
- 96 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Pensare l'efficacia in Cina e in Occidente
Informazioni su questo libro
Un saggio brillante sull'immensa distanza tra il pensiero occidentale e quello cinese.Federico Rampini, "la Repubblica"
Napoleone e Sun Tzu, il razionalismo greco e l'oracolo cinese, plasmare le situazioni o adattarsi a esse, elaborare strategie o esercitare la sapienza del non agire. Occidentali e orientali misurano l'efficacia di un'azione secondo parametri radicalmente diversi. François Jullien sigla un volume colto e inusuale che attinge alle sorgenti dell'immaginario delle due culture e svela due opposti sguardi sul mondo.
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Pensare l'efficacia in Cina e in Occidente di François Jullien, Massimiliano Guareschi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Scienze sociali e Saggi di filosofia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
Argomento
Scienze socialiCategoria
Saggi di filosofiaVisto che ci troviamo alla fine dello stage, sarete probabilmente un po’ stanchi dopo tante lezioni. Le questioni che vorrei trattare, inoltre, non sono affatto facili da affrontare. Come è appena stato detto, provengo dalla filosofia, dunque dalla Grecia, ma ho fatto la scelta di passare per la Cina. Ed è proprio su un simile scarto che vorrei lavorare questa sera con voi, in quanto la Cina mi sembra essere la sola grande civiltà che si è sviluppata al di fuori del pensiero europeo. Al di fuori della nostra lingua, la grande lingua indoeuropea, e allo stesso tempo al di fuori della nostra storia, almeno fino a un’epoca relativamente recente, fino al xvii secolo e addirittura, di fatto, fino al xix secolo. Il vantaggio teorico di passare per la Cina è rappresentato dal fatto che essa offre un altrove distante dai nostri punti di riferimento. Se si cerca un’esteriorità della lingua, non la si potrà infatti trovare in India, visto che il sanscrito appartiene alla famiglia delle lingue indoeuropee. Allo stesso modo, se si cerca un’esteriorità nella storia, non la si potrà rintracciare nel mondo arabo o ebraico, legati da mille fili alla storia dell’Occidente. Per chi intenda uscire dal pensiero europeo, volgendosi tuttavia verso un mondo egualmente elaborato, civilizzato, testualizzato, come il nostro in Europa, non c’è che la Cina.
Un’alternativa nella cultura
Questo mi riconduce al pensiero di Pascal con cui vorrei iniziare il mio discorso, quando dice, per dimostrare l’eccellenza della religione cristiana: “Chi è più credibile, Mosè o la Cina?”. La forza di una simile formula a mio parere risiede nel fatto che essa si presenta nei termini di un’alternativa – questo o quello, un’alternativa fra due opzioni del pensiero, fra due mondi che si sono a lungo ignorati –, e nel fatto che questa stessa alternativa è del tutto asimmetrica. Da una parte Mosè, grande figura che simbolizza l’avventura religiosa dell’Europa attraverso il monoteismo, dall’altra non Confucio, Lao Tzu o qualsiasi altro pensatore cinese, ma “la Cina”, uno spazio di pensiero del quale Pascal, a quel tempo, ignora pressoché tutto tranne la forza di obiezione che essa costituisce di fronte al pensiero europeo. Quale dei due è più credibile, Mosè o la Cina? La formula è talmente forte che consultando l’edizione critica dei Pensieri si potrà notare come essa sia stata poi cancellata dal suo autore. Pascal la avanza e la ritrae. Perché, in pieno xvii secolo, dire “Chi è più credibile, Mosè o la Cina?” poteva risultare pericoloso. In ogni caso, quelle parole risuonano brucianti. Per quanto mi riguarda, trovo assai bella anche la formula che viene immediatamente dopo, mentre Pascal prosegue il suo dialogo con il Libertino: “‘Ma la Cina oscura’ dite voi, e io rispondo ‘La Cina oscura, ma vi si può trovare chiarezza – cercatela’”. Ma quale “chiarezza” ci può giungere dalla Cina? Eccoci così invitati a dissipare tutto ciò che può interporsi come uno schermo nebuloso fra il pensiero cinese e il nostro. È all’intelligenza che spetterà il compito di seguire, e organizzare logicamente, queste diramazioni del pensiero, sbarrando la strada a ogni esotismo. Su questo punto, il ragionamento sviluppato dai Pensieri si conclude con una formula a mio parere egualmente esemplare, per la sua capacità di stimolare la ricerca: “Bisogna considerare tutto ciò in dettaglio, bisogna mettere le carte sul tavolo”. Mettere le carte sul tavolo, ossia lavorare localmente, con pazienza, per tentare di stabilire un confronto faccia-a-faccia fra il pensiero cinese e quello europeo.
Lo sconvolgimento del pensiero
In effetti, se consideriamo bene cosa è stata la scoperta della Cina da parte dell’Europa a partire dai secoli xvi e xvii, possiamo comprendere lo stupore provato dagli intellettuali europei riguardo a quel lontano paese, conosciuto attraverso le informazioni provenienti dai rapporti delle missioni. In precedenza, Marco Polo si era senza dubbio spinto fino alla Cina, ma, avendo viaggiato per via di terra, non aveva potuto esperire quel senso di rottura fra civiltà che si prova quando si scopre bruscamente, da un giorno all’altro, la Cina, sbarcandovi dal mare. Riportiamoci dunque a quella storia dell’Europa rinascente, conquistatrice, che si imbarca sulle caravelle volgendosi in primo luogo verso il Nuovo mondo. Sappiamo che vi incontrerà un mondo vuoto, o che procederà a svuotare, un mondo che in ogni caso non le resiste. Al massimo, tale mondo potrà suggerirle il tema del “buon selvaggio”, nudo, che bisognerà vestire, e convertire. Si tratta di una figura che non suscita particolari inquietudini, al di là dell’ambivalenza con cui la si caratterizza: considerandolo prossimo allo stato di natura, il selvaggio viene disprezzato in quanto non ha avuto accesso al regno della civiltà, ma insieme ammirato poiché, non essendo ancora stato corrotto dai nostri costumi degenerati, preserva in sé il candore e l’innocenza dell’umanità. Non può risultare inquietante in quanto altro non fa che ricordarci ciò che eravamo anche noi agli inizi, quelli dell’infanzia dei popoli, riconducendoci ai nostri primordi. Tuttavia, subito dopo la conquista dell’America, le stesse navi, ossia in primo luogo i vascelli spagnoli e portoghesi, si volgono verso i porti della Cina del Sud. Ma lì, sbarcando a Canton, gli europei scopriranno un mondo pieno. Come noto, i missionari che sbarcano in Cina alla fine del xvi secolo dovranno imparare il cinese, rispettare i riti locali, onorare l’imperatore, studiare i classici, in breve saranno costretti a cinesizzarsi, a indossare abiti cinesi ecc. Giungeranno fino al punto di impartire lezioni di matematica all’imperatore o di tradurre gli Elementi di Euclide. Alla fine, però, il messaggio cristiano non riuscirà a suscitare particolari consensi. Il fatto è che i letterati cinesi non sembra siano rimasti particolarmente turbati da quanto apprendevano sull’Europa, mentre i grandi spiriti europei dell’epoca – lo abbiamo visto nel caso di Pascal – si dimostrarono inclini a rimanere stupiti, quando non sconvolti, dalla scoperta dell’esistenza di questo altro mondo, estraneo ai punti di riferimento europei e tuttavia sviluppato quanto il “nostro”.
Il primo testimone di una simile presa di coscienza è, a mio avviso, Montaigne che, nella terza versione dei Saggi, aggiunge la seguente frase, fra parentesi, che nella sua sintesi è più eloquente di qualsiasi lunga esposizione: “In Cina, regno del quale il governo e le arti, senza rapporto con le nostre e senza conoscenza di esse, superano in eccellenza i nostri esempi sotto diversi aspetti, e la cui storia m’insegna quanto il mondo sia più ampio e vario di quel che gli antichi e noi possiamo concepire [...]” (III, xiii, Dell’esperienza). Tale è dunque l’esteriorità della Cina, la cui civiltà ha attinto un grado comparabile al nostro, in Europa, ma che si è sviluppata in maniera indipendente da noi e, di conseguenza, indifferente a noi. Essa ci fa scoprire una possibilità di pensiero fuori quadro, ossia che non passa per la grande filiazione che alimenta il pensiero europeo e che questo considerava l’unica possibile: la sequenza che aveva inizio con Adamo, Noè e il diluvio, si estendeva attraverso la Mesopotamia e l’Egitto, convergeva sulla Grecia, si amplificava a Roma, per giungere fino a “noi”, il “noi” europeo.
Quando parlo di “esteriorità”, penso in primo luogo alle prime righe del grande libro di Michel Foucault Le parole e le cose, in cui si parla, a proposito di un testo di Borges, dell’“eterotopia” della Cina, da distinguere dalla sua utopia. Esiste, soprattutto in Francia, una tradizione utopica riguardo alla Cina, sviluppatasi soprattutto nel xviii secolo: basti pensare al “catechismo” cinese o, in tempi più recenti, al maoismo. Ma eterotopia significa tutt’altra cosa: non si fa riferimento a una terra più o meno immaginaria in cui sarebbe promessa la felicità, ma ci si limita semplicemente a riconoscere che il luogo è altro, che esiste un altrove del pensiero, e che questo altrove del pensiero fa reagire il nostro pensiero. Così accade per Montaigne, per Pascal. Si potrebbe citare anche Montesquieu che, al termine del primo libro dello Spirito delle leggi, dopo avere esposto il suo sistema di classificazione dei regimi politici, aggiunge: in realtà quanto apprendo della Cina rischia di fare crollare tutto ciò che ho appena costruito… Anche in questo caso, dunque, la Cina sarebbe fuori quadro, tanto da sconvolgere la distinzione fra i vari modi di governo stabilita da Montesquieu, nel solco di una tradizione, risalente fino a Platone, che è quella del pensiero politico europeo impegnato a riflettere sulle differenti forme politiche.
Montesquieu non mancherà ovviamente di rimettere in piedi il proprio sistema. Tuttavia non si può passare sotto silenzio una sua successiva annotazione, che io trovo stupefacente per acutezza. Si tratta anche qui di un’osservazione avanzata a titolo accessorio, ma, come noto, è spesso in incisi del genere che il pensiero, spiazzando gli effetti di sistema e la comodità che ne deriva, si apre spiragli e si spinge più avanti, si trova nelle condizioni più favorevoli per rischiare: “Ne consegue una cosa molto triste, ossia che è pressoché impossibile che il cristianesimo possa mai stabilirsi in Cina”. Ecco che all’improvviso Montesquieu si rende conto, agli inizi del xviii secolo, che la religione cristiana, la quale fino a quel momento rappresentava la verità per tutti, la Verità a vocazione universale, era in procinto di incontrare, in Cina, un punto di inciampo, o comunque di resistenza. La constatazione, tanto più notevole in quanto la Cina più di mille anni prima si era aperta al buddismo proveniente dall’India, sarebbe stata confermata dalla storia, in quanto la Cina non si sarebbe mai lasciata penetrare in profondità dal messaggio evangelico. Spero di avere il tempo oggi, prima di concludere, di indicarne, almeno brevemente, il perché. Per il momento, atteniamoci, in guisa di ouverture, alla stupita constatazione secondo la quale la Cina apre una diramazione del pensiero. Lo testimonia anche Leibniz, quando evoca quelle “genti di un altro globo”: “La loro lingua e il loro carattere, il loro modo di vivere, i loro artifici e i loro manufatti, i loro stessi giochi differiscono dai nostri quasi come fossero di genti appartenenti a un altro globo; a mio parere è impossibile che anche una nuda ed esatta descrizione di ciò che si pratica presso di loro non ci fornisca lumi molto notevoli e ben più utili a mio avviso della conoscenza dei riti e degli oggetti dei greci e dei romani a cui si applicano tanti eruditi”. Per me, che per formazione provengo dai greci e dai romani, in quelle parole risuona un avvertimento.
Riaprire altri possibili nel proprio spirito
Il mio lavoro, in effetti, procede in tale scia: venendo dalla Grecia, in quanto filosofo, e passando per la Cina, ho incontrato il punto di scarto, o di distacco, per rimettere in prospettiva il pensiero che ci appartiene, qui in Europa. Come noto, infatti, una delle cose più difficili da fare nella vita è di prendere le distanze nel proprio spirito. La Cina, appunto, ci permette di prendere le distanze dal pensiero da cui proveniamo, di rompere con le sue filiazioni, di interrogarlo dal di fuori. In altre parole, di interrogarlo nelle sue evidenze, in ciò che costituisce il suo impensato. Il passaggio per la Cina possiede a mio parere due funzioni, o si sviluppa in due direzioni: di deviazione e di ritorno. Primo momento: provare quello che può essere uno spaesamento del pensiero. Che cosa accade, in realtà, al pensiero quando si abbandona la storia della filosofia e, in particolare, i grandi filosofemi dell’Occidente: l’Essere, Dio, la Libertà ecc.? E, più ancora, quando si esce dalla grande lingua indoeuropea che li ha articolati? Quale sconvolgimento, improvvisamente, di colpo, li destabilizza? Ma la deviazione invoca un ritorno – anche se la deviazione non si esaurisce, visto che continuo a leggere testi cinesi – che consiste nel riposizionarsi sulla filosofia per interrogarla in ciò che essa non interroga, nel sondarla nei suoi partiti presi. Ciò significa tentare di chiarire di traverso, a partire dal fuori cinese, le scelte implicite, nascoste, che danno sostegno alla ragione europea e che, perciò stesso, quest’ultima non è in grado di interrogare. C’è infatti ciò che penso ma c’è anche ciò a partire da cui penso e che, quindi, non penso. La Cina ci fornisce così una sorta di punto di appoggio esterno, operante in maniera obliqua, per cercare di risalire nell’impensato del nostro pensiero, per ritornare su ciò che veicoliamo nel nostro spirito come qualcosa che va da sé, ma che una volta riscoperto a partire dal fuori cinese viene percepito sotto una diversa luce, stupefacente, affascinante, spingendoci nuovamente a pensare. Ormai lo avrete capito: non vado in Cina spinto dal fascino della distanza e dal piacere dell’esotismo, ma ricorro a essa come a un operatore (e rivelatore) teorico allo scopo di inquietare il pensiero, di riaprire altri possibili nel nostro spirito e, di conseguenza, per rilanciare la filosofia.
Per essere efficaci: modellizzare
Fatto questo preambolo, e chiarita così la prospettiva in cui mi muovo, mi soffermerò stasera specificamente su una questione, le cui ricadute penso vi riguardino da vicino, in quanto impegnati in funzioni di gestione aziendale e management: la questione dell’efficacia. Per cogliere come i greci (e noi per eredità) da una parte, i cinesi dall’altra abbiano potuto concepire in maniera differente ciò che in prima istanza definirei, in termini comuni, l’efficacia o la strategia. Trattandosi di un punto sul quale il faccia-a-faccia fra le due culture può essere stabilito con facilità, le due concezioni dell’efficacia, greca e cinese, possono scrutarsi e illuminarsi a vicenda, o in altri termini riflettersi l’una nell’altra. A mio parere, la modalità greca di concepire l’efficacia può essere così riassunta: per essere efficace, io costruisco una forma modello, ideale, di cui traccio un piano e che mi pongo come obiettivo; poi inizio ad agire in base al piano e in funzione dell’obiettivo. Si ha, quindi, prima la modellizzazione, la quale poi invoca la propria applicazio...
Indice dei contenuti
- Avvertenza
- Pensare l’efficacia in Cina e in Occidente