Lo scudo di Cristo
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Lo scudo di Cristo

Le guerre dell'impero romano d'Oriente

  1. 426 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Lo scudo di Cristo

Le guerre dell'impero romano d'Oriente

Informazioni su questo libro

Le possenti mura di Costantinopoli hanno arginato per secoli le ondate di nemici che insidiavano l'Europa cristiana. Le armate dell'impero romano d'Oriente si erano trasformate nello scudo di Cristo: questa è la storia della loro lunga lotta, fino alla vittoria.

L'impero romano d'Oriente visse suo malgrado per oltre mille anni in uno stato di guerra continua. La sua capitale Costantinopoli, la splendida 'regina delle città', non smise mai di attirare conquistatori avidi di preda dai quattro angoli del mondo: Goti, Unni, Slavi, Avari, Persiani, Arabi, Bulgari…L'impero, spesso sull'orlo della disfatta, riuscì sempre a trovare la forza necessaria per rialzarsi dopo le sconfitte. Aveva ereditato da Roma antica uno dei più potenti eserciti della storia: attraverso molti cambiamenti organizzativi, strategici e tattici, fu comunque in grado di mettere in campo armate capaci di respingere le continue invasioni. Il libro ripercorre i primi turbinosi secoli di questa storia, dalla disfatta di Adrianopoli del 378, che costrinse Teodosio I a riformare l'intero sistema difensivo imperiale, fino alle vittorie sugli Arabi e sui Bulgari, che nel IX secolo restituirono alla Nuova Roma uno spazio di dominio nei Balcani e in tutto il Mediterraneo orientale. Vengono analizzate sia la strategia dell'impero che le tattiche di combattimento, spesso all'avanguardia, delle sue armate, nonché la loro organizzazione, legata ad aspetti cruciali della vita sociale ed economica dello Stato.Al riparo dello scudo bizantino ebbe modo di prosperare e svilupparsi l'Europa latina: che però non riconobbe mai ai fratelli d'oriente il merito di aver difeso con il proprio sangue la pace di tutta la Cristianità.

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Informazioni

eBook ISBN
9788858133132
Argomento
Storia
Categoria
Storia antica

V.
Il nuovo Davide

Da quando, con l’aiuto di Dio,
ci hai liberato dalla peste della tirannia e ci hai reso tuoi servi,
è cessato il tremendo sgorgare del sangue
da cui aveva origine il flusso dei mali.
Nel ricordo di essi, o potentissimo,
levando in alto verso Dio gli auspici,
tra poco ti accorgerai che Dio stesso
sarà secondo Salvatore della tua speranza.
Lui solo, infatti, grazie ai tuoi sforzi,
ci aprirà ovunque le porte della pace
svelandola sullo stesso tuo trono, unita al tuo potere.
Giorgio di Pisidia, In Heraclium ex Africa redeuntem, vv. 59-691

«L’abominio della desolazione»

Anno del mondo 6095. [...] Il generale Narsete si ribellò al tiranno e si impadronì di Edessa. Foca scrisse al generale Germano di assediare quella città. Narsete scrisse al re persiano Cosroe chiedendogli di raccogliere un esercito per attaccare i Romani.
Anno del mondo 6096. Durante quest’anno, in dicembre, indizione VII, Foca continuò i festeggiamenti, distribuendo grandi donativi per celebrare il suo consolato. Il re persiano Cosroe radunò un grande esercito e lo inviò contro i Romani. Quando Germano lo seppe ne fu terrorizzato, ma non avendo altra scelta diede battaglia. Benché fosse stato ferito in combattimento, le sue guardie del corpo lo portarono in salvo a Costantina. I Romani furono sconfitti; Germano morì undici giorni dopo2.
Così il cronista Teofane ricorda l’inizio della nuova guerra tra i due grandi imperi tra l’estate del 603 e la primavera del 604. A Costantinopoli Foca stava ancora cercando di conquistare il consenso dell’aristocrazia di corte e del popolo distribuendo quel poco che restava nelle casse dello Stato; in Oriente il magister militum Narsete, compagno d’armi di Cosroe nel 591, aveva deciso di non riconoscere l’usurpatore e chiesto aiuto allo shah per vendicare la morte di Maurizio. Le forze romane erano divise, disorientate, demoralizzate; Cosroe poteva sfruttare il momento favorevole, e persino affermare di combattere in nome della giustizia e della riconoscenza che lo legava ancora al suo sfortunato benefattore e ai suoi eredi3.
Le poche frasi di Teofane, comunque preziose, lasciano purtroppo in ombra quasi tutto ciò che vorremmo sapere sull’andamento di queste prime operazioni militari. Perché Germano non ebbe altra scelta che accettare lo scontro in campo aperto, pur trovandosi quasi certamente in condizioni di grave inferiorità numerica, visto che almeno una parte delle truppe dell’esercito schierato alla frontiera doveva aver seguito il magister militum per Orientem Narsete? Dove venne combattuta esattamente la battaglia e come si svolse?4 Dove si ritirarono i superstiti, visto che Edessa era nelle mani del generale ribelle? Cosroe aveva lanciato un’offensiva in grande stile, con l’obiettivo di occupare stabilmente la Siria, o cercava soltanto di sfruttare il momento favorevole per consolidare il proprio prestigio, liberandosi finalmente dall’ombra della Nuova Roma?
Non lo sappiamo; ma quel che accadde l’anno successivo getta qualche luce almeno sui disegni strategici dei due avversari. Foca, per violento, rozzo e crudele che fosse – almeno se si dà credito alle fonti superstiti, tutte a lui fortemente avverse5 – non era un incapace dal punto di vista militare, e fece l’unica scelta ragionevole: rinnovare i trattati di pace con gli Avari, spostare le forze disponibili in Oriente, e lì per prima cosa soffocare la rivolta di Narsete. Dopo la morte di Germano il compito venne affidato al nuovo magister militum per Orientem Domenziolo, fratello di Foca, che riuscì a bloccare le forze ribelli a Edessa e si sforzò poi di convincere Narsete ad arrendersi, giurandogli che l’imperatore lo avrebbe trattato con clemenza. Il vecchio e valoroso generale, scoraggiato dalla piega presa dagli eventi, finì per accettare. Non fu una buona idea: secondo Teofane, infatti, Foca non tenne in minimo conto i giuramenti solenni di Domenziolo, e appena messe le mani su Narsete lo fece bruciare vivo6.
Il mancato intervento di Cosroe in soccorso di Narsete sembra testimoniare una certa riluttanza, da parte dello shah, a intraprendere una spedizione in grande stile in territorio nemico nella primavera del 605. L’avvento al potere di Foca aveva colto impreparato anche Cosroe, che aveva altre frontiere di cui occuparsi, e doveva sempre temere l’irrequietezza della nobiltà sassanide; di fronte agli imprevisti sviluppi della situazione a Costantinopoli, lo shah stava probabilmente ridefinendo i propri obiettivi strategici, e preparando le truppe per un attacco a fondo in Mesopotamia. Intanto poteva lasciare che la guerra civile tra i Romani seguisse il suo corso: la sconfitta e la morte di Narsete, in prospettiva, potevano risolversi in un vantaggio, togliendo dalla scena un militare abile e rispettato, che avrebbe potuto raccogliere attorno a sé tutti gli oppositori di Foca, ripristinando un governo forte a Costantinopoli.
Il successo ottenuto da Domenziolo a Edessa fu l’unica buona notizia ricevuta da Foca durante il suo breve regno. Nella primavera seguente Cosroe ruppe gli indugi e conquistò la fortezza di Dara, che aveva restituito a Maurizio nel 591, inviando poi i suoi migliori comandanti a saccheggiare la Siria: non si ha notizia di alcuna seria opposizione da parte delle truppe imperiali, e i Persiani tornarono in patria alla fine dell’estate del 606 «portando con sé innumerevoli prigionieri». Foca era costantemente occupato a sventare complotti più o meno improvvisati7; le misure repressive arbitrarie e crudeli messe in atto dietro suo ordine non facevano che aumentare l’odio di cui era circondato, privandolo anche di quel minimo di legittimità che gli derivava dall’occupare il trono. Foca ebbe anche la cattiva idea di abbandonare la politica religiosa tollerante di Maurizio e inasprire le misure contro i Cristiani che non seguivano fedelmente i dettami del concilio di Calcedonia: questo gli valse la riconoscenza del vescovo di Roma, oltre che di una parte dei suoi sudditi, ma lo spinse a prendere misure repressive feroci contro i monofisiti, che costituivano una percentuale non trascurabile della popolazione, e lo privò di alleati essenziali in tutto lo scacchiere mediorientale8.
La situazione militare, intanto, non faceva che peggiorare. Nel 607 i Persiani si spinsero oltre l’Eufrate, ampliando sistematicamente il raggio delle loro incursioni in territorio romano, e giungendo fino alla provincia di Fenicia (il Libano attuale); l’anno successivo un corpo di spedizione sassanide penetrò in Cappadocia, sconfisse le truppe inviate a sbarrargli il cammino e raggiunse la costa del Mar di Marmara nei pressi di Calcedonia, di fronte a Costantinopoli9. L’esercito imperiale sembra non avere più la forza morale per opporsi validamente al nemico: Teofane nota soltanto che i Persiani «volsero in fuga tutte le armate romane che attaccarono», rivelando di non possedere in realtà alcuna precisa informazione sulle operazioni del 608. «Fuori dalla Città» – Costantinopoli, ovviamente – «i Persiani rendevano schiavi i Romani», mentre all’interno «Foca faceva anche peggio, arrestando e assassinando»... Sono informazioni vaghe e fortemente condizionate dalla cattiva fama del «tiranno»; restava il fatto che lo stendardo dello shah era stato portato fino al limite estremo dell’Asia. Soltanto il Bosforo, sorvegliato dalla flotta imperiale, separava Cosroe II dalla preda più ambita. Ma era questione di tempo: bisognava trovare in fretta una soluzione, o la Nuova Roma sarebbe caduta nelle mani dei suoi più vecchi nemici.
A Costantinopoli si viveva nel terrore, mentre gli eserciti dipendenti direttamente dal governo centrale sembravano essersi dissolti. La salvezza non poteva che venire da lontano: il primo ad agire, a quanto sembra, fu Prisco, il vecchio generale di Maurizio, che Foca aveva preferito associare al potere dandogli in sposa la figlia e mettendolo a capo degli excubitores10. Secondo la Cronaca di Teofane
non tollerando più a lungo di fare da spettatore agli efferati omicidi e agli altri mali perpetrati da Foca, Prisco scrisse al patrizio e magister militum d’Africa Eraclio [il Vecchio] chiedendogli di inviare suo figlio Eraclio e Niceta [...] per opporsi al tiranno. Infatti gli era giunta voce che in Africa si stava preparando una rivolta contro Foca11.
Possiamo immaginare con quanta cautela Prisco avesse scritto e inviato il suo dispaccio a Cartagine. Si trattava al tempo stesso di una richiesta d’aiuto, un incoraggiamento e un modo per separare in tempo il proprio destino da quello dell’imperatore-tiranno. Dopo aver ricevuto un secondo appello da parte del Senato di Costantinopoli, l’esarca Eraclio ruppe gli indugi. Aveva già fatto coniare monete con la propria effigie e quella dell’omonimo figlio in veste di consoli – titolo assunto ormai soltanto dai sovrani nel loro primo anno di regno – e nella primavera del 609 mise in movimento i propri eserciti. Per disorientare il nemico e acquisire ulteriori risorse, Eraclio il Vecchio inviò in Egitto un corpo di spedizione, agli ordini di suo nipote Niceta, composto in buona misura da guerrieri berberi reclutati in Tripolitania e Cirenaica12; contemporaneamente armò la flotta e fece imbarcare un secondo corpo di spedizione, destinato ad attaccare la capitale, che mise agli ordini del figlio13.
Foca, che tra l’autunno del 608 e la primavera del 609 era stato costretto a inviare un esercito agli ordini del magister militum per Orientem Bonoso per soffocare la rivolta degli Ebrei di Antiochia, diede ordine al suo comandante di proseguire verso l’Egitto e respingere l’attacco di Niceta14. Bonoso si imbarcò a Cesarea Marittima, sulla costa della Palestina, e riuscì rapidamente a riconquistare il controllo della zona del delta del Nilo; marciò quindi su Alessandria, ma qui Niceta riuscì a respingere per due volte i suoi attacchi, sfruttando abilmente il tiro delle catapulte piazzate s...

Indice dei contenuti

  1. Premessa. In difesa della Nuova Roma
  2. I. Salus Orientis
  3. II. L’arte della sopravvivenza
  4. III. «Renovatio imperii»
  5. IV. Sull’orlo dell’abisso
  6. V. Il nuovo Davide
  7. VI. Sotto il segno della spada
  8. VII. Spezzare l’assedio
  9. VIII. Guerra permanente
  10. Conclusione. La dolcezza della pace
  11. Bibliografia scelta