Presagi
C’era chi avvertiva nel temporale che si addensava in lontananza un presagio di burrasca e premeva perché ci si dirigesse verso un porto sicuro finché il mare era mosso ma ancora governabile. E c’era chi, effervescente per gli ideali – il socialismo, il sionismo, tutti e due insieme – che si aprivano non all’ebreo, più o meno devoto, ma all’uomo-ebreo e al compagno-ebreo, ricercava un’adesione alle vicende della vita che fosse scandita dalla naturale ed orgogliosa rivendicazione del proprio ruolo e diritto piuttosto che dal ritmo liturgico della preghiera e dal silenzio mimetico dell’attesa. Tra gli ebrei di Łódź, tuttavia, ancora una volta prevaleva la convinzione che se la corrente era troppo impetuosa per poterla risalire, la cosa più saggia da fare fosse abbandonarvisi e lasciarsi trasportare.
Le discussioni, nelle case di studio, nelle sinagoghe, nei circoli, nelle botteghe, si accendevano e infittivano improvvisamente, curiose e morbose, quasi compiaciute di potersi finalmente rivolgere a fenomeni sperimentati, conosciuti, familiari, rassicuranti nella loro perversa normalità, quando le notizie di boicottaggi, esclusione dagli impieghi statali, divieto per i medici ebrei di curare pazienti tedeschi, scuotevano il lento e regolare scorrere quotidiano, per poi spegnersi altrettanto improvvisamente. Si riaccendevano quando sulle loro braci soffiava il lontano sospiro di delusione e sorpresa degli ebrei tedeschi banditi dall’esercito e dalle professioni, ma senza mai assumere toni troppo vividi, infuocati, quasi si trattasse di una disputa talmudica, in cui ciò che conta è l’argomentazione migliore, la più convincente.
Così, mentre nella vicina Armageddon le forze del male avanzavano, trincea dopo trincea, e fortificavano le loro posizioni, non erano molti gli ebrei di Łódź a mostrare insofferenza per il fatalismo e la rassegnazione con cui ciò che avveniva in Germania, ennesimo straripamento di un fiume che scorre da tempo immemorabile ma nel cui alveo le acque sarebbero presto rifluite, veniva accolto e spiegato. Non che potessero presagire l’apocalisse che stava per scatenarsi, nessuno era in grado di immaginare l’inimmaginabile; questa insofferenza era più una faccenda domestica, interna, rivolta al cuore dello stesso mondo ebraico, una sfida che, traendo spunto dall’ennesima crisi, tendeva a mettere in evidenza la necessità di sperimentare nuove vie per rinnovare il patto con il Signore. Spesso era il risultato della naturale frattura generazionale, con i più giovani molto più disposti ad abbracciare quelle visioni che, promettendo di ripristinare la pari dignità del popolo ebraico nel consesso delle nazioni e di affermare la pari dignità dell’ebreo nel consesso umano sulla base di rinnovati rapporti economici e sociali, per i più vecchi rappresentavano una gracchiante interferenza nella frequenza da sempre usata per comunicare con Dio.
Queste inquietudini non potevano scuotere lo scorrere sereno della tua vita di adolescente fortunato e privilegiato. Protetto dalla solida corazza dei tuoi pochi anni, avvolto dall’abbraccio rassicurante dei tuoi familiari, il tuo mondo costituiva per te una certezza assoluta, inscalfibile, e nella tua giovanile inconsapevolezza non poteva esserci posto per presagi infausti, per grigi pensieri di un minaccioso prossimo futuro. Era sicuramente un bel modo di procedere verso l’epilogo, come chi ha la fortuna di lasciare questo mondo durante il sonno, anche se poi il risveglio sarebbe stato insopportabilmente incomprensibile.
Il ruolo che la tua immaturità ti assegnava e il futuro che la tua condizione prospettava erano quelli che ci si aspetta dal giovane rampollo di una illuminata, altoborghese famiglia ebraica nella Polonia degli anni Trenta: crescere nel rispetto della legge mosaica e nella curiosità ed apertura verso il mondo dei gentili, contribuire al progresso della comunità, accrescere il tuo patrimonio spirituale senza perdere di vista quello personale. Non era certo un gracile, estroverso, viziato adolescente ebreo di Łódź, innamorato della musica jazz e del cinema, a dover interpretare, come Giuseppe con il faraone, i segnali che si manifestavano sempre più minacciosi.
Il tuo mondo sarebbe stato sostanzialmente sicuro e inattaccabile fino all’ultimo momento; dopo, semplicemente, non sarebbe più esistito.
Per il momento, però, nel tuo mondo ti muovevi disinvolto, senza confini, amorevolmente accompagnato ed assistito. C’era posto per tutto perché tutto vi era compreso, in un sincretismo gentile che abbracciava le differenze, non le sovrapponeva. C’era posto per il sogno didascalicamente entusiasta del ritorno a Sion, come per l’entusiasmo sognante che scaturiva dall’ascolto delle imprese di Jesse Owens, che aveva umiliato Hitler e quindi doveva essere ebreo. Si estendeva dai banchi del mercato dove tu e tua madre vi recavate la vigilia del sabato per comprare il pesce con cui lei avrebbe preparato il «gefilte Fish» fino ai grattacieli di New York, raffigurati nelle riviste che tu sfogliavi avidamente perché era da lì che provenivano i tuoi eroi del cinema. Spaziava dalla sapienza antica assorbita nel «beit midrash», nella casa di studio e preghiera, alle meraviglie dell’Expò universale di Parigi di cui tuo padre parlava spesso e dove avrebbe voluto recarsi per visionare nuovi macchinari utili alla sua fabbrica.
Non potevi sapere che in quello stesso mondo verso cui ti aprivi con giovanile fiducia e curiosità, con la tranquillità e disinvoltura di chi non ha nulla da temere perché nulla c’è da temere, c’era chi stava tramando contro di te, chi, contro di te, covava nelle proprie viscere rabbia ed odio o, peggio, una fredda, mortale, aliena indifferenza.
Perché, per loro, tu non eri più semplicemente l’assassino di Cristo, il deicida, non eri più solo l’adepto di una setta che vuole imporre il proprio dominio sul mondo e che, a questo scopo, si è impadronita della finanza per diffondere ad ovest il virus del bolscevismo e ad est la peste del capitalismo, fino a rendere l’umanità debole e confusa, pronta per la predazione. Tutto ciò, per quanto altamente spiacevole, non escludeva tuttavia che tu facessi parte della famiglia umana, anche se della specie più abietta. Adesso si stava preparando qualcosa di fronte alla quale la saggezza dei padri risultava totalmente inadeguata; perché saggezza è l’uso accorto degli insegnamenti del passato ma stavolta non c’era alcuna esperienza per le conclusioni cui stava per giungere quella nuova, rivoluzionaria antropologia.
Tu, per loro, non eri un essere umano, eri un agente infestante la cui scomparsa sarebbe stata accolta con la stessa soddisfatta indifferenza con cui si accoglie una liberatoria derattizzazione.
Sangue ebraico era sempre scorso a fiumi, benefico salasso che serviva, quando necessario, ad eliminare dal corpo dell’umanità gli umori maligni diffusi dagli ebrei; adesso si voleva far scorrere tutto il sangue ebraico.
***
Mi raccontavi che da un giorno all’altro molti clienti della consistente comunità tedesca di Łódź segnalavano che un cambiamento stava avvenendo annullando gli ordini commissionati a tuo padre. Persone che per tanti anni avevano commerciato con la tua famiglia, instaurando rapporti che spesso riverberavano oltre la formale consuetudine imposta dagli affari comuni diventando vere e proprie frequentazioni amichevoli – quanti accordi conclusi a casa tua, quanti contratti siglati a tavola, quanti preventivi discussi e sigillati dal tintinnante incontro di bicchieri di vodka –, improvvisamente si negavano e rifiutavano ogni contatto; e se capitava di incontrarli per strada, rivolgevano altrove lo sguardo oppure indirizzavano occhiate severe ed accusatorie che ammonivano che gli inganni erano stati smascherati.
A casa tua catturavi frammenti di conversazioni che non avevano ancora molto senso per te e che parlavano di Norimberga, di leggi razziali, di discriminazione e proibizioni; e anche di questa nuova, strana, silenziosa estraneità che improvvisamente circondava gli ebrei di Łódź da parte dei loro vicini tedeschi. Molti di loro, la maggior parte, non si rivolgevano più a medici o artigiani ebrei, avevano smesso di frequentarne i negozi; non era aperta, manifesta ostilità, anzi, la comunità tedesca appariva silenziosa e discreta come non mai, quasi invisibile, tesa e concentrata in attesa di un segnale, come un atleta nei secondi che precedono l’inizio della gara. I tedeschi di Łódź si «ritraevano», come il mare che, dopo un terremoto sottomarino, si ritira nel più assoluto e ingannevole silenzio, prima che la furia devastante delle onde si abbatta sulla costa ignara.
Ai tuoi occhi di acerbo studente ebreo le tranquille e rassicuranti considerazioni di tuo padre che troppo rilevante e radicata era la presenza ebraica in Polonia perché vi si diffondesse il contagio tedesco, che troppi rappresentanti ebrei, anche di Łódź, sedevano sui banchi del parlamento e del senato perché qualsiasi tentativo di imporre anche in Polonia politiche discriminatorie potesse avere successo, evocavano la ragionevole e un po’ pavida prudenza di Flavio Giuseppe, mentre Elyezer e Leonid, con la loro dogmatica fermezza rivoluzionaria, ti facevano rivivere lo spirito che animava gli strenui difensori di Masada. Non percepivi minaccia in quel periodico agitarsi intorno a te, e se c’era ti veniva nascosta. Eri nato ed avevi vissuto i tuoi pochi anni in un presente pacifico e fortunato che, nell’ingannevole prospettiva temporale di un adolescente, sfumava in un passato lontano e si proiettava verso un futuro immutabile. Le vicissitudini del popolo ebraico avevano per te la plasticità del racconto, non la fissità dell’esperienza.
Łódź, tutta Łódź, non solo quella ebraica, era un immenso affresco in cui ogni singola scena aveva un colore e un senso differenti, una sua autonoma ragione e giustificazione ma, allo stesso tempo, combaciava perfettamente con tutto il resto, costituendo un unico armonico e continuo.
Ti apparteneva tanto il mondo caotico e polveroso che gravitava tra i mercati e le botteghe del vecchio quartiere ebraico, brulicante di un’umanità dignitosamente miserabile, fatta di pesanti scialli di lana e lunghe gonne informi, di pastrani neri troppo abbondanti, cappelli e lunghe, incolte barbe bianche, che sembrava scaturire direttamente dalle pagine di Sholem Aleichem, quanto le sobrie atmosfere cosmopolite che si respiravano in via Targowa o in via Główna, nella città nuova, con l’immancabile sosta al palazzo dei fratelli Lichtenberg, nei cui caffè polacchi ed ebrei traevano momenti di relax sfogliando riviste francesi e inglesi.
Il tuo territorio si espandeva di continuo e tu lo «marcavi» con il tuo giovanile entusiasmo. Scoprivi sorpreso i cortili bui e sporchi che si aprivano in via Nowomiejska, fitta di carrettini e botteghe da cui improbabili straccivendoli, fabbri, sarti cercavano di incoraggiare altrettanto improbabili acquirenti con il loro yiddish dall’inconfondibile accento galiziano. Ridevi però a crepapelle quando i tuoi genitori ti portavano alle rappresentazioni del teatro Ararat ed attori del calibro di Szima Dzigan e Izrael Shumacher, che si erano persino esibiti a Parigi alla presenza di Marc Chagall, riproducevano quegli stessi scorci di vita quotidiana, quegli stessi vicoli, quella stessa umanità arrancante sulla base di quello che probabilmente è il più tipico talento ebraico, l’autoironia.
Tutto, per te, aveva un suo ordine logico e preciso, persino le periodiche manifestazioni antisemite organizzate dai militanti del partito nazional-radicale, le cui spedizioni dimostrative all’interno del quartiere ebraico il più delle volte venivano bravamente respinte dai nerboruti ebrei lituani i cui muscoli erano allenati dall’attività di facchinaggio alla quale molti di loro, dopo l’insediamento a Łódź, si erano dedicati. Tanto che le corde che usavano per trasportare le casse e che indossavano attorcigliate alla vita senza toglierle mai, neanche in sinagoga, erano diventate un segno distintivo che accresceva il rispetto di cui godevano all’interno della comunità ebraica.
Niente per te era fuori posto. Il mite, placido, orizzontale agitarsi delle nere figure degli ebrei ortodossi si inseriva perfettamente nel paesaggio verticale delle grandi chiese e cattedrali e ne costituiva la nera, orizzontale, poco visibile punteggiatura in un discorso altrimenti privo di cadenza, non comprensibile.
Non era forse vero che tuo padre era stato un fermo sostenitore della decisione delle istituzioni ebraiche di partecipare, sotto forma di un rilevante contributo in denaro, al restauro di chiese e cattedrali, sigillo del nuovo spirito di conciliazione – o forse pegno di tolleranza – che improntava i rapporti tra comunità in passato separate da un muro di diffidenza, spesso sfociata in sanguinosi pogrom?
Non era forse vero che la comunità ebraica, in omaggio ai tempi nuovi che sembravano aprirsi, era stata l’ispiratrice di iniziative volte a promuovere il benessere di tutta la municipalità, come la costruzione di un ospedale e la creazione della croce r...