Contro il separatismo
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Contro il separatismo

  1. 112 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Contro il separatismo

Informazioni su questo libro

Il separatismo non è un'opinione politica o un sogno romantico, ma un attacco in piena regola al nucleo più importante della garanzia di cittadinanza, cioè lo stato di diritto.

Questo libro non è una trattazione accademica o teorica ma un pamphlet che attacca frontalmente l'insensatezza e l'ingiustizia del separatismo. Secondo il filosofo Fernando Savater, il separatismo è da intendere come un'aggressione deliberata, calcolata e organizzata contro le istituzioni democratiche e contro i cittadini che le sentono proprie. Non a caso il diavolo è etimologicamente il separatore, dia-ballo, colui che separa e rompe i legami stabiliti. E separare coloro che vivono insieme è il misfatto antiumanista per eccellenza. Il difetto diabolico del separatismo è proprio questo: seminare la discordia, dividere gli animi.

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Informazioni

eBook ISBN
9788858133439
Argomento
Economia

Stoccate

[Se a volte già noi spagnoli non capiamo bene che cosa accade in Catalogna, immaginate gli stranieri. L’articolo che segue è stato scritto per permettere ai nostri amici ispano-americani di tenersi aggiornati, per quanto possibile, su questa triste vicenda.]

L’invenzione della Catalogna

Si racconta che un certo giorno lo stimato filosofo catalano José Ferrater Mora, che insegnava negli Stati Uniti, andò a trovare Jordi Pujol su invito di quest’ultimo. Il president catalano gli domandò che opinione avessero gli yankee della Catalogna, e Ferrater rispose che non ne sapevano nulla, neppure che esistesse una regione chiamata così. Preoccupato, Pujol disse che bisognava fare qualcosa per far conoscere agli americani l’esistenza della Catalogna, al che Ferrater, beffardo, replicò: «Be’, un terremoto potrebbe aiutare...».
Ebbene, eccolo qui il terremoto – politico, nella fattispecie – che sta facendo conoscere la Catalogna in Europa e in America, quantunque non nella sua versione migliore. Se già in Spagna tanta gente non capisce il conflitto catalano, immaginate cosa potranno capirci all’estero, in Paesi meno abituati ai nostri battibecchi. Significativo, a questo proposito, che tra i sostenitori stranieri dell’indipendenza catalana figuri l’hacker ribelle e narcisista Julian Assange, secondo il quale la Spagna sta abusando della Catalogna come Don Chisciotte abusava (?) del suo scudiero, chiamato – cito testualmente – «Pancho Sánchez» (!).
In realtà ciò che risulta difficile da comprendere, sia in Spagna che all’estero, è che le democrazie moderne non sono formate da territori né da clan etnicamente definiti, bensì da cittadini liberi e uguali. Per dirla in modo più provocatorio, dal punto di vista della sovranità democratica non esistono né la Catalogna né i catalani, né la Castiglia né i castigliani. Nessuno Stato democratico attuale è formato da frazioni territoriali che possano vantare diritti diversi da quelli degli altri cittadini. Se diciamo che tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di sesso, etnia, religione, preferenze sessuali o estetiche, eccetera, non è perché ignoriamo che esistano uomini e donne, neri e bianchi, credenti e atei, ma perché queste definizioni, per quanto rilevanti possano essere dal punto di vista personale, non condizionano l’identità politica dei soci di una democrazia, che si colloca su un altro piano ed è uguale per tutti. Lo stesso discorso vale per l’appartenenza a questo o a quel territorio per ragioni di nascita, domicilio o scelta culturale. Naturalmente ci saranno persone che, interrogate in proposito, si definiranno catalane, basche, andaluse o – è il caso più frequente – meticce. Ma così come non ammettiamo che su una serie di temi di interesse comune possano decidere solo i bianchi, le donne o i cattolici, allo stesso modo non possiamo ammettere che sulle questioni territoriali possano decidere soltanto i catalani o gli andalusi. Il diritto di decidere è dato dalla possibilità di partecipazione democratica concesso a tutti i cittadini, non è uno strumento messo in mano ad alcuni per impedire agli altri di partecipare.
Tutto questo non sembra così difficile da capire, a meno di non abbandonare il metodo razionale e di consegnarsi all’entusiasmo dei propri pregiudizi. Con questa logica, i razzisti negheranno il diritto di voto alle persone di colore «perché sono inferiori», i musulmani si opporranno al diritto di cittadinanza per i cristiani in quanto infedeli e i nazionalisti catalani priveranno il resto degli spagnoli del diritto di decidere in Catalogna perché si considerano proprietari esclusivi di una parte del Paese che appartiene a tutti. Né più né meno.
[Sulla stessa linea divulgativa e informativa si colloca il seguente articolo, in cui si illustra la situazione nei Paesi Baschi a vent’anni dalle mobilitazioni civili successive all’omicidio più emblematico commesso dall’ETA.]

Paesi Baschi ed Europa: la stessa battaglia

A metà luglio 2017 si sono compiuti vent’anni da due avvenimenti che nell’estate del 1997 scossero profondamente la Spagna. Il primo fu la liberazione, grazie a un’operazione coordinata dalla Guardia Civil, del funzionario dell’amministrazione penitenziaria, nonché militante del Partito Popolare (PP), José Antonio Ortega Lara, sequestrato e tenuto prigioniero dall’ETA per 532 giorni in un covo minuscolo, quasi completamente privo di ventilazione e di luce. In cambio della sua liberazione, i terroristi chiedevano il trasferimento dei detenuti appartenenti all’ETA in carceri basche come primo passo per una futura amnistia. Il governo spagnolo non cedette, e Ortega Lara, che i terroristi avevano ormai deciso di abbandonare al suo destino, fu ritrovato dalla Polizia quando stava quasi per morire d’inedia. Lo stesso giorno, i quattro sequestratori vennero arrestati.
La liberazione di Ortega Lara fu un duro colpo per ­l’ETA, visto che nessuno dei precedenti sequestri aveva avuto un esito così negativo per gli interessi dell’organizzazione criminale. Immediatamente, la banda progettò la sua vendetta, e pochi giorni più tardi venne sequestrato Miguel Ángel Blanco, 29 anni, consigliere comunale del PP presso la località di Ermua in provincia di Bilbao: una piccola enclave operaia popolata prevalentemente da immigrati (lo stesso Blanco apparteneva a una famiglia modesta). In quell’occasione, l’ETA lanciò un ultimatum di quarantotto ore per il riavvicinamento dei detenuti, minacciando di uccidere il consigliere nel caso in cui la richiesta non fosse stata accolta. Il governo, presieduto da José María Aznar, non cedette, e Miguel Ángel fu assassinato all’ora stabilita con due colpi di pistola alla nuca. Fu ritrovato ancora in vita, perché l’arma utilizzata era di piccolo calibro, così da prolungare la sua agonia: l’avevano fatto inginocchiare e gli avevano legato le mani dietro la schiena prima di sparargli. A quel punto accadde però una cosa che i terroristi non avevano previsto. Tutta la Spagna aveva passato due giorni col fiato sospeso, pregustando, per così dire, quella sorta di delitto al rallentatore. In occasione di altri attentati, tutto accadeva in fretta e la vittima appariva all’improvviso, senza una storia alle spalle, come una persona che fosse stata investita da un’auto o avesse subìto un incidente. Ma nel caso di Miguel Ángel Blanco avevamo avuto il tempo di conoscere la sua biografia, la sua famiglia, la lenta angoscia per la scadenza mortale che si avvicinava. Quello non era più un atto di guerra (o di guerriglia), ma un’esecuzione vera e propria, l’applicazione spietata di una condanna a morte come quelle che Franco aveva praticato fino a un mese e mezzo prima di morire. Molti di coloro che ancora conservavano un’immagine relativamente romantica dell’ETA, una via di mezzo tra Che Guevara e le lotte di liberazione anticoloniali, cominciarono a quel punto a vederla per quello che effettivamente era: un’organizzazione totalitaria disposta a imporre con la violenza il suo progetto xenofobo ed escludente, ostile a qualunque aspirazione di convivenza democratica. Fu allora, come dicevo, che accadde qualcosa di inatteso a cui avevamo ormai rinunciato ad assistere: elettori di tutti i partiti, cittadini di tutte le regioni della Spagna, scesero in piazza a migliaia per manifestare e gridare il loro «Basta ya», «Adesso basta», contro l’ETA e gli pseudoargomenti nazionalisti con cui giustificavano i loro crimini. Fu la più importante ribellione democratica mai avvenuta nel nostro Paese e una delle più significative dell’Europa occidentale nella seconda metà del XX secolo. Si parlò, in quella circostanza, di «spirito di Ermua», perché fu in quella località, di cui Blanco era consigliere, che ebbe inizio la grande protesta popolare, guidata dal sindaco socialista Carlos Totorika.
L’unità contro il terrorismo disgregante non durò molto. I nazionalisti baschi si spaventarono: anche se in generale non approvavano la violenza, erano convinti che una sconfitta militare e civile dell’ETA avrebbe nuociuto alla causa separatista che condividevano con gli assassini. Perciò, nell’anno in cui avvennero questi fatti, strinsero un accordo politico con Batasuna (il braccio politico dell’ETA) che escludeva tutti i partiti costituzionalisti – PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo) e PP – e coinvolgeva tutti i partiti, i sindacati, i movimenti civici di orientamento nazionalista. L’ETA continuò dunque a uccidere e a praticare estorsioni per molti altri anni, ma non si riprese del tutto dalla stoccata inflittale dallo «spirito di Ermua». Nacquero altri movimenti civici contro il terrorismo e il nazionalismo obbligatorio, socialisti e popolari firmarono a loro volta un patto antiterrorismo che mise fuorilegge Batasuna e si iniziò il cammino irreversibile che nel 2011 portò l’ETA a rinunciare alla lotta armata. La comparsa di una nuova forma di terrorismo – quello jihadista – contribuì inoltre a gettare nel discredito la violenza sovversiva.
Adesso, a vent’anni dal sequestro e dall’omicidio di Miguel Ángel Blanco, le commemorazioni in suo onore hanno mostrato quanto il Paese sia disunito su alcune questioni fondamentali. Molte amministrazioni comunali, a cominciare da quella di Madrid (di peggio ha fatto quella di Barcellona, che non si è neppure posta il problema), hanno rifiutato di rievocare l’anniversario adducendo il fallace argomento che «non volevano fare distinzioni tra le vittime, perché tutte dovevano essere trattate allo stesso modo». Dimenticavano che a fare una distinzione tra Blanco e le altre vittime era stata la stessa ETA, convertendo un omicidio in un’esecuzione e provocando così la mobilitazione dei cittadini spagnoli rimasti troppo a lungo passivi. Oggi, però, per molti esponenti del Partito Socialista, per non parlare di Podemos (questa pseudosinistra demagogica – o «populista», se preferite – si è sempre mostrata vicina agli eredi politici dell’ETA), celebrare la figura di Miguel Ángel Blanco avrebbe significato fare propaganda a favore del Partito Popolare, che disprezzano ben più dell’ETA. Come sono lontani i tempi in cui a rappresentare lo «spirito di Ermua» era un sindaco soc...

Indice dei contenuti

  1. Siete avvisati
  2. Contro il separatismo
  3. Stoccate
  4. Envoi
  5. Avvertenza