgang S., è appurato che la dirigenza dell’istituto – riferisce la Raue – venne a conoscenza molto presto delle loro colpe. Ma nulla venne messo per iscritto e i due uomini furono più volte trasferiti ad altre scuole4.
Ad Augusta il vescovo Walter Mixa sostiene invece che la «rivoluzione sessuale ha pesato sui casi di pedofilia nella Chiesa tedesca». Colpa di quanti, al posto della punizione, propagandavano la legalizzazione dei rapporti tra adulti e minori. E questo, sostiene, potrebbe avere condizionato anche alcuni sacerdoti. Due mesi dopo Mixa, nominato nel 2005 da Benedetto XVI per le sue posizioni conservatrici, sarà travolto da accuse di malversazioni finanziarie e maltrattamento di minori quando era parroco. Si dimetterà il 22 aprile, mentre la procura di Ingolstadt apre un’indagine per sospetto di un abuso commesso quando era vescovo di Eichstätt.
La mappa degli scandali si allarga. A marzo il vescovo di Regensburg Gerhard Ludwig Müller rivela in una Lettera ai genitori, pubblicata sul sito della diocesi, che tra il 1958 e il 1973 si sono verificate violenze ai danni dei ragazzi del celebre coro della cattedrale: i Domspatzen, le voci bianche del duomo. Presto altre testimonianze dimostrano che gli abusi si sono prolungati fino al 1992. Il nuovo scandalo investe un’istituzione che è retta dal fratello maggiore del papa, Georg Ratzinger, suscitando un’enorme attenzione mediatica, anche se gli abusi si riferiscono prevalentemente al convitto dei coristi. Benedetto XVI, riferisce chi lo incontra in quel periodo, si sente ferito, prova «dispiacere, sofferenza, rabbia, dolore». Agitato tra la pietà per le vittime e la voglia di punire i colpevoli.
L’ottantaseienne Georg Ratzinger risulterà estraneo agli abusi commessi. Gli verranno addebitati scapaccioni un po’ pesanti e scatti d’ira durante le prove del coro, ma per la Santa Sede è un campanello d’allarme. Interviene il cardinale Walter Kasper per dire che «bisogna fare pulizia sul serio nella nostra Chiesa... di fronte a crimini così gravi, consumati ai danni di minori innocenti da parte di sacerdoti e religiosi, non c’è nessuna giustificazione, nessuna tolleranza». Kasper afferma esplicitamente che i colpevoli vanno affidati alla giustizia civile5. Lo sostiene anche il prefetto della Congregazione per il clero, il cardinale brasiliano Cláudio Hummes, convinto della necessità di ricorrere alla giustizia ordinaria per accertare a fondo le responsabilità delle violenze.
Un altro porporato, José Saraiva Martins, critica invece gli «eccessi giacobini» e parla di «polveroni privi di dati reali», citando il caso del fratello del papa. Fare di ogni erba un fascio, dice Saraiva, danneggerebbe l’indispensabile opera di purificazione della Chiesa intrapresa coraggiosamente da Benedetto XVI. Kasper e Saraiva rappresentano due linee all’interno della Chiesa, che si ritroveranno costantemente in tutti gli sviluppi della vicenda.
Per il momento l’«Osservatore Romano» auspica in una nota «Massima chiarezza sugli abusi in Germania», sottolineando che la «Chiesa opera con rigore per fare luce su quanto accaduto negli istituti religiosi»6. Ma la tensione cresce di giorno in giorno. Due ministre del governo Merkel, le responsabili per le Politiche della famiglia, Kristina Schröder, e dell’Istruzione, Annette Schavan, annunciano la convocazione di un vertice di crisi per il 23 aprile – sarà una specie di tavola rotonda – mentre la ministra della Giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberger accusa le autorità ecclesiastiche, perché «in numerosi istituti c’è stato un muro del silenzio». Più prudente la can...