Londra Babilonia
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Londra Babilonia

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Informazioni su questo libro

C'è tutto quello che vuoi a Londra, eppure non sembra mai troppo. Una città da scoprire, in continua trasformazione, Olimpiadi comprese.Enrico Franceschini, che il mondo lo ha molto girato, in questa città-crogiuolo ci sta benissimo, e la racconta con simpatia e grazia in un piccolo libro di pagine allegre, che potrebbero continuare (consigliamo una seconda puntata); un inno alla città più amata, grande sperimentazione e terreno di cultura del futuro urbano.Irene Bignardi, "a Repubblica"Una lettura piacevolissima, che misura la Londra globale con la Londra locale, quella degli altri e quella degli inglesi. Il corteggiamento semiserio messo in scena nei saloni di Buckingham Palace è esilarante. Ed è anche molto di più. Istantanea autentica dell'altra metà della vita londinese, quella scandita dall'englishness, eccentrica e imprevedibile.Leonardo Maisano, "Il Sole 24 Ore"Sette anni a Londra per capire che di questa città ci si può innamorare. Non a prima vista come capita con New York (o Gerusalemme, o Mosca). Ma lentamente, imparando a guardarla per quello che offre: cioè tutto e il suo contrario.Caterina Soffici, "Vanity Fair"

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Informazioni

Categoria
Journalism

Le allegre comari di Windsor

Una sera, alcuni anni or sono, ho corteggiato una principessa. Una vera principessa, appartenente alla famiglia reale britannica. All’epoca, lei aveva una sessantina d’anni e io una cinquantina: ma la differenza di età, devo riconoscerlo, non si notava. Del resto la principessa del Kent, nata baronessa Maria Cristina Agnes Hedwig Ida von Reibnitz, moglie di Michael, principe del Kent e cugino di primo grado della regina Elisabetta, è stata – ed è ancora considerata – una delle donne più belle del Regno Unito, oltre a essere indiscutibilmente la più alta, a quota un metro e ottantatré centimetri, dell’intera Royal Family. Non a caso, l’hanno corteggiata uomini ben più giovani di quanto non fossi all’epoca io: nell’aprile del 2006, per dirne una, fu fotografata a Venezia in compagnia del miliardario russo Michail Kravcˇenko, di ventun anni più giovane, che la baciava appassionatamente durante una romantica gita in gondola. Qualche lettore, comprensibilmente, a questo punto penserà che me lo sono inventato, il corteggiamento di una simile principessa. La moglie del cugino della regina può avere un flirt con un petroliere russo, non con un qualsiasi giornalista italiano. Ebbene, ho un testimone, o meglio un complice. Non ero solo a corteggiarla, quella sera: c’era con me anche Mick Hucknall, il cantante dei Simply Red. Chiedete a lui, se non mi credete.
Sono sincero: il mio corteggiamento fu di breve durata e di scarsi risultati (quello di Mick, non so). Eravamo a Buckingham Palace, per un banchetto di gala in onore dell’allora presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi. Nel fumoir dove ci eravamo trasferiti per caffè, liquori e sigari, la principessa del Kent svettava su tutti, non solo per l’altezza ma anche per una scollatura che metteva in risalto le sue forme generose. Come attirati da una calamita, Mick e io ci avvicinammo, senza conoscerci né metterci d’accordo, e attaccammo bottone all’unisono. Inaspettatamente, la mia nazionalità e la mia professione suscitarono la curiosità della principessa, che da poco aveva pubblicato un romanzo – una tempestosa love story a base di tradimenti plurimi, guarda caso all’interno della famiglia reale – e ora sperava di trovare un editore anche in Italia. Bluffando spudoratamente sulle mie conoscenze tra i responsabili delle maggiori case editrici della Penisola, le assicurai che avrei fatto il possibile per aiutarla. La principessa parve interessata. Le stavo dicendo che per discuterne meglio sarebbe stato auspicabile rivederci con calma, senza tutta quella gente intorno, magari in una delle sue tenute (se non addirittura in gondola), e lei era scoppiata a ridere maliziosamente, gettando la testa all’indietro come sanno fare le principesse, quando a un tratto nel fumoir calò il silenzio e attorno a me si fece il vuoto. Alle mie spalle era apparsa la regina, che si dice non sopporti la principessa del Kent.
A Elisabetta, com’è noto, piacciono i cani: meglio, i cagnolini, razza corgy, ne ha sei o sette. Sono i primi a entrare nella sua camera da letto, al mattino, insieme alla domestica che apre le tende per svegliarla. Alla principessa del Kent, viceversa, piacciono i gatti, razza siamese (e non mi sorprende: ha qualcosa di felino anche lei). Pare che a un ricevimento, anni addietro, la principessa si fosse lamentata perché uno dei corgy della sovrana aveva sbranato uno dei suoi micini. La regina la rimise al suo posto con una gelida battuta. Ci saranno certamente altre ragioni per la loro antipatia reciproca. Per esempio, il fatto che la principessa si vanti di avere nelle vene più sangue reale di ogni altro membro della Royal Family: con qualche buon motivo, avendo tra i suoi antenati Diane de Poitiers, amante di Enrico ii di Francia, e Caterina de’ Medici. O magari Elisabetta non la sopporta perché il padre della principessa, il barone von Reibnitz, era un alto ufficiale delle SS durante la seconda guerra mondiale, fatto che rammenta alla sovrana le proprie parentele – tramite il marito Filippo – con la Germania nazista, che preferirebbe dimenticare. Oppure la detesta perché, dopo il divorzio dei genitori, la principessa emigrò in Australia con la madre, che aprì un centro di estetica a Canberra: non proprio il massimo per un’aristocratica.
Come che sia, Sua Maestà, appena apparsa nel fumoir, decise di ignorare la principessa e di rivolgersi proprio a me, non certo per la disinvoltura con cui indossavo il mio frac preso a nolo. Quando finimmo di conversare, mi girai, ma la principessa del Kent, come nelle favole, era scomparsa, volatilizzata nel nulla (era scomparso anche Mick Hucknall, ora che ci penso, particolare che avrebbe dovuto insospettirmi). E da allora purtroppo, nonostante i miei tentativi di trovarle un editore in Italia, non l’ho più rivista.
Donne delle quali invaghirsi, o per le quali provare perlomeno la curiosità del giornalista, ce ne sono a bizzeffe, nella famiglia reale britannica. Dalla defunta principessa Diana, famosa per aver rivelato in diretta tivù, come ragione del suo divorzio da Carlo: «Eravamo in tre, in quel matrimonio», a Camilla, la terza incomoda e oggi consorte di Carlo, a cui il principe un giorno dichiarò, in un impeto di romanticismo: «Vorrei essere il tuo Tampax». Da Sarah Ferguson, duchessa del Kent, ex moglie del principe Andrea, celebre per essere stata immortalata dai paparazzi mentre si faceva succhiare l’alluce sul bordo di una piscina da uno dei suoi amanti, ad Anna, figlia della regina, cavallerizza provetta, innamoratasi, era inevitabile, di un capitano dei dragoni; fino a Zara, figlia di Anna, che a cavallo non è da meno della mamma ma preferisce, su un’altra superficie, i giocatori di rugby. Per tacere di Margaret, scomparsa sorella di Elisabetta, con i suoi spregiudicati party all’Isola di Mustique in compagnia di Mick Jagger, Peter Sellers e altre star.
Senza trascurare Kate Middleton, l’ultima arrivata. Per otto anni girl-friend, per sei mesi fidanzata ufficiale e dal 29 aprile 2011 moglie del principe William, ribattezzata dai tabloid «la nuova Diana» per il suo fascino mediatico.
Il loro matrimonio, definito «le nozze del secolo» anche se il secolo è appena cominciato, ha scatenato illazioni sul salto di un turno nella successione al trono: la possibilità che Carlo abdichi per fare posto a William&Kate, giovani, belli e – gli auguriamo – per sempre felici come nelle favole.
Ma scegliendo Kate come moglie, William ha già scritto una fiaba molto istruttiva su come è cambiato il suo regno.
Inghilterra del Nord. Immaginiamo una sera del 1910 nella magnifica residenza di campagna di Sir Francis Bowes-Lyon, nobiluomo, possidente, proprietario fra le altre cose di una miniera di carbone che rende ricca la sua famiglia dall’epoca della Rivoluzione industriale. Se un indovino gli sussurrasse all’orecchio che una sua diretta discendente di nome Elisabetta diventerà nel 1953 regina di Gran Bretagna, il gentiluomo probabilmente avrebbe un sussulto, ma la profezia non gli sembrerebbe totalmente irrealizzabile. Se tuttavia l’indovino aggiungesse che un altro suo discendente, un giovanotto di nome William, nipote di tale Elisabetta e destinato a sua volta a salire sul trono, un giorno sposerà – e dunque farà di lei la sua regina – la discendente di uno degli uomini dalla faccia sporca che si calano nelle viscere della terra per estrarre carbone dalla sua miniera, si può star certi che Sir Francis caccerebbe a calci nel sedere quell’impudente indovino, minacciandolo di una bella dose di frustate se tornasse a infastidirlo con simili panzane.
Invece è proprio quello che è accaduto, o meglio che sta per accadere. Gli antenati del principe William erano proprietari della miniera in cui lavoravano gli antenati di Kate Middleton. Lo ha scoperto il «Times» con una straordinaria ricostruzione dell’albero genealogico dei due giovani. Coloro che continuano a descrivere il Regno Unito come un paese elitario e classista, in cui non è possibile un’autentica mobilità sociale, ricevono una secca smentita: la figlia dei minatori sposerà il nipote della regina. «I tempi cambiano» è il commento, come sempre all’insegna dell’understatement, del quotidiano della capitale.
Che ci fossero dei minatori fra i trisavoli di Kate Middleton si sapeva. Non si sapeva, però, che fossero alle dipendenze di un trisavolo di Elisabetta ii e di suo nipote William: coincidenza che trasforma il loro amore in una fiaba disneyana, in un film di Hollywood, in una metafora confortante di un’epoca spesso avara di sogni. Dalle miniere a palazzo reale: la famiglia di Kate, nell’arco di un secolo, ha compiuto un viaggio inimmaginabile. Un viaggio che il «Times» fa cominciare ancora prima, nel 1821, quando il ventisettenne James Harrison arrivò a Hetton, cercò lavoro nella miniera di Sir Francis e fu assunto. James era il bis-bis-bis-bisnonno di Kate. Sicuramente non avrebbe nemmeno osato avvicinarla, se l’avesse vista com’è oggi, con al dito l’anello di zaffiri e diamanti appartenuto a Diana, a braccetto del secondo in linea di successione per il trono.
Com’era la vita di questo James Harrison? Breve e atroce: buio, fame, malattie, miseria, pericolo e lunghi turni sotto terra. Case squallide e gelide. Eppure, un posto in miniera era desiderato da molti: era pur sempre un lavoro. James trascorse sotto terra tutta la sua difficile esistenza. Suo figlio John fece il minatore. Anche il figlio di suo figlio, John pure lui, fece il minatore, sempre nella medesima miniera di Hetton. Questo John Harrison, nato nel 1874, a quattordici anni rimase orfano – essendo entrambi i genitori morti di tubercolosi – e iniziò a scavare carbone a sedici. Anche troppo vecchio, per la mentalità di quel tempo: i padroni delle miniere ritenevano che un ragazzo «debba imparare il mestiere sotto terra a partire dai dodici anni» e che non avesse senso «fargli perdere tempo a leggere e scrivere in una scuola».
Molte famiglie di minatori si sarebbero dette d’accordo. Ma un secolo, il XIX, finisce, un altro inizia e qualcosa lentamente comincia a cambiare anche nel mondo delle miniere. Prendono forma le prime istanze sindacali. Si sente parlare di socialismo, comunismo, rivoluzione. Nel 1904 nasce Thomas Harrison: facciamo attenzione, perché questo è il trisavolo di Kate Middleton. Ha quattordici anni quando suo padre muore nelle trincee della prima guerra mondiale. Il ragazzo viene così affidato al nonno materno, che invece di spedirlo con tutti gli altri giù in miniera lo prende con sé nella sua bottega di carpentiere a fare l’apprendista. Thomas impara il mestiere, si sposa, si trasferisce a Sunderland e poi a Londra. Nel frattempo, nel 1935, alla coppia nasce una figlia, Dorothy, che una volta cresciuta si innamora di un giovane collega del padre, il muratore Ron Goldsmith, e lo sposa. È il 1953: le nozze si celebrano due mesi dopo l’incoronazione di un nuovo sovrano, anzi di una nuova sovrana: Elisabetta II, discendente per parte di madre del Sir Francis Bowes-Lyon proprietario della miniera di Hetton.
Il destino comincia a compiersi. Dorothy sarà anche figlia di minatori, ma è ambiziosa e determinata a salire la scala sociale, al punto che gli amici la prendono in giro e l’hanno soprannominata «lady Dorothy». Nel 1955 le nasce una figlia, Carol, e l’ambiziosa mamma vuole che abbia tutto ciò che lei non ha avuto. Il desiderio si avvera: Carol, che è una bella ragazza, nel 1975 diventa una hostess della British Airways. Incredibile: i suoi bisnonni lavoravano sotto terra, lei vola alto nel cielo! Poi, l’incontro con un ex pilota e controllore di volo di nome Michael Middleton. I due si innamorano ed è il salto sociale che «lady Dorothy» tanto sognava: Middleton infatti non solo è un ex pilota, ma vanta anche lontane origini aristocratiche. La coppia si sposa nel 1980. Nel 1982 hanno una figlia, Kate, poi altri due bambini. Nel 1987, ispirati dalle tante feste di compleanno a cui sono invitati i loro figli, i Middleton hanno un’idea: abbandonano la British Airways e fondano una piccola società di gadget, regalini e materiale per i party dei più piccini. L’iniziativa riscuote un successo insperato: fanno un bel po’ di soldi, comprano una villa nel Berkshire e mandano Kate a studiare a Marlborough, una costosa scuola privata.
Il resto è storia recente. Dalla scuola Kate passa alla St. Andrews University, in Scozia, dove tra i compagni di corso, alla facoltà di Storia dell’arte, c’è il principe William. Per un po’ si guardano da lontano, poi fanno amicizia e inizia una love story che dura da otto anni – anche se nel 2007 si sono lasciati per tre mesi –, culminata con l’annuncio del fidanzamento ufficiale e delle nozze.
A Hetton la miniera non c’è più, come non ci sono più le vecchie case dei minatori. Nei pub la gente non ha più la faccia sporca di carbone. Quando gli avventori apprendono che la discendente di un minatore, di uno che scavava sotto terra proprio lì, nel loro villaggio, sta per sposare il discendente del padrone della miniera, l’erede al trono, rimangono di stucco. La nipote dei minatori sposerà il suo principe azzurro: non è magnifico? «Non immaginavo che una come Kate Middleton venisse da un posto come questo», commenta Sarah, diciannove anni, disoccupata. «Credevo provenisse da qualche famiglia posh come quella di William. Questo vuol dire, suppongo, che abbiamo tutte una chance di sposare un principe. Anch’io». E butta giù un altro sorso di birra. Alla sua salute. E alla salute dell’Inghilterra.
Il banchetto di Stato in onore di Carlo Azeglio Ciampi, finito con un sospiro d’amore deluso, per il sottoscritto era iniziato col batticuore, sebbene per tutt’altri motivi.
Il cerimoniale prevede «white tie», alla lettera cravatta bianca, quello che comunemente chiamiamo frac o pinguino (ossia il contrario di «black tie», cravatta nera, che noi italiani chiamiamo smoking), con «decorazioni», per chi ne ha; oppure il «costume nazionale», per chi se la sente di indossarlo. Indeciso se vestirmi da Arlecchino o da Pulcinella, opto per un frac, a noleggio. L’invito comprende un contrassegno da applicare al vetro dell’auto, presa a noleggio anche quella, per accedere al cortile del palazzo reale; e un tagliando per consentire all’autista di ricevere un «cestino pasto» mentre aspetta il ritorno del suo passeggero: versione aggiornata degli avanzi gettati dagli sguatteri ai cocchieri in un’altra era.
Nessuno vorrebbe arrivare in ritardo a un pranzo a Buckingham Palace; ma arrivarci per primo, su ottocento invitati, per giunta con cinque minuti di anticipo, è un’esperienza altrettanto imbarazzante. Fortunatamente, i ciambellani di corte sono ben addestrati a mettere a loro agio gli ospiti che si sentono vicini a stramazzare. Comunque, nel giro di dieci minuti il salone delle feste si riempie. Ecco i vip giunti dall’Italia: Franco Zeffirelli e Carla Fracci, Wanda Ferragamo, Carlo Rubbia, Vittorio Merloni, l’allora ministro degli Esteri Gianfranco Fini («Ah, bolognese pure lei?» mi dice, «a Bologna ho uno zio comunista sfegatato, è tutta la vita che facciamo delle litigate tremende»). Ed ecco le stelle locali: il fantino Frank Dettori, l’attore Colin Firth – quello del Diario di Bridget Jones – con la moglie italiana, Livia Giuggioli, bella come un cigno; ecco l’arcivescovo di Canterbury, il Lord Mayor di Londra, il ministro degli Esteri Jack Straw, la first lady Cherie Blair, suo marito Tony, il Primo ministro.
Il Lord Steward, «Master of the House», picchia tre volte il bastone per terra: gli ospiti vengono presentati uno a uno alla regina. L’etichetta di corte prevede che si porga alla regina una mano (morta), chinando il capo (se sei uomo) o piegando un ginocchio (se sei donna) e mormorando «Madam». Quindi le presentazioni al presidente della Repubblica Ciampi, al duca di Edimburgo (Filippo), alla nostra first lady, Franca Ciampi. Poi la processione reale segue Elisabetta e il presidente fino al salone da ballo, dove è imbandito un immenso tavolo a forma di ferro di cavallo. Al centro siedono la regina e Ciampi. Poi, via via, tutti gli invitati, in ordine decrescente d’importanza. All’ultimo posto, in fondo al ferro – ma proprio in fondo –, sono seduto io, così lontano che per vedere la regina dovrei usare il cannocchiale: una solenne ingiustizia, per uno arrivato per primo! Brindisi, inni nazionali, musica della banda delle Irish Guards, seguiti dalle cornamuse dei Dragoni scozzesi. Consommé di pollo e pomodoro, branzino al vapore, sella di agnello farcito, terrina di cioccolato e vaniglia, frutta. Poi, ci riversiamo nel fumoir. La regina si assenta per accompagnare il presidente Ciampi – che ama ritirarsi presto – nelle sue stanze. Ed è appunto quando ritorna che me la ritrovo davanti, a sorpresa, mentre sto corteggiando la principessa del Kent.
«Did you enjoy the evening?» chiede Elisabetta, fissandomi come se fosse davvero interessata alla mia risposta. Se mi è piaciuta la serata? Mi è piaciuta da morire, non solo per la principessa del Kent, of course, ma cerco di limitare il mio entusiasmo plebeo, farfuglio che mi è sembrata «very interesting», molto interessante. È sembrata interessante anche a me, replica Sua Maestà, e passa oltre. Tocca a Tony Blair fare due chiacchiere con lei, il primo in coda alle mie spalle per un’udienza è il premier. La mia, di udienza, è durata pochi secondi, ma sufficienti a studiarla da vicino. Nel viso tirato di Elisabetta sembra di leggere le traversie patite dai Windsor negli ultimi quindici anni: eppure quando sorride, salutandomi, affiora qualcosa della dolce ragazza incoronata oltre mezzo secolo fa, nel lontano 1953 – un’altra epoca, un altro mondo, di cui lei è rimasta forse l’ultima vestigia. A rimpiazzarla, quando va a chiacchierare con Blair, giunge suo marito, Filippo. «Abbiamo messo a nanna il vostro presidente», sbotta allegro, fregandosi le mani. Appreso di trovarsi davanti un ex corrispondente da Mosca, il principe stappa le sue reminiscenze, che solitamente vertono su cavalli, caccia o donne, i suoi argomenti preferiti: «Andai in Russia per la prima volta nel 1973, ai tempi di Leonid Brežnev. Ero presidente della Federazione internazionale equestre e mia figlia Anna partecipava a un concorso ippico a Mosca. La città era una meraviglia!». Viene da chiedersi cosa ci trovasse di tanto meraviglioso, nella Mosca sovietica del brežnevismo, ma lasciamo correre.
Un passo più in là, ed ecco suo figlio Carlo, l’erede al trono, in procinto di convolare a nozze con Camilla. «Sono appena tornato da un viaggio in Australia, Nuova Zelanda e Isole Figi, non so più nemmeno bene che ora è», si scusa, ironico. «Ah, l’Italia, le vostre città... Lucca, Siena, Volterra... mi ci portarono i marchesi Frescobaldi. Come fate a conservarle così? E il vostro cibo? Sono stato in Piemonte per un convegno sullo slow food, mi piacerebbe portare a Londra Carlo Petrini, vorrei incoraggiare lo stesso movimento anche da noi». Nel frattempo si è fatto tardi, gli ospiti sciamano a gruppi giù per le scale, nell’ampio cortile gli autisti ac...

Indice dei contenuti

  1. Tutte le storie sono storie d’amore
  2. Ma gli inglesi dove sono?
  3. World City
  4. La tribù degli italiani
  5. Sulla Torre di Babele
  6. Le mille e una cena
  7. La febbre del sabato sera
  8. Le allegre comari di Windsor
  9. Icone
  10. Strade
  11. E la chiamano estate
  12. Per piccina che tu sia
  13. Le case (e la scuola) del potere
  14. Le notti dei lunghi coltelli
  15. La Grande Londra
  16. NyLon