L’olio d’oliva e l’invenzione
della dieta mediterranea
È il medico americano Ancel Keys, inventore della ‘razione K’ distribuita all’esercito americano durante la seconda guerra mondiale, a intuire i vantaggi di una dieta povera di carne e di grassi animali, come quella da lui riscontrata nelle regioni italiane del Sud.
Siamo negli anni Cinquanta del Novecento e sta prendendo forma l’idea di una ‘dieta mediterranea’ utile alla salute oltre che soddisfacente al gusto133. Di questa ‘dieta’, che l’Unesco nel 2010 ha dichiarato «patrimonio culturale immateriale dell’umanità», fanno parte anzitutto i modi di vivere, l’attenzione alla convivialità, il rapporto armonico con sé stessi, con gli altri, con i ritmi della natura – quando la parola diàita apparve nella lingua greca antica, significava proprio questo: l’insieme delle azioni e degli atteggiamenti mentali che danno forma al ‘regime di vita’ quotidiano. Di questo ‘regime’ il cibo è parte essenziale, ma non è un caso che l’Unesco classifichi come patrimonio immateriale questa e altre realtà culturali.
È dunque una forzatura riconoscervi la promozione di questo o quel prodotto alimentare – come l’olio d’oliva, anzi l’olio extravergine di oliva, come è venuto d’uso chiamarlo per assecondare le formule di mercato (di cui non negheremo l’importanza per la protezione di un prodotto sempre a rischio di contraffazione, ma che non hanno significato sul piano dell’analisi storica). Nondimeno, è proprio questo prodotto – assieme alla pasta, al pomodoro e ad altri compagni d’avventura – a giocare un ruolo centrale nell’immaginario collettivo quando si tratta di ‘dieta mediterranea’.
Ma l’uso dell’olio d’oliva si è generalizzato solo negli ultimi decenni, grazie a una straordinaria crescita produttiva e a una maggiore accessibilità commerciale, che hanno seguito di pari passo il rinnovato prestigio di questo prodotto e il ruolo dominante che esso ha assunto nella scala dei valori alimentari, anche per il diffondersi di una cultura salutista che, da Ancel Keys in poi, lo ha individuato come eccellente antidoto ai rischi cardiovascolari.
L’olio d’oliva, beninteso, ha una storia antichissima: da millenni è elemento distintivo della cultura mediterranea, e il più antico testo della letteratura mondiale – la sumerica Epopea di Gilgamesh, scritta 4500 anni fa su tavolette d’argilla – lo rappresenta come segno identitario del processo di civilizzazione, assieme al pane e alla birra (ciò che l’uomo crea con l’intelligenza e col lavoro, facendosi agricoltore e imparando a trasformare il mondo)134. Ma nella storia di Gilgamesh, che rappresenta il pane e la birra come cibo e bevanda dell’uomo civile, l’olio serve per ungere il corpo. È un cosmetico, anzitutto: funzione che esso conservò nel mondo greco e romano, pur entrando anche negli usi alimentari, per i condimenti a crudo e come fondo di cottura. La cucina degli antichi popoli mediterranei è davvero una cucina dell’olio, ma con importanti limitazioni di ordine geografico e sociale: al di fuori delle zone di produzione, tutto sommato ristrette, l’olio è raro, è costoso ed è un lusso per pochi. Se la cucina di Apicio (il raffinato gourmet del I secolo a cui è attribuito il De re coquinaria) non conosce che l’olio come grasso di condimento e di cottura, dietro di lui c’è un intero mondo di contadini e pastori che utilizzano piuttosto il grasso animale – principalmente lardo e strutto – per insaporire i loro piatti135.
Tale situazione permane e si accentua nel Medioevo, quando la diffusione dei modelli culturali ‘barbarici’ ha come effetto, sul piano economico e alimentare, il rinnovato prestigio delle attività pastorali e dei prodotti che ne derivano, primi fra tutti la carne e il grasso di maiale136. È pur vero che, in quegli stessi secoli, le regole alimentari imposte dalla Chiesa cristiana prevedono l’astinenza dalla carne e dai grassi animali per un congruo numero di giorni e periodi dell’anno137: con vincoli di tal genere, usare l’olio diventò praticamente un obbligo in tutto l’universo cristiano138. Ma non necessariamente si trattava di olio d’oliva, anzi, il Medioevo fu l’epoca per eccellenza degli oli di semi, ricavati da ogni pianta utile (noce anzitutto) data la persistente difficoltà di reperire quel tipo di olio139.
Per condire le insalate, per cuocere pesci e verdure, ossia i cibi ‘di magro’, la cucina medievale è ‘costretta’ a usare l’olio. Ma quando il calendario lo consente si passa ad altro: al lardo, che rimane la risorsa più comune e ‘popolare’; al burro, che in Italia comincia a diffondersi dal XII-XIII secolo con l’incremento dell’allevamento bovino, affermandosi come prodotto di lusso che a un certo punto – con il moltiplicarsi delle dispense papali – può anche sostituire l’olio nei giorni di ‘magro’140.
Quando, sul finire del Medioevo, la pasta comincia a delinearsi come piatto distintivo della cucina italiana, il burro arricchisce sempre il formaggio nelle ricette destinate alle tavole ricche. Per Maestro Martino è la regola: i maccheroni siciliani, scrive, appena tolti dalla pentola dovranno essere sistemati in dei piattelli «con caso gratusato in buona quantità, butiro frescho e spetie dolci»141. L’abbinamento sarà confermato dalla cucina di corte cinquecentesca, e si ritrova ovunque in letteratura. A metà del Cinquecento, il Commentario delle più notabili et mostruose cose d’Italia di Ortensio Lando – che include una sorta di viaggio gastronomico dal Sud al Nord del paese – spiega che i maccheroni di Sicilia «soglionsi cuocere insieme con grassi capponi e caci freschi, da ogni lato stillanti buttiro e latte»142. Una novella di Celio Malespini, sullo scorcio del secolo, mette in scena un gruppo di gentiluomini veneziani che gusta maccheroni di Messina conditi «con più di venticinque libbre di cacio parmigiano, e sei, od otto caciocavalli, e infinite specierie; zucchero, cannella, e tanto burro che vi nuotavano dentro»143.
L’immaginario popolare non tarda ad accogliere questo standard e l’iconografia sei-settecentesca del paese di Cuccagna colloca un grande lago di burro fresco alla base del monte di formaggio, ad accogliere i maccheroni in caduta libera144. Un sogno, per i più. L’alternativa era accontentarsi del grasso di maiale, secolare Leitmotiv della cucina contadina.
Il lardo dei poveri e il burro dei ricchi (o dei sogni popolari) sono stati fino all’a...