1289. La battaglia di Campaldino
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1289. La battaglia di Campaldino

  1. 20 pagine
  2. Italian
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1289. La battaglia di Campaldino

Informazioni su questo libro

Sabato 11 giugno 1289. Nella piana che porta a Poppi, in località Campaldino, si affrontano l'armata aretina dei Ghibellini e quella fiorentina dei Guelfi. Tra le sue file, un giovane cavaliere, Dante Alighieri, combatte come guelfo bianco. Forse l'immagine del Sommo Poeta a cavallo, con la cotta di maglia, la testa chiusa nell'elmo di ferro e la spada in pugno non appartiene al più diffuso immaginario dantesco, certo però è che se molti hanno sentito nominare quella battaglia, il merito va alla Divina Commedia. Ma Campaldino ha un'importanza centrale per il medievista e non solo perché la vittoria dei fiorentini sancisce l'egemonia del guelfismo in Italia e di Firenze sul resto della Toscana. Grazie al racconto che ne fanno Dino Compagni e Giovanni Villani, Campaldino è infatti in assoluto una delle battaglie medievali che conosciamo meglio, osservatorio ideale per capire come si faceva la guerra nel Medioevo, dal reclutamento degli eserciti al processo decisionale che conduceva all'apertura di un conflitto, dalla pianificazione d'una campagna alla conduzione tattica d'uno scontro, fino alle tensioni sociali che attraversavano le forze armate, specchio, allora come oggi, delle contraddizioni d'una società.

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Informazioni

1289. La battaglia di Campaldino

di Alessandro Barbero

La battaglia di Campaldino, combattuta presso Poppi l’11 giugno 1289, giorno di San Barnaba, è memorabile per più di un rispetto; innanzitutto perché contribuì in modo decisivo all’assestamento degli equilibri politici nell’Italia dei guelfi e dei ghibellini. Dopo le vittorie di Carlo d’Angiò a Benevento e Tagliacozzo e quella dei fiorentini sui senesi a Colle Val d’Elsa, tutte ottenute fra il 1266 e il 1269, la vittoria fiorentina sugli aretini e i loro alleati a Campaldino segnò il definitivo prevalere del guelfismo nell’Italia centrale e sancì l’egemonia di Firenze sulla Toscana, completando un percorso che era stato momentaneamente arrestato a Montaperti ventinove anni prima.
La battaglia è ben nota anche agli studiosi di Dante, perché il poeta vi prese parte inquadrato nella cavalleria fiorentina, reclutata fra i cittadini abbastanza agiati da potersi permettere un cavallo da guerra. Anche se l’idea di un Dante a cavallo, con la cotta di maglia, la testa chiusa nell’elmo di ferro e la spada in pugno, non appartiene certo al più diffuso immaginario dantesco, molti hanno sentito nominare questa battaglia, negli anni del liceo, proprio in connessione con lo studio della Commedia. Leonardo Bruni, biografo quattrocentesco di Dante, afferma di aver visto una sua lettera, in cui descrive la battaglia e ne traccia addirittura un disegno (dice Bruni che Dante disegnava benissimo). Nella stessa Commedia il poeta introduce diversi riferimen­ti che provano la sua partecipazione alla battaglia e alle operazioni militari ad essa collegate, come l’assedio di Arezzo da parte dei fiorentini vittoriosi.
Ma Campaldino ha un’importanza centrale per il medievista anche al di là dell’orizzonte toscano e della storia letteraria. Grazie alla straordinaria narrazione che ne hanno lasciato Dino Compagni e Giovanni Villani, è in assoluto una delle battaglie medievali su cui disponiamo delle informazioni più abbondanti. Un osservatorio ideale, dunque, per capire come si faceva la guerra nel Medioevo: dal reclutamento degli eserciti al processo decisionale che conduceva al conflitto, dalla pianificazione d’una campagna alla conduzione tattica d’uno scontro, fino alle tensioni sociali che attraversavano le forze armate, specchio, allora come oggi, delle contraddizioni d’una società. Ed è proprio dalle pagine di Dino Compagni, anche letterariamente efficacissime, e da quelle di Giovanni Villani che partiremo per farci accompagnare attraverso le vicende di quel memorabile 11 giugno 1289.
Per comprendere le dinamiche che condussero alla guerra tra Firenze e Arezzo bisogna innanzitutto aver chiaro il meccanismo del conflitto fra le parti. Al di là delle parole d’ordine ideologiche per cui i guelfi si richiamano alla protezione del papa e accettano l’idea che sia Roma a dover governare la Cristianità, mentre i ghibellini difendono il vecchio ordinamento derivato da Costantino e da Carlo Magno che attribuiva a un laico, l’imperatore, l’autorità suprema sul mondo cristiano, le parti alla fine del Duecento sono già due schieramenti internazionali, che offrono appoggio e finanziamento ai loro aderenti sia quando sono al governo in una città, sia quando sono stati cacciati in esilio.
Ma all’opposizione fra guelfi e...

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