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Il “gruppo delle lombarde”
La gente della Brianza è così: feconda.
Il termine connota l’humus di questa terra, racconta la vitalità che la anima, la capacità imprenditoriale [...], parla della ricchezza nel campo della solidarietà e del volontariato, le numerose e poco conosciute bellezze architettoniche [...]. In questa terra c’è l’antica tradizione caritativa, che segue quel corso tipico della realtà milanese e lombarda, ma al tempo stesso presenta alcune peculiarità: farsi carico del bisogno riscattandolo; promuovere solide istituzioni che sopravvivano nei secoli; generare tante piccole opere, all’insegna della discrezione e della concretezza; creare e ricreare associazioni a seconda del bisogno che cambia, proponendosi come una delle aree più vitali della realtà lombarda [...]. Ci sono istituzioni secolari che sopravvivono, interpretando in modo nuovo le tavole di fondazione, ma mantenendo l’intitolazione originaria [...]. Discrezione e concretezza sono due nodi della rete solidale brianzola.
Maria Paola, classe 1942, nata a Rho in provincia di Milano, si inserisce a pieno titolo nel corso di questa storia. Una storia che ha conosciuto una genesi e uno sviluppo formidabili, divenendo un “mondo vitale”, bella espressione del sociologo cattolico Achille Ardigò che Maria Paola ha preso a prestito per immaginare e realizzare la sua democrazia. Si inserisce, altresì, nel filone di una «storia debole», come la definisce la stessa Maria Paola al XVI Congresso del Movimento femminile (Mf), nel 1988, che l’avrebbe nominata delegata nazionale, nel filone, cioè, di una storia ai margini, quale è stata, e continua ad essere, quella delle donne e, in particolare, delle donne cattoliche. Una storia che rischia di essere il “sommerso del sommerso” e di rimanere senza voce.
Il curriculum di Maria Paola ricalca, nelle sue motivazioni e nelle sue tappe, quello delle donne del Movimento femminile della Democrazia cristiana (Dc), soprattutto di coloro che sono appartenute alla corrente democristiana di Base, probabilmente l’unica, nel partito, ad aver promosso e incoraggiato il loro impegno, suscitando, tra l’altro, l’invidia delle altre colleghe della Dc. Albertina Soliani, amica e stretta collaboratrice di Maria Paola, le chiamava il «gruppo delle lombarde».
Io sono emiliana e fu un’esperienza unica e indimenticabile, nel quadro di un incontro di esperienze che venivano da terre diverse.
Il gruppo, infatti, godeva di una maggiore autonomia, forte, anche, della presenza di proprie candidate. Non è un caso, osserva Mariapia Garavaglia, «che sia stata soprattutto la Dc lombarda e provinciale ad esprimere la classe dirigente nazionale. Le donne del Mf che hanno avuto responsabilità hanno iniziato, tutte, a far politica nella provincia». In modo particolare a Giovanni Marcora, tra i fondatori della corrente basista, si deve la valorizzazione del contributo femminile e non è un caso che proprio la Base, in particolare la sua “tribù” lombarda, sia riuscita a creare una “cordata” al femminile. È Tiziano Garbo, ex portavoce di Marcora, a ricordarci i nomi più illustri: «Maria Luisa Cassanmagnago, partigiana e basista, anche lei brianzola, la Svevo, la prima erede della Cassanmagnago, Mariapia Garavaglia, Patrizia Toia. E poi c’era Emanuela Baio, che era più giovane». Le lombarde erano radicalmente diverse e la Base fu di grande stimolo intellettuale. L’attrazione fu reciproca.
Le ricordo ancora in un incontro a Milano, sedute quasi per terra a ragionare di Welfare, di politica, di autonomie locali. Erano molto concrete, avevano una teoria politica, con un’idea fortissima di democrazia, di partecipazione dal basso. C’era molto più della concretezza: c’erano una visione politica, un umanesimo e un approfondimento di teoria e di confronto di idee.
“Le lombarde”, poi, avevano una storia di governo, erano percepite come donne di “potere” ed anche per questo rappresentavano, per le altre, un gruppo di riferimento, una sorta di «presidio straordinario».
Oltretutto, «noi donne dell’Emilia, della sinistra democristiana, eravamo minoranza dentro la minoranza e tutto quello che c’era lo “prendevano” gli uomini». Invece, «la donna lombarda comanda!», afferma perentorio Sandro Bertoja, è una sorta di regiura, parola in dialetto milanese che Carlo Secchi, collega di Maria Paola al Parlamento Europeo (PE), traduce con «reggitrice». Il Movimento femminile lombardo era molto forte e ogni comune aveva la sua sezione femminile: «una formidabile truppa d’assalto, una macchina da guerra che aveva anche il monopolio delle politiche sociali», come avrebbe confermato la stessa Maria Paola:
effettivamente ci fu un modello lombardo milanese. Noi avevamo la nostra autonomia e chi doveva correre in quel momento lo decidevamo noi, senza alcuna interferenza del partito. Questo era il risultato di un’opera di collegamento effettivo con la società, noi avevamo le nostre donne comune per comune e non potevano tagliarci voti.
Una presenza costruita non senza difficoltà. Monza, ad esempio, era «una città conservatrice e bigotta e come basisti eravamo in minoranza; la dominante era dorotea e Forze Nuove». Nativo di Rho, poi, era anche Filippo Meda, il quale aveva fondato «Il cittadino di Monza», un giornale orientato a destra. Questo, dunque, era l’humus, politico e culturale, della città di Monza e della sua provincia, che rappresentava, anche, una importante realtà economica con la presenza di molte industrie. L’apporto di una visione laica, come quella della Base, fu dunque importante. Il resto della Regione Lombardia, invece, era fortemente “impregnato di basismo”. È qui che la Base aveva il suo nucleo forte ed è proprio la provincia ad “alimentare” la corrente e anche il partito, che in Lombardia aveva ...