L'Italia nel mondo contemporaneo
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L'Italia nel mondo contemporaneo

Sei lezioni di storia 1943-2018

  1. 176 pagine
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L'Italia nel mondo contemporaneo

Sei lezioni di storia 1943-2018

Informazioni su questo libro

La storia d'Italia è stata sempre immersa nella storia del mondo. Ma dalla fine della seconda guerra mondiale la sua storia è assolutamente incomprensibile se perdiamo di vista la dimensione internazionale e la analizziamo come una vicenda tutta interna. L'Italia ha saputo superare i traumi di una dittatura e di una disfatta proprio in quanto si è trovata a essere una frontiera della Guerra fredda. In vent'anni il paese è diventato uno dei più sviluppati al mondo e si è costituita una democrazia con una Costituzione molto avanzata. Negli anni '60 e '70 la strada delle riforme, del superamento degli squilibri interni e di una relativa autonomia nazionale incontrerà potenti ostacoli all'interno del paese e da parte delle potenze straniere. E verrà la stagione drammatica delle stragi e dei terrorismi. Il processo di globalizzazione successivo vede l'Italia restare ai margini della nuova fase storica. Mentre si assiste all'ascesa irresistibile delle potenze asiatiche e si completa la rivoluzione informatica e finanziaria, la Penisola affronta un trentennio di lungo declino economico e sociale e il conseguente deperimento delle pratiche democratiche. Sei lezioni che ci restituiscono una sintesi efficace della storia d'Italia. La testimonianza militante di un grande intellettuale sull'importanza della riflessione storica per comprendere il presente e restituire prospettiva al futuro.

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Informazioni

eBook ISBN
9788858138946
Argomento
Storia

1.
Il crollo del Regno d’Italia
e la Repubblica (1943-1949)

La nascita dell’Italia contemporanea avviene sotto il segno di una tragedia in tre atti: la disfatta nazionale nella guerra mondiale, l’occupazione di due eserciti stranieri in conflitto, la guerra civile. L’Italia rischia di tornare a essere soltanto «un’espressione geografica», come un secolo prima. Ma rie­sce a trovare la forza di reagire e rinascere in una forma nuova, come un’araba fenice dalle fiamme.
Mussolini, nel giugno 1940, contro il parere di generali e gerarchi fascisti, aveva deciso di portare l’Italia in una guerra che pareva già vinta dalla Germania per partecipare, come disse, alla «spartizione del bottino». Ma già alla fine del 1940, dopo le pesanti sconfitte in Grecia e in Africa, il capo del servizio segreto aveva fatto pervenire al re «un quadro veramente catastrofico della situazione politica e militare dell’Italia».
La crisi del regime fascista divenne irreparabile tra l’autunno del 1942 e l’inverno del 1943, quando le sorti della guerra mutarono decisamente a sfavore dell’Asse in seguito alla sconfitta italiana a El Alamein, allo sbarco anglo-americano in Marocco e Algeria e soprattutto dopo la controffensiva sovietica, che sbaragliò le armate tedesche a Stalingrado. Negli stessi mesi gli intensi bombardamenti alleati delle principali città e dei centri industriali fiaccavano definitivamente la resistenza, già duramente provata, della popolazione italiana.
Contemporaneamente andavano prendendo le distanze dal fascismo il Vaticano e la Chiesa italiana, che dal Concordato del 1929 avevano contribuito al consolidamento del consenso al regime e insieme avevano esteso la propria influenza nella società italiana. Lo sbarco alleato in Sicilia nel giugno 1943 segnò il destino del regime, che crollò il 25 luglio in seguito alla sfiducia dichiarata dal Gran Consiglio del fascismo e all’arresto di Mussolini deciso dal re Vittorio Emanuele III in accordo con le gerarchie militari.
Intanto gli Alleati proseguivano i bombardamenti, mentre le divisioni tedesche scendevano rapidamente a presidiare il territorio italiano. Il governo presieduto dal maresciallo Badoglio avviava trattative segrete con gli anglo-americani per definire l’uscita dell’Italia dal conflitto mondiale. L’8 settembre 1943 veniva annunciato l’armistizio tra gli Alleati e l’Italia, che accettava le dure imposizioni di una resa incondizionata.
Al mattino del 9 settembre la famiglia reale, Badoglio, alcuni ministri e gli alti comandi militari abbandonarono Roma nelle mani dei tedeschi e si rifugiarono a Brindisi, che insieme a Bari, Lecce e Taranto erano le uniche province amministrate dal governo Badoglio sotto il controllo alleato. Tutto il resto del Sud e la Sicilia saranno amministrati direttamente dal governo militare alleato fino al febbraio 1944, quando sarà trasferita a Salerno la capitale del cosiddetto Regno del Sud, che resterà comunque sottoposto al potere della Commissione di controllo alleata.
È la disfatta del paese, la perdita dell’indipendenza, della sovranità nazionale, dell’unità dello Stato. L’esercito, in Italia e all’estero, è abbandonato senza ordini dagli alti comandi in fuga per una ignominiosa salvezza personale. E scompare negli scontri con l’alleato divenuto nemico, nelle deportazioni, nelle prigionie,
L’Italia non è solo un paese sconfitto: è una potenza arresasi senza condizioni, che sarà privata della sovranità nazionale per quattro anni, dal 1943 al 1947. È ora che l’antifascismo acquista forza e diffusione più ampie, si estende da esigui gruppi politici e intellettuali a più larghi strati sociali. Ha differenti colori e diversi riferimenti tra gli intellettuali politici esiliati o incarcerati. Ma è anche la scelta nuova di chi ha conosciuto soltanto la dittatura fascista e ora, nel generale sfacelo, cerca faticosamente la strada della dignità e della libertà.
Ha perciò un grande rilievo, simbolico e pratico, la formazione, ad opera delle forze politiche antifasciste, del Comitato di liberazione nazionale (Cln) il 10 settembre, nella Roma occupata dai tedeschi. Gli italiani sono chiamati alla lotta e alla resistenza contro il nazismo e il fascismo dai partiti che formano il Cln (Democrazia cristiana, Partito socialista di unità proletaria, Partito comunista italiano, Partito liberale italiano, Partito d’Azione, Democrazia del lavoro). A ottobre, quel che resta dell’Italia dichiarerà guerra alla Germania e otterrà dagli Alleati il riconoscimento di Stato «cobelligerante».
La Germania procederà quindi alla costituzione della Repubblica Sociale Italiana (Rsi), sotto la direzione formale di Mussolini, ma dopo aver annesso direttamente al Reich l’Alto Adige, il Friuli, la Venezia Giulia, l’Istria e la Dalmazia. L’Italia del Centro-Nord è sotto il dominio dell’esercito tedesco. Lo Stato nazionale italiano, costituito nelle lotte del Risorgimento, è dissolto.
L’Italia contemporanea definirà le nuove forme istituzionali e i rapporti politico-sociali dentro un quadro internazionale differente dal passato e ormai dominato dalle due potenze continentali: Stati Uniti e Unione Sovietica. Questo nuovo assetto del mondo, che si prepara nell’ultimo biennio di guerra, porrà subito vincoli molto stretti alle forze politiche che si organizzano in Italia dopo la ventennale esperienza di un regime dittatoriale. La guerra intanto continua e diventa anche guerra civile tra italiani di opposte tendenze politiche, schierati da una delle due parti dei blocchi armati in conflitto.
L’unità antifascista dei Comitati di liberazione nazionale si scontra con le differenti prospettive circa la nuova forma di nazione da costruire. La posizione più radicale è espressa dagli intellettuali-politici del Partito d’Azione, che riprendono questo nome dalle lotte risorgimentali e intendono costruire una nazione nuova e distante dalla tradizione italiana trasformista e opportunista, amante della mediazione e del quieto vivere e che rifugge le responsabilità individuali e collettive.
È la critica espressa nettamente da Ernesto Rossi nel suo Elogio della galera sulle «caratteristiche di un popolo abituato per secoli a liberarsi col confessionale d’ogni preoccupazione sulla valutazione dei problemi morali, ed a rinunciare nelle mani dei dominatori stranieri a ogni dignità di vita sociale».
È il tentativo di rilanciare la sconfitta tradizione repubblicana e democratica del Risorgimento di Mazzini e Cattaneo, collegata all’antifascismo etico e alla rivoluzione liberalsocialista di Piero Gobetti e di Carlo Rosselli. È la prospettiva di una rivoluzione democratica italiana, fondata sull’attivazione dei ceti medi e inserita in un processo di costruzione di una federazione europea, oltre i confini nazionali e le devastazioni nazionalistiche. L’intransigenza etica di questo programma non era fatta per la maggioranza degli italiani, che aveva condiviso il fascismo o vi aveva convissuto, che era stremata da una guerra perduta e nemmeno intendeva il senso di una scelta così radicale.
Del tutto contrapposte erano l’interpretazione della storia italiana e la connessa prospettiva politica indicata dalla tradizione intellettuale e politica liberale. La sostanziale rimozione del fascismo, ridotto a incomprensibile parentesi, e il semplice ripristino delle forme politiche e istituzionali dell’Italia liberale erano alla base della proposta di Benedetto Croce e dei principali esponenti della tradizione politica prevalente fino al primo dopoguerra. Questo ritorno al passato era però precluso da tre novità di rilievo: la prima integrazione delle masse nello Stato realizzata dal fascismo, seppure nella forma parziale di un’adesione passiva; il ruolo centrale conquistato dalla Chiesa nella nazione e nello Stato italiano grazie alla Conciliazione col regime fascista; le nuove forme di intervento dello Stato nell’economia, definite anche in Italia dopo la crisi del 1929.
Il mondo cattolico aveva aderito alla comunità nazionale negli anni Trenta in forme più intense di quanto non fosse accaduto prima della Conciliazione. Caduto il fascismo, esso era attraversato da profonde divisioni: c’era chi pensava all’instaurazione di un regime autoritario sul modello spagnolo-franchista o portoghese-salazariano e chi si schierava decisamente sul fronte dell’antifascismo militante. Tra queste posizioni estreme oscillavano i ceti che avevano sostenuto o convissuto con un regime sorretto da entrambi i pilastri dell’ordine costituito in Italia: la monarchia e la Chiesa.
Nella dissoluzione dello Stato nazionale, alla fuga del re si era contrapposta, anche simbolicamente, l’attiva presenza di papa Pio XII, tornato a essere defensor urbis nel luglio ’43, dopo il bombardamento americano a San Lorenzo. La Chiesa diventava il punto di riferimento dei tanti che vedevano crollare i simboli di un ordine nel quale si erano riconosciuti e cercavano un punto d’appoggio solido per ritrovare un’identità personale e politica. Ora la scelta decisiva – come sempre e dovunque – era tra rinnovamento e conservazione. Fra le diverse possibilità, che non escludevano al principio la diffusione dei cattolici nei vari partiti anche per il timore di un risorgente anticlericalismo, si andò rafforzando la proposta di un partito unico, che prese la forma della Democrazia cristiana e riunì gli esponenti del vecchio Partito popolare, del sindacalismo bianco, di altri movimenti antifascisti e di personalità formatesi nell’Azione cattolica.
La pregiudiziale antifascista veniva affermata nei primi progetti costitutivi del nuovo partito. Tuttavia, nel difficile percorso dei cattolici verso l’organizzazione politica e la democrazia, apparivano le distinzioni tra comandanti partigiani come Giuseppe Dossetti, che legavano la lotta nella Resistenza alla costruzione di un nuovo Stato democratico, e politici lungimiranti come Alcide De Gasperi, che nel 1944 considerava l’antifascismo soltanto un «fenomeno politico contingente», espresso dalle necessità della guerra e della liberazione nazionale.
L’antifascismo e il classismo di ispirazione marxista erano invece i fondamenti della prospettiva politica dei comunisti e dei socialisti. Tra l’autunno del ’43 e la primavera del ’44 Psiup, Pci, Partito d’Azione e Partito repubblicano (rimasto fuori dal Cln proprio per questa ragione) tengono ferma la pregiudiziale istituzionale di fronte al re, che aveva condiviso ogni decisione del regime, e rifiutano perciò di partecipare al governo Badoglio, altro corresponsabile del regime. Ma la Gran Bretagna e gli Stati Uniti mantengono la fiducia al governo regio, anche per la sua estrema debolezza di fronte alle pesanti condizioni di pace che gli Alleati intendono imporre all’Italia. L’Unione Sovietica è favorevole a coinvolgere il governo regio nella guerra al nazifascismo.
Si può fissare nell’autunno del ’43 l’inizio del nuovo periodo che condurrà l’Italia verso la democrazia repubblicana. Ma è pur vero che l’Italia, dalla resa incondizionata del 1943 al trattato di pace del 1947, resta per le potenze vincitrici un paese sconfitto, privato della sovranità nazionale. La Resistenza, che combatté il fascismo e il nazismo, avviò una nuova solidarietà nazionale di differenti forze sociali e politiche nel segno dell’antifascismo. Tuttavia le potenze alleate la considerarono di scarsa importanza sul terreno militare. Sul piano politico, invece, la Gran Bretagna e poi gli Stati Uniti furono sempre più preoccupati da una Resistenza italiana che ritenevano troppo caratterizzata dai colori del comunismo, del socialismo classista e anche del radicalismo azionista.
Nel marzo 1944 l’Unione Sovietica riconosceva il Regno del Sud e favoriva la formazione di un governo italiano di unità nazionale antifascista con la partecipazione del Pci. Togliatti, già dirigente autorevole dell’Internazionale comunista, torna da Mosca in Italia e, in pieno accordo con Stalin, annuncia a Napoli la nuova strategia di unità nazionale antifascista, che supera la pregiudiziale istituzionale nonostante i dubbi espressi da socialisti e azionisti. Il Partito comunista d’Italia sezione dell’Internazionale comunista diventa il Partito comunista italiano e si trasforma da partito di quadri rivoluzionari in partito di massa, sempre più incardinato nella storia e nella prospettiva democratica della nazione italiana. Resta comunque schierato dalla parte dell’Unione Sovietica di Stalin e questo presto bloccherà l’esperienza di governo del «partito nuovo» e la prospettiva della «democrazia progressiva».
È la cosiddetta «svolta di Salerno». Nella nuova capitale del Regno del Sud opererà ad aprile il secondo governo Badoglio, con i rappresentanti dei partiti antifascisti: il liberale Croce, il comunista Togliatti, il democristiano Rodinò, il socialista Mancini, l’azionista Omodeo, il repubblicano Sforza. Il 4 giugno 1944 finalmente Roma veniva liberata dagli eserciti alleati e Vittorio Emanuele III, pur senza abdicare, nominava il figlio Umberto luogotenente di un regno sulla cui persistenza o meno avrebbe deciso il popolo italiano alla fine della guerra.
Il governo era espresso ora dall’iniziativa dei partiti antifascisti. Presidente del Consiglio era nominato Ivanoe Bonomi, già a capo del Cln, vecchio esponente del socialriformismo e dei governi dell’età liberale. Diventavano ministri il democristiano De Gasperi e il socialista Saragat. Nell’estate 1944 la guerra volgeva decisamente a vantaggio degli Alleati, con lo sbarco in Normandia e l’avanzata dell’Armata rossa nell’Europa orientale. Nell’Italia occupata dai tedeschi le brigate partigiane operavano sotto la direzione del Comitato di liberazione dell’Alta Italia (Clnai).
Nel Centro-Sud il governo Bonomi, col decreto luogotenenziale del 25 giugno 1944, fissava le linee di un ordinamento provvisorio dello Stato che sarebbe durato fino al 2 giugno 1946. La scelta fra monarchia e repubblica veniva affidata a un’assemblea costituente. I poteri politici di rappresentanza e di governo erano attribuiti ai sei partiti di governo, per cui si parlò polemicamente di «esarchia».
La nuova forma di democrazia politica si sviluppa mentre è ancora in corso la guerra, insieme di liberazione e civile, in un paese attraversato da profonde divisioni: territoriali, politiche, sociali. La frattura più lacerante oppone ora la lotta partigiana per la liberazione e il rinnovamento politico e sociale al riemergere delle posizioni di sostanziale indifferenza politica che avevano già favorito la larga adesione al regime fascista. Le divisioni attraversano il corpo della società italiana ancora prima di rapportarsi a differenti esperienze politiche e ideologiche sul terreno internazionale.
Su questa realtà profondamente contraddittoria calò la legislazione emanata nel luglio 1944 per le sanzioni al fascismo e l’epurazione, che però si fondava su una contraddizione insanabile. Il nuovo Stato non nasceva da una rottura rivoluzionaria rispetto a quello precedente. Era impossibile distinguere i legami col fascismo dalla fedeltà allo Stato monarchico, il cui ordinamento era tuttora vigente. Oltre al re e a Badoglio, gli alti gradi delle amministrazioni giudiziarie, civili, militari risultarono intoccabili. L’epurazione colpì solo respon...

Indice dei contenuti

  1. 1. Il crollo del Regno d’Italia e la Repubblica (1943-1949)
  2. 2. Lo sviluppo al tempo della Guerra fredda (1950-1961)
  3. 3. Dal caso Mattei al caso Moro (1962-1978)
  4. 4.Quando l’Italia non è più una frontiera (1979-1993)
  5. 5. Tigri d’Oriente e declino italiano (1994-2007)
  6. 6. Il capitalismo casinò e la crisi della democrazia (2008-2018)
  7. Bibliografia essenziale