Salvataggio alle tane fredde
Avevamo vinto la Coppa del Mondo insieme agli Azzurri, a Pertini e al resto del popolo italiano, ergo non eravamo più dei marmocchi: di questo si rendevano conto perfino i genitori, al solito così tardi nel riconoscere i nostri meriti.
Dei marmocchi non si sarebbero mai distinti in battaglia contro i Pugliolesi, come invece facevamo noialtri ex Indomabili, ormai stimati frombolieri di terza elementare nei ranghi di Casaglia.
Appena un paio d’anni prima non avremmo saputo provare le acerbe pene d’amore che invece nutrivamo ora (perché l’insulsa Rebecca di II B continuava a seguirmi ovunque, e invece l’adorata Cecilia preferiva Jimmy Stella al sottoscritto? Non potevano fare scambio di gusti, quelle due?).
La certificazione di avere passato una qualche linea d’ombra arrivò durante un viaggio in scuolabus, di ritorno verso la città : per qualche capriccio da ragazzini sovreccitati, io, il Gringo e Jimmy ci incaponimmo a fare impazzire l’accompagnatrice, investita in via semiufficiale del ruolo di «signorina dell’autobus». Quel pomeriggio le mancammo di rispetto in ogni modo, deridendola apertamente quando ci sgridava, e tanto ci spingemmo in là che la poveretta – non abilitata a metterci le mani addosso – scoppiò in lacrime per la rabbia.
«L’abbiamo fatta piangere noi» osservò, incredulo e compiaciuto, il Gringo Frascara.
«Siamo forti» gongolava Jimmy, ravviando la frangia bionda. «A otto anni, sappiamo già far piangere le donne. Mio babbo dice che lui c’è riuscito solo a venti».
«E senza toccarla!» ribadii. «Mica l’abbiamo picchiata». Mi domandavo se questo nuovo superpotere fosse spendibile anche in altri contesti, mentre la «signorina dell’autobus», in equilibrio nel corridoio centrale come una surfista, si aggiustava con un kleenex il trucco sfatto. Si capiva che meditava un ritorno di fiamma e, quando si diresse con passo deciso verso noialtri ammucchiati sul fondo del veicolo, uno dei vicini pronosticò: «Adesso vi mena».
«Fermati, donna!» gridò Jimmy balzando in piedi. Le braccia protese come un torero, fissava la signorina a palpebre sbarrate, e lo intendemmo sillabare: «A me gli occhi! Io t’ipnotizzo!».
Lei esitò per un istante, e parve che dalle mani del nostro amico sorgesse effettivamente qualche fluido.
«Tu sei una gallina!» si mise in mezzo il Gringo. Tutto lo scuolabus scoppiò a ridere, e lui ribadì: «Muoviti, donna! Diventa una gallina!».
«Non svegliatela!» intimò Jimmy, immobile. «Potrebbe morire! Tu non sei una gallina!» chiarì all’accompagnatrice sbigottita.
«Finitela» supplicò quella. «Mi state facendo impazzire».
«Zitta, donna!» la redarguì l’ipnotizzatore. «Sei totalmente in mio potere, e adesso ci mostri le tette!».
A questo punto la signorina violò il mandato di non toccarci: qualche sberla piovve alla rinfusa sul gruppo ma, a trent’anni da allora, non mi sento di darle torto. La parte più impressionante fu la crisi isterica che seguì: la povera donna percorse tutto il corridoio sbattendo contro i poggiatesta, e implorò l’autista di fermare il mezzo. «Voglio scendere» gridava. «Chi me lo fa fare, questo lavoro?».
Ci mettemmo buoni ché si convincesse a restare a bordo, ma il breve tragitto sino alla fermata non bastò alla signorina per placarsi: arrivò talmente stravolta che i parenti in attesa domandarono se avesse bisogno di essere portata al pronto soccorso. Lei pianse di nuovo, e gli adulti si riunirono a capannello per domandare cosa mai fosse accaduto. Anche nonna era fra loro, insieme alla madre del Gringo e a quella, in pelliccia di leopardo, di Jimmy Stella.
«Qui si mette male» sibilò il minore dei fratelli Frascara. «Meglio telare».
«Aspetta, aspetta» lo invitò il biondo ipnotizzatore. «Magari dice solo che vuol cambiare lavoro», ma sentivo anch’io che avremmo fatto bene a sparire.
Nel giro di un niente, infatti, ci trovammo indicati a dito: sembrava ci dovessero linciare, e per prima si fece avanti nonna. Mi girò la faccia con uno smataflone, e intimò: «Mai più, mancare di rispetto alla signorina. Mai più, capito?».
Mi aveva fatto male, eppure compresi che dovevo rispondere in fretta. «Sì, nonna» mormorai, tenendomi la guancia.
Anche la madre del Gringo, a modo suo, era in vena di punizioni esemplari: dopo un predicozzo dai toni generici, impose al figlio di chiedere scusa alla signorina, e fu tutto.
Tempo che ottenesse il perdono della donna, mi resi conto che Jimmy, l’unico in fin dei conti a chiederle di mostrarci le tette, si stava allontanando di buon passo insieme alla madre.
«Ma come?» mormorai al Gringo.
«Ci ha lasciati nei guai» osservò, rancoroso. Poi pretese l’attenzione della genitrice e, in tono lamentoso, denunziò: «Comunque è stato Jimmy, mamma. Noi eravamo solo seduti vicino».
Riuscì quasi a passare per innocente, e alla fine l’unico a prendersi una sberla ero stato io: sembrava la dimostrazione pratica del fatto che la legge non è uguale per tutti.
Jimmy l’ipnotizzatore fu l’unico, fra noi, a non presentare domanda per entrare nei lupetti.
La madre di Umberto Falconieri era una entusiasta dello scautismo, così aveva pre-iscritto il rampollo ai lupetti da molte stagioni. All’ultimo, benché recalcitrante nel separarsi dal figlio minore, si era convinta anche la mamma del Gringo.
A quel tempo, Falcon era quasi un piccolo lord, rispetto a noialtri: slanciato e delicato di lineamenti, lezioso come solo i figli unici, mostrava una tendenza sospetta a giocare con le femmine, attività che appariva improponibile tanto al giovane Frascara, cresciuto con l’esempio dei due maggiori, quanto a me. Il Gringo, poi, veniva coperto di regali e aveva il permesso di rimpinzarsi di merendine, tanto che la sua forma fisica ne risentiva visibilmente. Tutto sommato, ero quello che cresceva in maniera più spartana, e confidai che quell’assenza di mollezze mi avrebbe giovato in ambito scout.
«Ma lo sai che ci insegnano a tirare di schioppo?» promisi al Gringo durante una ricreazione dell’ottobre ’82, quando ormai mancavano pochi giorni al debutto.
«Certo che lo so» bluffò come suo solito, abbracciando in uno sguardo la pista tracciata col gesso sull’asfalto davanti a scuola: la sua Ferrari era in testa con mezzo giro di vantaggio. «Tanto io sono già capace».
«Ah sì?» sospirai, e mi parve che dall’abitacolo della mia Brabham arenata sospirasse anche Nelson Piquet. «E chi ti ha insegnato?».
«Mio fratello Claudio».
«E a lui?».
«Nostro fratello Antonio».
«E a lui vostro padre, scommetto».
«Mio padre non sa sparare» ammise il Gringo, all’improvviso sincero. Poi riprese quota: «Antonio ha imparato in Irlanda».
«Ah» incassai. Sapevo che c’era stato davvero nel corso dell’estate, e ci stava che laggiù si sparasse a ogni ombra sospetta. Tuttavia, espressi un dubbio: «Non era andato in Irlanda per suonare?».
«Infatti» prese tempo lui, in evidente difficoltà . «È andato a suonare con un gruppo... Si chiamano gli U2».
«Così, invece di suonare, sparavano?» tentai di smascherarlo, ma il Gringo era preparatissimo.
«Facevano tutte e due le cose. Il cantante suo amico si chiama Bono Vox e, dopo le prove, portava sempre Antonio a cacciare le volpi».
La storia mostrava, ai miei occhi, un’unica crepa: Bono Vox non era un nome da irlandese. Ma ci stava che questi U2 avessero assunto Antonio Frascara come nuovo batterista, e che il cantante se lo fosse portato in battuta nei boschi.
«Così, avete uno schioppo a casa?» domandai, speranzoso.
«Lo teniamo a Bellaria, per usarlo d’estate» spiegò lui, in tono vago. «Ci sparo ai pesci dal pedalò».
Oltre il danno, la beffa: il Gringo sapeva sparare e, con lo schioppo esiliato in Riviera, non poteva nemmeno insegnarmi.
Confidai che, almeno sulle armi da fuoco, i capi dei lupetti avrebbero cominciato l’istruzione da zero.
Arrivò la domenica del nostro debutto, e verso le nove del mattino mi ritrovai, scortato da mamma, ai giardini di via Bellinzona insieme al Gringo Frascara, a Falcon e alle loro madri: anche i miei amici erano nervosi, e scrutavano oltre il sipario delle siepi, verso il sagrato dove, presto, sarebbe sceso ad accoglierci il branco al completo.
«Saranno tutti in divisa tranne noi» fece presente Falcon, i morbidi capelli mossi dalla brezza e gli occhi cerulei velati di malinconia.
«Io sto bene così» mormorò, a pugni chiusi, il Gringo. Larga alle spalle, e tesa sulla pancia sporgente, inalberava una maglia da calcio inaudita, a bande orizzontali arancio e rosa, di certo un prestito dei fratelli. «È la casacca della Scozia» spiegò.
«Non è blu, la Scozia?» espressi il mio dubbio.
«La mia è la casacca alternativa» mi gelò. «Con questa addosso, i ragazzi sconfissero per la prima volta l’Inghilterra nel 1905».
Sul calcio e la musica ne sapeva una più del diavolo, così cambiai discorso. «Chissà se ce li fanno usare già oggi, gli schioppi».
Una risata sorse dal gruppo delle madri, e pareva di capire che l’ilarità fosse causata dal sottoscritto.
«Nei lupetti non si usano le armi» puntualizzò la madre di Falcon.
«È un’organizzazione pacifica, mi assicurano» confermò quella del Gringo.
«Al massimo potrete usare il temperino svizzero» concesse mamma. Sembrava imbarazzata.
Così, non c’erano gli schioppi!
Umberto Falconieri mandò un sospiro mentre sua madre gli carez...