Monte Sole
Monte Sole è stato a lungo un luogo rimosso. Un monte talmente impregnato di orrore e di dolore che le persone lo scansavano. È rimasto a lungo disabitato e non raccontato e anche quando si è cominciato a ricordare quei fatti di una violenza inaudita, nell’immaginario comune si è diffuso che erano tutti successi a Marzabotto e non su quel monte. Il senso comune vede anche i sogni chiusi nel cassetto e gli scheletri nell’armadio. L’armadio della vergogna fu trovato davvero in uno sgabuzzino della cancelleria della procura militare nel Palazzo Cesi Gadd a Roma con i fascicoli relativi ai crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazifascista. Fra i tanti c’era l’eccidio delle Fosse Ardeatine, la strage di Sant’Anna di Stazzema e quella, appunto, di Marzabotto. Monte Sole non lo avevo mai sentito nominare, era il rimosso dentro al rimosso. L’eccidio di Monte Sole. Nel suo nome non ci poteva stare il buio che aveva ingoiato tutto. Eppure il peggio è avvenuto sul Monte e i paesi stavano ai piedi: Marzabotto, Monzuno, Grizzana Morandi.
Arriviamo nel silenzio ovattato del parco, qualche insetto che bisbiglia, i passi sull’erba. Eppure sento come un ronzio di radio e di voci, la storia che mi arriva come un bisbiglio sempre più nitido.
Nell’estate del 1944, dopo la liberazione di Firenze, il controllo del crinale Setta-Reno diventa fondamentale per l’esercito tedesco. Monte Sole è l’ultimo ostacolo naturale prima di Bologna e la prospettiva peggiore dei tedeschi è quella di rimanere accerchiati da Alleati e partigiani. Bisogna quindi spazzare via ogni forma di resistenza su quel monte e in quei luoghi. Bisogna fare il vuoto intorno alla Brigata Stella Rossa, che era nata a novembre del 1943, durante una riunione nella canonica della chiesa di Vado, alla quale parteciparono il parroco don Eolo Cattani, un rappresentante del Comitato di liberazione nazionale e alcuni giovani della zona, fra cui Mario Musolesi che ne divenne il comandante col soprannome di Lupo. Il 29 settembre 1944 i reparti delle SS e della Wehrmacht composti da circa 1.500 uomini, capitanati dal maggiore Walter Reder, danno inizio ad un violento rastrellamento accompagnato da eccidi, razzie e incendi. I partigiani nella zona in quel momento sono circa 500 e dispongono di un equipaggiamento del tutto inferiore a quello tedesco, da tempo non ricevono più aiuti dagli Alleati e non dispongono di armi pesanti. La Stella Rossa, accerchiata, tenta di respingere il nemico con cui si scontra a Cadotto, ai piedi di Monte Sole e Monte Caprara, su Monte Salvaro e in altre località, ma la differenza fra le forze in campo è tale che lo scontro è insostenibile.
Fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 vengono massacrate 770 persone, nei modi più violenti e brutali, nelle case, nei luoghi di culto, nei rifugi, in decine e decine di località. Diverse testimonianze raccontano della presenza di fascisti insieme ai tedeschi. Le barbarie continuano anche dopo quei giorni infernali e alla fine della guerra i comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana contano 955 uccisi per mano dei nazifascisti. Di questi 216 sono i bambini, 316 le donne, 142 gli anziani, 5 i sacerdoti. L’area di Monte Sole e Monte Caprara viene trasformata dall’esercito di occupazione in un campo trincerato e il territorio circostante minato. La zona viene liberata dagli Alleati solo tra il 16 e il 17 aprile 1945 a seguito di pesanti bombardamenti. Il Comitato regionale per le onoranze ai caduti di Marzabotto ha poi accertato nella zona complessivamente 1.830 decessi per mano di nazisti e fascisti e per cause di guerra.
Uno dei più gravi crimini di guerra contro la popolazione civile da parte delle forze armate tedesche era stato commesso proprio lì, a pochi chilometri oltre casa mia, oltre il versante toscano d’Appennino e io non c’ero mai stata fino ad oggi.
Il cielo è azzurro, limpido e caldo. L’aria gonfia i polmoni. Oggi sono arrivata qui a piedi, dopo sei giorni di cammino, dopo le zecche e le vesciche, dopo aver riscoperto la sensazione della sete e della fame. Ho camminato nei luoghi dove sono nata e cresciuta e dove è nata e cresciuta la mia famiglia. Ho passato i monti e i passi, gli stessi della Resistenza, dopo aver percorso i sentieri e i paesi e aver incontrato persone e condiviso storie. Sto qui dopo aver percorso questa parte di Appennino, quelle stesse montagne forate e offese che non abbiamo saputo difendere, passando dalle Madonne, dalle chiese e dai santuari, dalle torri e orologi, dalle burraie e dalle sorgenti, passando dalle strade romane, dalle fornaci e dalle cave, e poi dai cippi, dai cimiteri, dai morti di guerra e sul lavoro, passando dalle ginestre, dalle spighe, dai faggeti, dai castagneti, dai fiori di campo, dal muschio, passando dai saluti delle mani e da quelli sui sassi, dai cieli assolati o che cadevano giù neri come sipari.
Di fronte al primo luogo testimone che troviamo nel parco, di fronte ai resti dell’oratorio di Cerpiano, a quell’arco che tiene strette le due pareti come fossero braccia mozzate che si alzano a imprecare dopo l’orrore, a quella piccola Madonna bianca con bambino su sfondo celeste anonima e incastonata là in fondo, a quella targa sulla sinistra che inizia con: a imperituro ricordo del barbaro eccidio che le ss germaniche annullato ogni senso di umana civiltà per azione di bieca rappresaglia compirono in cerpiano di monzuno il 29 settembre 1944 ferocemente irridendo alla strage delle innocenti vittime i famigliari e i conoscenti ed i partigiani tutti posero, e continua con i nomi uniti per famiglia e li leggo tutti e poi mi fermo sui nomi dei bambini della famiglia Cincinnati, Celestina di nove anni, Dante di sette, Carlo di cinque, Francesco di tre e Gianni, come mio fratello, il più piccolo, di uno e poi leggo la scritta pietà per i martiri fino a sentirmi sfinita e debole e stanca come non lo sono stata mai, sento cedere le ginocchia e andare giù.
Un attimo, ma non cedo. Tengo dritte le gambe e alto e tirato il viso e inizio a piangere, di quei pianti che sembrano nascere lenti e inesorabili, per non finire più. Dentro a quel pianto ci sono tutte le volte che in televisione avevo visto mettere una corona di fiori alle Fosse Ardeatine con l’inchino del presidente della Repubblica, ci sono tutte le bande che ho sentito suonare Bella Ciao a ogni Liberazione, ci sono tutti i fazzoletti rossi con la spilla dell’Italia che abbia mai visto, ci sono tutte le facce dei partigiani che ho incontrato e ascoltato innumerevoli volte, ci sono le foto da piccola col cappottino e il gelato davanti al monumento dei caduti, ci sono i racconti della guerra dei nonni, ci sono tutti i morti che ho mai pianto, ci sono tutti i rumori delle bombe e dei fucili e dei mitra di tutti i film in bianco e nero e quelli a colori guardati insieme al babbo o ai compagni di scuola, ci sono tutte le corse e tutto il silenzio della bambina del film L’uomo che verrà, ci sono i libri letti fermandosi ogni tanto per non sentire troppo male, ci sono tutte le ingiustizie e le violenze e le sconfitte che vengono giù, come una frana, oltre gli occhi.
Sono qui in piedi con la pezzola rosa a tenermi i capelli come avevo da piccina, con questa maglietta azzurra con la scritta da barbiana a monte sole a piedi e in queste lacrime c’è tutta la strada che ho fatto per arrivare fino qui, non solo di tutti i giorni a piedi, ma tutti gli altri anni, di vita, di me.
Svuotata, annullata e poi riempita di nuovo. Smetto di piangere con la velocità della marea che si ritira. Mi aiuta un papavero rosso proprio lì all’ingresso dell’oratorio: guardando quei petali delicati eppur così intensi. Mi soffio il naso, mi sciacquo il viso con un po’ di acqua della borraccia. Riprendo i bastoni e lo zaino, seguo Sergio, Luca e gli altri e continuo a camminare.
Arriviamo al cimitero di Casaglia. Ci fermiamo all’ingresso. Sulla sinistra una grande lastra di marmo è incisa di parole in stampatello scritte fitte, fitte. Mi fermo a leggerle. Non è una targa come le altre. È un pezzo di racconto, di tanti racconti.
Hitler disse, dobbiamo essere crudeli. Dobbiamo esserlo con tranquilla coscienza. Dobbiamo distruggere tecnicamente, scientificamente. I superstiti della strage raccontano i giorni 29-30 settembre e 4 ottobre 1944 furono i più terribili ma la carneficina continuò anche poi. Appena giorno avevo contato 54 grandi falò di case isolate e a gruppi bruciare intorno vicini e lontani. Ci riunimmo tutti sul piazzale della Chiesa di Casaglia. Dicemmo che i nazifascisti venivano per i partigiani e quindi i vecchi, le donne e i bambini potevano stare in Chiesa. Buttarono giù la porta. Facevano venir fuori tutti e li picchiavano ridendo. Il parroco lo uccisero con una raffica sopra l’altare. Ci condussero tutti al cimitero. Dovettero scardinare il cancello con i fucili. Ci ammucchiarono contro la cappella tra le lapidi e le croci di legno, loro si erano messi agli angoli e si erano inginocchiati per prendere bene la mira. Aprirono il fuoco e gettarono anche delle bombe a mano. Sparavano basso per colpire i bambini. Così nel cimitero di Casaglia furono massacrate 195 persone di 28 famiglie, fra le quali 50 bambini. La nostra pietà per loro significhi che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché mai più il nazifascismo risorga.
Passiamo il cancello, entriamo. Guardo i fori di pallottola su alcune croci di ferro arrugginito. Ripenso all’altezza bambino. Guardo i muri intorno, il cielo che li scavalca.
Sergio e Marinella ci richiamano intorno alla tomba di Dossetti: c’è una croce in ferro, come quelle rosicate dalle pallottole. Una coperta di verde per quasi tutta la superficie e poi in fondo una semplice scritta, anche lui, come don Milani, senza foto o orpelli.
giuseppe dossetti
battezzato nella solennità della
annunciazione del signore dell’anno del 1913
chiamato al giudizio di dio
la domenica gaudete 15 dicembre 1996
Dossetti partecipò alla lotta antifascista del cln di Cavriago e nel dicembre del 1944 entrò in quello provinciale di Reggio Emilia in rappresentanza della Democrazia cristiana. Nell’agosto del 1945 si trasferì a Roma dove condusse una battaglia a favore della scelta repubblicana da parte della dc, causa di profondo dissenso con la linea di De Gasperi. Dossetti partecipò alla stesura della Costituzione.
Guardo le altre magliette azzurre. Siamo arrivati tutti, ognuno col proprio passo, eppure senza disperderci. Non ci sono stati attriti o battibecchi. Tutti volevamo arrivare qua, non ci siamo confusi per strada, non abbiamo cambiato idea. Il dove vuoi arrivare unisce tutti, pur nelle nostre differenze. E poi, certo, ci vuole uno come Sergio che sa ascoltare fatiche e respiri, che dà spazio alle nostre domande, che annienta sul nascere ogni possibile tentazione di competizione per chi vorrebbe arrivare prima.
Visitiamo i resti di Caprara di Sopra e quelli della chiesa di Casaglia. Ogni pietra qua è un segnale di memoria. Su ogni lastra scritta leggi qualcosa che ti spalanca voragini sotto i piedi.
qui a santa maria assunta di Casaglia
ai piedi dell’altare
il 29 settembre 1944
fu ucciso dalle ss tedesche
don ubaldo marchioni
pastore e difensore della sua gente
con la quale condivise preghiera e martirio
Ci guardia...