Populismo e stato sociale
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Populismo e stato sociale

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Populismo e stato sociale

Informazioni su questo libro

L'affermazione del populismo è figlia della perdita di credibilità della classe dirigente e di uno stato sociale che non è in grado di proteggere ampi strati della popolazione dai cambiamenti indotti dalla globalizzazione e dal progresso tecnologico. Occorre dare risposte innovative, eliminando i trattamenti di favore di chi ha posizioni di potere e rendendo la protezione sociale più efficiente nel raggiungere chi ha davvero bisogno d'aiuto.

La democrazia diretta invocata dai populisti rischia di sfociare nella dittatura della maggioranza. Il peggiore nemico del populismo sono i corpi intermedi della cosiddetta società civile: associazioni, partiti, sindacati, autorità indipendenti, amministrazioni pubbliche.

La lucida analisi di una questione essenziale per il futuro del nostro mondo, e una proposta concreta sul tema dell'immigrazione.

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Informazioni

Argomento
Economia

1. Chi sono i populisti?
Democrazia diretta e corpi intermedi

Chi sono i populisti? Secondo l’Enciclopedia Britannica, “I populisti affermano di essere i protettori dell’interesse del cittadino medio contro le élites: assecondano le paure e gli entusiasmi del popolo e si fanno promotori di politiche senza considerarne le conseguenze per il Paese”.
Il pregio di questa definizione è che mette in luce gli orizzonti angusti della strategia politica di questi partiti: offrono una protezione di brevissimo respiro, apparentemente immediata, ma al tempo stesso del tutto inefficace nel volgere di poco tempo. Chiudere le frontiere a persone e a prodotti provenienti da altri paesi può sembrare un modo per proteggere la popolazione autoctona dalla concorrenza degli immigrati e dei paesi a basso costo del lavoro. Ma una strategia politica basata sui muri ignora le possibili reazioni degli altri paesi. Questi possono rispondere chiudendo a loro volta le frontiere ai beni prodotti internamente causando la perdita di molti posti di lavoro. Inoltre, le importazioni dei paesi avanzati consistono spesso in beni intermedi che servono a rendere più competitive le esportazioni: rendendo più costose le prime, si inibiscono le seconde.
Anche il protezionismo nel mercato del lavoro, piuttosto che in quello dei beni, è di breve respiro e può rivelarsi presto controproducente. Il rischio è quello di sostituire immigrazione regolare con immigrazione clandestina, molto più difficile da gestire. La regolarizzazione degli immigrati, come documenta una recente ricerca svolta nell’ambito del progetto VisitINPS basata sull’accesso ai verbali ispettivi e ai dati degli archivi sui versamenti contributivi individuali e delle aziende coinvolte, porta a una emersione, persistente nel tempo, di base contributiva.
Chi invece arriva in modo illegale e non ha alcuna opportunità di regolarizzarsi, non solo non paga i contributi, ma è anche esposto a un rischio più alto di venire coinvolto in qualche attività criminale. Un effetto causale della mancanza di regolarizzazione sul coinvolgimento in attività illegali è stato riscontrato dagli studi che hanno comparato le sorti di chi ce l’ha fatta e di chi non ce l’ha fatta in uno dei click days per la regolarizzazione degli immigrati.
Se poi gli altri paesi reagiscono chiudendo a loro volta le frontiere, questo finirà per trattenere da noi persone che avrebbero migliori opportunità d’impiego altrove. E non bisogna mai dimenticare che gli immigrati hanno reso più competitive le nostre imprese e risolto i problemi di molte famiglie italiane nel colmare le falle evidenti del nostro stato sociale nell’aiutare le persone non-autosufficienti.
Analogamente, tagliare le tasse e aumentare la spesa pubblica, un altro Leitmotif della propaganda populista, può nell’immediato migliorare la situazione di molte persone, ma rapidamente porta all’isolamento internazionale e al collasso di un paese, con un forte peggioramento delle stesse condizioni di vita iniziali dei più deboli. Il tutto mentre un pesante fardello di debito pubblico viene lasciato in eredità alle generazioni future.
La definizione di populismo che, a mio giudizio, è ancora più utile nel circoscrivere e insieme capire questo fenomeno è quella offerta dal politologo olandese Cas Mudde. Si tratta di una ideologia (e di una conseguente strategia politica) “leggera” che considera la società come composta da due gruppi omogenei, da due blocchi monolitici, tra di loro contrapposti: da una parte il popolo, dall’altra l’élite corrotta (declinata al singolare).
Il pregio di questa definizione è che mette in luce come il peggior nemico del populismo sia “tutto ciò che sta nel mezzo”, i cosiddetti corpi intermedi della società civile: dall’associazionismo ai partiti, dalle rappresentanze di interessi (a partire dai sindacati) alle istituzioni di garanzia, dalle autorità indipendenti di controllo ai dirigenti indipendenti di amministrazioni pubbliche. La democrazia dei populisti è la democrazia diretta che assegna un potere assoluto alla maggioranza, trasformandosi paradossalmente nella dittatura della maggioranza paventata da Alexis de Tocqueville in La democrazia in America.
Quella dei populisti è una visione della democrazia ben diversa da quella propria delle democrazie liberali o industrializzate, in cui sono presenti molte istituzioni a tutela delle minoranze, che garantiscono il rispetto dei principi fissati nella Costituzione e che fungono da contrappeso al potere dell’esecutivo (i cosiddetti sistemi di checks and balances). Questi corpi istituzionali intermedi (a partire dalle associazioni politiche e dai partiti) rafforzano anche i legami sociali, permettendo che la delega al potere pubblico insita nella democrazia rappresentativa non porti al “dominio di un’autorità lontana e irraggiungibile, fondata sull’isolamento fra uomo e uomo, dove tutti diventano estranei a tutti”.
La storia ha dato ragione a Tocqueville: molte dittature sono nate da argomenti populisti. E sono in molti, oggi, a intravvedere il rischio di evoluzioni di questo tipo anche in Europa, soprattutto fra i paesi dell’ex blocco sovietico.
I partiti populisti hanno una lunga storia, raramente coronata da esperienze di governo, almeno nell’ambito delle democrazie industrializzate. Il termine populismo si deve al People’s Party che conquistò cinque Stati nelle elezioni presidenziali del 1892 negli Stati Uniti. In Europa il precedente più rilevante è il movimento poujadista (dal nome di Pierre Poujade) del dopoguerra francese; in Italia troviamo tracce indelebili di populismo, in mezzo a tante altre cose, nel partito dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini.
Le esperienze di governo nazionale dei populisti sono per lo più concentrate in America Latina, con generazioni di politici ai due estremi dell’ideologia politica: dalla sinistra dei Perón e Vargas, alla destra di Fujimori, alla nuova generazione di sinistra di Chávez, Morales e Correa. Coerentemente con una strategia che guarda ai risultati immediati ignorando le conseguenze di lungo periodo, i primi mesi dei populisti al governo sono idilliac...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. 1. Chi sono i populisti? Democrazia diretta e corpi intermedi
  3. 2. Le ragioni della resurrezione dei partiti populisti
  4. 3. Meglio affrontare i problemi alla radice anziché inseguire i populisti
  5. 4. Una proposta modesta, ma fattibile
  6. Riferimenti bibliografici
  7. Appendice. I partiti populisti europei