1.
Bravi da scoprire
Quali sono gli esiti scolastici degli alunni con cittadinanza non italiana? Quali le traiettorie formative, gli ostacoli, i successi nel confronto con gli alunni italiani? Ci sono progressi, e se sì, come vengono raccontati? E come sta andando in generale l’integrazione a scuola? Troppo spesso gli alunni e gli studenti stranieri vengono rappresentati come una componente debole, fragile, bisognosa di aiuto. Naturalmente ciò in parte è vero, e le politiche scolastiche, le scuole, i dirigenti scolastici, gli insegnanti devono intervenire con misure adeguate. Ma c’è anche un altro aspetto, poco considerato, non valorizzato, ed è quello degli apporti – o dei possibili apporti – dei ragazzi stranieri e delle loro famiglie: hanno una competenza plurilingue, sono più bravi in inglese, dicono i dati dell’Istituto nazionale di valutazione (Invalsi), e alcuni gruppi di immigrazione hanno un impegno e un’aspettativa verso l’istruzione che i nostri studenti e le famiglie italiane non hanno più. Nell’indagine nazionale Istat, L’integrazione scolastica e sociale delle seconde generazioni (2015), veniva rilevato questo aspetto: «Le relazioni degli alunni stranieri con gli insegnanti sono migliori di quelle degli alunni italiani, in particolare nelle scuole superiori. Anche il rapporto con lo studio sembra nel complesso migliore di quello degli italiani».
Ci sono anche altri dati utili: nell’anno scolastico 2017/2018 sono state «scattate» tre fotografie a livello nazionale su questi temi. La prima, in ordine temporale, è l’indagine del ministero dell’Istruzione La dispersione scolastica, a.s. 2015/2016 e nel passaggio 2016/2017 (novembre 2017). Un’indagine generale su tutta la popolazione scolastica dalla quale si evince che la dispersione scolastica è diminuita negli ultimi dieci anni, passando dal 20,8% del 2006 al 13,8% del 2016. Percentuale che tuttavia è ancora lontana dall’obiettivo di Europa 2020, ovvero il raggiungimento del livello del 10%. Dall’indagine emergono alcune questioni:
1) un divario significativo tra scuole del Nord e del Sud del paese: la dispersione scolastica è molto più forte in Sicilia, Calabria, Campania, Sardegna;
2) la dispersione scolastica si evidenzia in particolare nel passaggio tra la scuola secondaria di primo grado e quella di secondo grado;
3) una differenza di genere: è più accentuata tra i maschi;
4) coinvolge in particolare due tipologie di allievi: gli studenti stranieri e gli studenti provenienti da condizioni economiche e sociali disagiate.
La seconda fotografia è l’indagine statistica pubblicata dal ministero dell’Istruzione Alunni con cittadinanza non italiana (marzo 2018); i dati si riferiscono all’anno scolastico 2016-2017. Gli alunni di origine non italiana sono in leggero aumento, nonostante il rallentamento della loro presenza negli ultimi anni, dovuto alla crisi economica del nostro paese. Diverse famiglie con figli sono infatti ritornate nei paesi d’origine: Albania, Marocco, Romania; oppure – ed è il caso di famiglie indiane, bengalesi o pakistane – si sono spostate in paesi del Nord Europa, come Inghilterra e Germania. Un lungo servizio del settimanale «L’Espresso» (9 gennaio 2018), Ciao mamma, vado in Albania, ricco di dati e storie, annunciava questo cambio di scenario, già in corso da anni: «Avete presente l’albanese che sogna l’Italia e rischia la pelle sul barcone per raggiungere la terra delle mille opportunità, vista splendere di luci sulle nostre tv? Ribaltate lo stereotipo anni Novanta. Oggi è l’Albania il paese delle opportunità. Non solo per le decine di migliaia di albanesi rientrati in patria dopo aver studiato nelle nostre scuole e università e appreso tecniche e mestieri. Anche per noi. Per gli italiani».
Ma c’è ancora un altro dato importante: negli ultimi cinque anni ci sono stati 240.000 alunni italiani in meno. E da uno studio della Fondazione Agnelli sull’evoluzione della popolazione scolastica risulta che nei prossimi dieci anni si prevede un milione di studenti in meno: una classe ogni dieci scomparirà. Le cause, oltre al flusso migratorio che si è ridotto, sono la diminuita natalità degli italiani e la minore propensione alla natalità anche da parte della popolazione immigrata, che si sta avvicinando ai nostri stili di vita. Quello degli studenti non italiani rappresenta dunque un elemento dinamico, e non solo dal punto di vista demografico; è un segmento della popolazione scolastica differenziato al suo interno e in movimento, con alcune caratteristiche positive e attrattive – lo vedremo tra poco – anche nei confronti degli studenti italiani.
Naturalmente, rimangono questioni critiche ancora irrisolte. Per esempio le difficoltà nel passaggio alle scuole superiori di secondo grado, come evidenziato anche dall’indagine generale sulla dispersione scolastica: un terzo degli allievi abbandona nel biennio delle scuole superiori di secondo grado. O il fatto che continua a sussistere un forte ritardo scolastico: un terzo degli allievi di origine non italiana a 14 anni è in ritardo di uno o più anni nei confronti dei compagni di scuola italiani. E ancora: la scarsa frequenza della scuola dell’infanzia: quasi un quarto dei bambini, figli di immigrati, nella fascia d’età 3-5 anni non frequenta la scuola dell’infanzia. Si tratta di un gap decisivo, considerato che sono gli anni in cui si prende dimestichezza con la lingua; se la cittadinanza comincia da piccoli, con questa «partenza» il punto di approdo del percorso scolastico degli studenti stranieri diventa inevitabilmente problematico. E poi la differenza di genere: in generale le studentesse ottengono risultati scolastici migliori degli studenti, fatta eccezione per la matematica. Sono anche più propense a percorsi scolastici più lunghi dei maschi, verso i diplomi e le lauree. E questa caratteristica vale anche per la componente straniera, anzi le studentesse straniere ottengono risultati migliori dei loro compagni maschi, più delle studentesse italiane nei confronti degli studenti maschi italiani. Ma se si prendono in considerazione i dati sui Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, che abbandonano precocemente qualunque tipo di percorso formativo, si scopre che se sul versante italiano sono soprattutto maschi, sul versante degli stranieri i Neet sono soprattutto femmine, con percentuali molto alte nelle comunità marocchine, bengalesi, indiane, pakistane, cingalesi. Significa dunque che il miglior potenziale delle alunne straniere, rispetto ai maschi, sulla lunga distanza trova ostacoli e condizioni sfavorevoli di tipo sociale e culturale.
La terza fotografia è quella scattata dal Rapporto Invalsi nel luglio 2018. Le prove di quest’ultima indagine contenevano due novità: per la prima volta gli studenti di terza media e seconda superiore hanno svolto il compito assegnato su un computer, alle primarie invece hanno continuato ad usare carta e penna. La seconda novità, accanto alle prove di italiano e matematica, è l’introduzione, in quinta elementare e terza media, di due prove di inglese: lettura e comprensione orale. Quali sono i principali elementi emersi da questa indagine in relazione ai percorsi e agli esiti scolastici degli alunni stranieri? Il primo dato generale è la forte differenza territoriale. C’è un’Italia divisa in due: esiti positivi, sopra la media nazionale, nelle scuole del Nord e in particolare del Nord-Est; esiti negativi nelle regioni del Sud e delle isole: Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna. Il Nord-Est è non solo più efficace, in base ai risultati delle prove, ma anche più equo, cioè garantisce maggiore eterogeneità nella composizione delle classi. Nelle scuole del Mezzogiorno, invece, ci sono maggiori differenze tra scuole e, all’interno delle scuole, tra classi. C’è, in altre parole, una tendenza più accentuata nelle scuole del Sud a formare classi con i «bravi» e classi con i «meno bravi».
Si può ipotizzare che in questi contesti sociali abbia un peso maggiore una spinta, una mentalità più «familistica» verso l’istruzione pubblica, che non è certo un portato delle culture degli immigrati. Questi dati possono mettere in discussione un pregiudizio. Non è vero che nelle scuole con percentuali alte di alunni stranieri inevitabilmente la qualità peggiora («rallentano il programma», dicono a volte i genitori italiani preoccupati): lo dimostra il fatto che le prove Invalsi raggiungono risultati migliori nelle scuole del Nord-Est del paese, il territorio a più alta presenza di alunni stranieri. Non è vero che formare classi omogenee, i bravi da una parte, gli svantaggiati da un’altra, come avviene soprattutto al Sud, risulti più efficace. Forse è vero il contrario, e cioè che l’eterogeneità di una classe può costituire un elemento dinamico, di scambio, di relazioni più ricche di opportunità per tutti gli allievi. È un’indicazione della normativa del ministero dell’Istruzione, Linee guida per l’accoglienza degli alunni stranieri (febbraio 2014): formare le classi mescolando il più possibile le tante diversità della popolazione scolastica. È il principio della «via italiana alla scuola interculturale». Nella scuola e nella classe «eterogenea» si possono fare «esercizi di mondo», come è scritto nel documento Diversi da chi? (2015), elaborato dall’Osservatorio per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura del ministero dell’Istruzione: «Nella scuola gli studenti con background migratorio possono imparare una cittadinanza ancorata al contesto nazionale e insieme aperta ad un mondo sempre più grande, interdipendente, interconnesso. Nella scuola questi bambini e ragazzi si allenano a convivere in una pluralità diffusa...».
Ma c’è un altro aspetto importante evidenziato dal recente Rapporto Invalsi, collegato ad una delle novità introdotte quest’anno: le prove di inglese. Gli studenti stranieri delle scuole italiane hanno difficoltà in matematica e soprattutto nella lingua italiana, ma in inglese sono bravi quanto i loro compagni di classe italiani e in alcune regioni sono anche più preparati. Questa maggiore competenza in inglese rimanda a una dimensione plurilingue degli alunni stranieri poco visibile e non valorizzata. Troppo spesso il racconto e la pratica dell’integrazione dei bambini e dei ragazzi stranieri si sono concentrati più sulle carenze, sulle difficoltà, sui vuoti da colmare («non sa una parola d’italiano!»), riconoscendo molto poco i saperi acquisiti, le competenze in altre lingue, la capacità di muoversi tra più codici linguistici. I bambini filippini a volte conoscono già l’inglese e i bambini senegalesi o ivoriani il francese, oltre che in qualche caso le lingue madri. Ci sono forme di bilinguismo e di dimestichezza con le lingue maggiori tra gli allievi stranieri e questa loro competenza – se riconosciuta e utilizzata – può essere un’opportunità di arricchimento per tutti. Racconta un bambino straniero di 11 anni, che frequenta una scuola di Padova:
La mia lingua è il lingala, però parlo anche un po’ il francese perché i miei genitori lo hanno studiato a scuola quando erano nello Zaire e io l’ho imparato un po’ da loro. Il portoghese lo capisco un po’ ma non lo so. Lo parlo con la sorella di mio papà. Con mio fratello Cristian parlo sia l’italiano che il lingala.
È un bambino dell’un po’! Lo incontreremo ancora nelle pagine di questo libro, insieme ad altri come lui. Un po’ poliglotta, più di quanto lo siano solitamente i compagni di scuola a quell’età. Un po’ consapevole. È originario del Congo, «Africa nera, Africa sub-sahariana», dicono i libri di geografia. Ma, dal punto di vista linguistico, più «europeo» di tanti italiani.
2.
Fifa bianca: la paura dei genitori italiani
per le scuole con «troppi» stranieri
C’è un libro illustrato per bambini intitolato Fifa nera, fifa blu. Contiene dieci piccole storie che raccontano due facce della stessa paura. Da un lato la fifa blu di noi che viviamo sulle sponde agiate del mondo e guardiamo i migranti sbarcare. Una fifa blu nei loro confronti, nei confronti del mistero racchiuso in quegli sguardi persi, disperati o speranzosi. Basta capovolgere il libro e la fifa diventa nera, quella che vediamo nei loro occhi. La fifa di ciò che hanno vissuto nel loro paese o durante il viaggio o di ciò che li attende. Una fifa nera nei nostri confronti.
Ma c’è anche una fifa bianca, quella dei genitori italiani che hanno paura di una scuola o di una classe con alunni stranieri. E questa è raccontata in un altro libro, una ricerca condotta dal Politecnico di Milano, ricca di analisi e di mappe. Il titolo è White Flight a Milano. La segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo. Ma di cosa è fatta questa paura? Sentiamo alcuni genitori. Scrive Salvatore Calanna in una lettera ad un quotidiano:
Sono i primi giorni di settembre e mia moglie va a scuola per informarsi sulla sezione nella quale è capitato nostro figlio Paolo che quest’anno inizia la fantastica avventura della Prima Media. A metà mattina il suono della notifica del cellulare mi distoglie temporaneamente dal lavoro: è l’elenco degli alunni della prima D, scuola «Colombo», Milano. Lo scorro velocemente: Xi, Gutierrez, Salamon, Hu, Niculescu... Su 23 nomi solo 5 sono italiani, e uno è dubbio, potrebbe essere friulano o sloveno. Sapevo già che ci sarebbero stati tanti stranieri nella classe del mio «italiano dagli occhi a mandorla». Il sito della scuola recita per l’anno scolastico 2018/2019: stranieri al 61%. La cosa non mi spaventa, dato che nella nostra famiglia la percentuale è al 66,66%, se non contiamo il gatto, lombardo doc.
La percentuale nell’elenco però mi sembra ben superiore; suppongo che molte famiglie italiane si siano fatte influenzare [...] e abbiano deciso di mandare i figli da altre parti. Decido di accompagnare mio figlio (adottivo, arriva dal Vietnam) a scuola [...]. Appena sceso dal bus sento tre voci femminili con inconfondibile accento lombardo. [...] Mi giro e vedo tre ragazze quasi adolescenti dagli occhi a mandorla, probabilmente due cinesi e una filippina.
Arriviamo a scuola; in attesa della campanella c’è un fantastico melting pot di ragazzi che ridono, scherzano, si abbracciano, felici e ignari [...] di quale sia la loro provenienza. Due ragazzi bruni, forse dello Sri Lanka, parlano di Cristiano Ronaldo e Icardi, come, tanti anni prima, noi parlavamo di Maradona e Platini [...]. Le ragazze arabe parlano delle vacanze al mare [...] e scorgo Ahmed che veniva a giocare in parrocchia e che faceva spesso finta di non riconoscere il prosciutto nel panino per mangiarselo lo stesso. Questo ...