"È l'Europa che ce lo chiede!" Falso!
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"È l'Europa che ce lo chiede!" Falso!

  1. 90 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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"È l'Europa che ce lo chiede!" Falso!

Informazioni su questo libro

Aumenta il profitto di pochi e si riduce il reddito di molti.Il dogma qual è?Che il profitto non si tocca, è sacro, così come è diventato sacro lo strapotere bancario e speculativo. Non c'è quasi più bisogno di contese elettorali.È qui la lezione amara. È qui che l''europeismo' d'accatto perde la maschera.

Domande frequenti

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Informazioni

Argomento
Economia

1. Fine senza gloria della religione «bipolare»

Siamo spettatori di un paradosso. Il paradosso è che, al termine di un ventennio consacrato, con regolari vampate salmodianti, al culto del «bipolarismo», i medesimi idolatri siano ora passati, con analoga foga, al culto della «coesione». Il nuovo dogma è: fare «tutti insieme» le “cose che contano”, le fondamentali sulle quali è «ovvio» che «siamo tutti d’accordo». Buono a sapersi. Evidentemente il bipolarismo serviva a non farle, le “cose che contano”.
La religione del bipolarismo può comunque vantare alcuni bei successi: non solo ha distrutto la cosiddetta “Prima Repubblica” ma ha ridotto la sinistra alla caricatura di se stessa, ad una macchietta speculare della destra, protesa a «contendere il centro alla destra» con le stesse “armi” lessicali e concettuali dell’antagonista. Inglobata nella pulsione bipolaristica, la sinistra è diventata infatti, via via, sempre meno sinistra.
Dovendo fare insieme le “cose che contano” – cioè far deglutire ai gruppi sociali più deboli una cura da cavallo a botte di tassazione indiretta – centro-destra e centro-sinistra archiviano il bipolarismo. E lo archiviano per un periodo lunghissimo visto che la cura da cavallo è programmata per il prossimo ventennio se vuole risultare «efficace». (E non sarebbe male cercare di chiarire cosa s’intenda per “efficacia”.)
Il processo è stato abbastanza lineare:
1) si abroga il principio proporzionale e si innesca il maggioritario (più o meno totale) in omaggio alla religione idolatrica del bipolarismo;
2) bipolarismo significa necessariamente penalizzazione delle ali dette pomposamente “estreme” e convergenza al centro dei due «poli»;
3) il perseguimento di tale “conquista” ha come effetto la crescente rassomiglianza tra i due poli, i quali infatti rinunciano ben presto a chiamarsi destra e sinistra, e adottano una formula (centro-destra versus centro-sinistra) che almeno per il 50% ribadisce la coincidenza, se non identità, dei due cosiddetti «poli»;
4) quando questo processo è finalmente compiuto, si constata che la “via d’uscita” dal grave momento nazionale e mondiale è la «coesione»;
5) a quel punto l’idolatrato bipolarismo non solo boccheggia ma viene senz’altro archiviato, e l’operazione appare agevole (o almeno fattibile) perché la marcia dei poli verso il centro ha dato finalmente i suoi frutti, e infatti – come ci viene ripetuto – sulle “cose fondamentali” si deve andar tutti d’accordo!
6) a questo punto i teorici del “superamento” della distinzione destra/sinistra in quanto concetti obsoleti possono esultare. E difatti esultano. È impressionante che, in Italia, inconsapevoli della gaffe lessicale, alcuni si dispongano addirittura a dar vita ad un «Partito della Nazione» (il partito fascista si chiamò per l’appunto «nazionale», e «nazionali» erano detti i seguaci di Franco, mentre «socialista-nazionale» era il partito del «Führer»);
7) l’effetto della progressiva assimilazione tra i due poli culminata nella «coesione» è il non-voto di coloro che non si riconoscono nella melassa. Ma questo non preoccupa l’ormai «coesa» élite, passata giocosamente attraverso la dedizione ad entrambe le ideologie (bipolarismo prima e coesione poi). Anzi, si gioisce ulteriormente perché si può sperare, procedendo per questa strada, di raggiungere i record delle cosiddette “grandi democrazie” dove – come negli usa – vota meno della metà degli aventi diritto. Anzi i più sfacciati dicono che il fenomeno del non-voto è un segno di maturità della democrazia.

2. Il partito della nazione

Un «partito della nazione» lo aveva abbozzato, in certo senso, già Ciampi al tempo della sua presidenza. Alla base di una tale costruzione, descritta come «patriottismo repubblicano», c’erano molto Risorgimento e, in dosi minori, un po’ di Resistenza, resa però il più possibile apartitica, così come già era stato sterilizzato – da una lunga tradizione parascientifica – il Risorgimento, impastato in un’unica “polpetta”, e trasformato in moto corale armonico e univoco (l’esatto contrario di ciò che era stato nella realtà).
Ma il progetto naufragò, perché non era facile replicare sulla Resistenza la stessa operazione. La vicenda della guerra civile italiana, nel corso della quale si era sviluppato il movimento di liberazione, non poteva essere sterilizzata agevolmente. Bisognava rimuoverne la componente comunista, innegabilmente maggioritaria. Con schietto entusiasmo, uno studioso italiano che appare oggi incerto sull’orientamento da adottare, parlò – in un saggio dell’ormai lontano 1976 – di «epopea» comunista nella Resistenza italiana1 (ed europea). Né era facile, sol perché nell’89-’91 era crollato il “socialismo reale”, far svanire nel nulla tale epopea, così determinante per la vittoria del côté antifascista nella guerra civile italiana. Per altro verso il crollo del “socialismo reale” incoraggiava la sub-storiografia alla Montanelli-Pansa, intenta a fare della Resistenza, con un notevole successo editoriale, un bersaglio costante ed un costante oggetto di discredito.
In conseguenza di ciò, più che sterilizzarla, si provvide ad espungere la Resistenza dal codice genetico di un possibile “partito della nazione”: tanto più che, nel frattempo, il centro-destra, insediatosi saldamente al potere grazie alle infami leggi elettorali di tipo maggioritario, provvedeva a ricollocare in una luce positiva larghe fette dell’esperienza fascista. E il fascismo come tale riprendeva comunque quota – nella frastornata coscienza diffusa – per il fatto stesso di essere stato l’antagonista più coerente del comunismo, che ideologi colti e meno colti si affannavano, per intanto, a descrivere come il vero male assoluto del secolo.
A questo punto il basamento ideale di un auspicato “partito della nazione” («patriottismo repubblicano» già diventava qualcosa di troppo sbilanciato a sinistra) si riduceva a quasi nulla. Oltretutto, nel frattempo, anche il Risorgimento veniva preso a spallate e fatto oggetto di scherno da parte del pilastro politico che ha consentito, per anni e anni, al centro-destra di governare, e cioè la Lega Nord; il cui leader carismatico incitava, in pubblici comizi, ad adoperare la bandiera nazionale come risorsa d’emergenza per l’igiene intima.
Venuti meno entrambi gli ingredienti, la destra non leghista si appagava della genericissima qualifica di “liberale” e il centro-sinistra adottava come propria qualifica fondante “l’Europa” (assunta quasi come un valore in sé!). E poiché sia gli uni che gli altri pretendevano a spada tratta di non essere né illiberali né anti-europei, ne scaturiva che una qualche significativa e qualificante distinzione tra i due gruppi cominciava a diventare problematica (fatta eccezione, beninteso, per il diverso modo degli uni e degli altri di impiegare il tempo libero e soprattutto le serate).
1 E. Galli della Loggia, Ideologie, classi e costume, in L’Italia contemporanea. 1945-1975, a cura di V. Castronovo, Einaudi, Torino 1976, p. 391.

3. Sinistra, destra, centro

Questo snodarsi di successivi passaggi e dei relativi pseudoconcetti si è manifestato da ultimo, in un crescendo particolarmente incalzante, nel nostro paese. È da noi che la logica aristotelica ha subìto un serio scacco. Da noi A = non-A.
Ma è forse soltanto un temporaneo offuscamento della ragione? Agevolato dal “gioco delle tre carte” delle leggi elettorali di tipo maggioritario, che ha fatto scomparire dalla vista interi partiti e gruppi di partiti? Certo, da quando una terapia d’urto ha reso le cosiddette “estreme” semplici portatrici d’acqua in favore dei due semi-centri (il centro-destra e il centro-sinistra), destra e sinistra paiono svanite nel nulla, e le due parole come tali son divenute quasi impronunciabili. Ma si può ritenere che davvero destra e sinistra non esistano più? Non sarà, invece, la loro scomparsa piuttosto un fenomeno inerente alla società politica che non alla realtà? Uno sguardo retrospettivo può risultare giovevole.
Come si sa, gli antichi “parlamenti”, quelli ad esempio dell’ancien régime, composti di notabili e magistrati, non conoscevano distinzioni tra destra e sinistra. È con le tre assemblee della prima fase della Rivoluzione francese – la Costituente, la Legislativa e la Convenzione – che filomonarchici e moderati prendono posto alla destra del presidente e gli altri, di opposto orientamento, alla sinistra. Nougaret, nei suoi Aneddoti del regno di Luigi XVI, ci scherza su: «O per effetto del caso – scrive – o forse perché l’ide...

Indice dei contenuti

  1. Premessa Chi ci ridusse a tale?
  2. 1. Fine senza gloria della religione «bipolare»
  3. 2. Il partito della nazione
  4. 3. Sinistra, destra, centro
  5. 4. Bando alle «ideologie»!
  6. 5. Il partito unico articolato
  7. 6. «Fare l’Europa»: il commissariamento progressivo
  8. 7. Come uscire vivi dalla morsa
  9. 8. La delinquenza bancaria
  10. 9. Gli esecutori costosi
  11. 10. Il falso bersaglio
  12. 11. Il ritorno della schiavitù
  13. 12. Il profitto non è l’approdo della storia umana
  14. 13. «Omnia orta occidunt»
  15. 14. La marcia indietro