X. Un dialogo
Il mio amico Palamedes, persona errabonda tanto nei suoi princìpi quanto nella sua dimora e che ha percorso, con gli studi e i viaggi, quasi tutte le regioni del mondo intellettuale e materiale, mi ha recentemente meravigliato raccontandomi di un popolo con cui, mi ha detto, ha trascorso una parte notevole della sua vita e che nel complesso ha trovato estremamente civile e intelligente.
Al mondo esiste un paese, mi ha detto, chiamato Fourli (non importa a quale longitudine o latitudine sia) i cui abitanti hanno in molte cose, e particolarmente in morale, un modo di pensare diametralmente opposto al nostro. Quando arrivai fra di loro mi accorsi che avrei dovuto sobbarcarmi una duplice fatica: in primo luogo, imparare il significato dei termini della loro lingua, e quindi apprendere il valore di quei termini, e la lode o il biasimo che vi si annettevano. Dopo che mi si era spiegata una parola e mi si era descritta la qualità che essa esprimeva, concludevo che quel certo epiteto doveva essere necessariamente il rimprovero più forte del mondo; e rimanevo invece di stucco quando mi accorgevo che esso veniva riferito in pubblico alla persona con cui si aveva la più intima amicizia. Voi immaginate, dissi un giorno a un conoscente, che Changuis sia un vostro nemico mortale; io amo appianare i dissensi, e debbo perciò dirvi che l’ho udito parlare di voi nel modo più cortese. Ma con mia grande sorpresa, quando andai a ripetere le parole di Changuis, sebbene le ricordassi e le avessi capite perfettamente, mi accorsi che venivano prese per il più mortale affronto e che, senza alcuna mia colpa, avevo reso definitivamente irreparabile la rottura fra queste due persone.
Poiché, per mia fortuna, avevo acquistato fra questo popolo una buona posizione, fui immediatamente introdotto nella migliore società; e quando Alcheic espresse il desiderio che andassi ad abitare da lui, accettai subito il suo invito, sapendo che era stimato e da tutti considerato in Fourli come un uomo perfetto.
Una sera, per farmi divertire, mi invitò a tenergli compagnia durante una serenata che voleva fare a Gulki, di cui, mi disse, era estremamente innamorato; mi accorsi subito che i suoi gusti non erano affatto eccezionali, dal momento che incontrammo parecchi suoi rivali che erano venuti per lo stesso scopo. Naturalmente conclusi che questa sua amante1 doveva essere una delle più belle donne della città, e già provavo un segreto desiderio di vederla e di conoscerla. Ma quando la luna cominciò a sorgere mi accorsi, con mia grande sorpresa, che ci trovavamo nell’università in cui Gulki studiava, e mi vergognai non poco per aver accompagnato il mio amico in una simile impresa.
In seguito appresi che la scelta di Alcheic, caduta appunto su Gulki, era ampiamente approvata da tutta la buona società della città: tutti anzi si aspettavano che, appagando la propria passione, egli rendesse a quel giovane gli stessi buoni uffici di cui era stato a sua volta debitore a Elcouf. Sembra che Alcheic fosse molto bello da giovane, e fosse stato corteggiato da molti amanti: ma egli concesse i suoi favori soltanto al saggio Elcouf, al quale si riteneva dovesse in gran parte i meravigliosi progressi che aveva realizzato in filosofia e virtù.
Mi sorprese poi il fatto che la moglie di Alcheic (che, fra l’altro, era anche sua sorella) non si scandalizzasse affatto di questo tipo di infedeltà.
Proprio nello stesso periodo scopersi (né si cercava di tenerlo segreto a me o agli altri) che Alcheic era un assassino e un parricida; aveva inoltre ucciso una persona innocente, un suo parente strettissimo, che tutti i vincoli della natura e dell’umanità lo obbligavano a proteggere e a difendere. Quando gli chiesi, con tutta la cautela e la deferenza immaginabili, quale fosse stato il motivo di questa azione, mi rispose tranquillamente che allora non godeva dell’agiatezza attuale, e che aveva agito così per consiglio di tutti i suoi amici.
Siccome avevo tanto udito celebrare la virtù di Alcheic, finsi di unirmi anch’io al coro generale di lodi, e chiesi soltanto che, per soddisfare la mia curiosità di straniero, mi si dicesse quale di tutte le sue nobili azioni fosse la più lodata; appresi subito, così, che le opinioni di tutti davano concordemente la preferenza all’assassinio di Usbek. Questo Usbek era stato fino all’ultimo momento un intimo amico di Alcheic, che aveva dei grandissimi obblighi di gratitudine nei suoi confronti; Usbek, una volta, gli aveva addirittura salvato la vita, e nel testamento che si trovò dopo l’assassinio lo lasciò erede di una considerevole parte delle sue fortune. Alcheic, a quanto pare, cospirò con altri venti o trenta uomini, per lo più anche amici di Usbek; tutti insieme piombarono su quell’infelice quando meno se lo aspettava, e lo straziarono con centinaia di ferite: questa fu la ricompensa che gli dettero per tutti i favori e i benefici passati. Usbek, dissero allora tutti, aveva molte ottime qualità; anche i suoi vizi erano luminosi, magnanimi e generosi: ma con questa azione Alcheic si innalza molto al di sopra di Usbek agli occhi di tutti i giudici di vaglia, come forse uno degli uomini più nobili che si sia mai visto sotto la luce del sole.
Un altro aspetto del comportamento di Alcheic che trovai anche molto lodato, era la sua condotta verso Calish cui era legato da un comune progetto o impresa di una certa importanza. Calish, che era un uomo irascibile, un giorno bastonò Alcheic di santa ragione; questi si prese la bastonatura con molta pazienza, aspettò che a Calish tornasse il buon umore e mantenne buoni rapporti con lui; in questo modo riuscì a mandare in porto l’affare che avevano in comune e si guadagnò per sempre una perenne stima per il suo notevole sangue freddo e la sua moderazione.
Da un mio corrispondente di Fourli ho ricevuto ultimamente una lettera da cui ho appreso che, dopo la mia partenza, le condizioni di salute di Alcheic erano diventate molto cattive: allora questi si era impiccato ed era morto, rimpianto e lodato da tutti i suoi concittadini. Una vita tanto virtuosa e nobile, dicono tutti i fourliani, non poteva esser meglio coronata che da una fine così nobile; e Alcheic ha dimostrato così, come con tutte le altre sue azioni, quale fosse il principio costante di tutta la sua vita, principio di cui si vantò fin quasi all’ultimo istante: cioè che un uomo saggio è ben poco inferiore al gran dio Vitzli, che è il nome della divinità suprema dei fourliani.
Le convinzioni di questo popolo riguardo alle buone maniere e alla socievolezza, continuò Palamedes, non sono meno straordinarie di quelle sulla morale. Una volta, per farmi divertire, il mio amico Alcheic dette una festa invitando tutti gli ingegni e i filosofi più illustri di Fourli: e ognuno di noi si portò da mangiare nel luogo in cui ci riunimmo. Mi accorsi che un convitato ne aveva meno degli altri, e gli offrii una parte del pollo arrosto che costituiva la mia pietanza. Dovetti allora constatare come tutti gli invitati, compreso lui, sorridessero della mia ingenuità. Mi fu detto che in una occasione Alcheic si preoccupò tanto di quelli della sua comitiva, che li costrinse a dividersi equamente il cibo ricorrendo a un espediente: persuase i peggio provvisti a offrire il loro pranzo ai convitati, dopo di che gli altri, che avevano portato dei cibi molto più gustosi, si vergognarono di non fare altrettanto. La cosa fu considerata come un avvenimento tanto straordinario che in seguito fu riportato, come appresi, nella storia della vita di Alcheic scritta da uno dei più grandi geni di Fourli.
Vi prego di dirmi, Palamedes, dissi io, se quando eravate a Fourli imparaste anche l’arte di prendere in giro i vostri amici raccontando storie stravaganti per poi ridere di loro se vi credevano. Vi assicuro, mi rispose, che se fossi stato disposto ad imparare una simile lezione non ci sarebbe stato nel mondo un posto più adatto. Il mio amico, di cui vi ho già tanto parlato, dalla mattina alla sera non faceva altro che schernire, beffare e canzonare; e non si riusciva mai a capire quando parlava per scherzo o sul serio. Ma voi penserete, ora, che il mio racconto sia poco verosimile e che io abbia usato, o piuttosto abusato, dei privilegi di un viaggiatore. Non ho dubbi, dissi io, che voi abbiate scherzato: dei costumi così barbari e selvaggi non solo sono incompatibili con un popolo civile e intelligente quale asserite che era quello, ma sono scarsamente compatibili con la stessa natura umana. Essi superano tutto quel che abbiamo mai letto sui mingreliani e i topinamboi.
Attento, gridò Palamedes, attento! Non vi rendete conto che state bestemmiando e che ingiuriate così il popolo che più amate: e cioè i greci, e soprattutto gli ateniesi, che io nascondevo sotto tutti quei nomi bizzarri che ho usato. Se riflettete attentamente, non c’è un solo tratto del personaggio da me descrittovi che non potesse trovarsi nell’ateniese più stimato senza peraltro offuscarne minimamente il carattere. Gli amori dei greci, i loro matrimoni2, la loro capacità di abbandonare i propri figli non possono non venirvi subito alla mente. La morte di Usbek, inoltre, corrisponde esattamente a quella di Cesare.
Tuttavia, dissi interrompendolo, vi siete dimenticato di aggiungere un particolare: che Usbek era un usurpatore.
Non l’ho citato, mi rispose, temendo che scopriste quale parallelo avevo in mente. Ma aggiungiamo pure questa circostanza: non dobbiamo farci scrupolo di chiamare Bruto e Cassio ingrati traditori e assassini, in conformità alle nostre convinzioni morali; e questo anche se sappiamo benissimo che essi rappresentano forse gli uomini più nobili di tutta l’antichità, tanto che gli ateniesi eressero loro delle statue, e le posero accanto a quelle di Armodio e Aristogitone, i liberatori di Atene. Ma se voi credete che la circostanza suddetta sia tanto importante da giustificare questi patrioti, io la compenserò con un’altra, neanch’essa ricordata prima, che aggraverà in egual misura il loro delitto. Pochi giorni prima di dare esecuzione al loro piano fatale, tutti avevano prestato giuramento di fedeltà a Cesare; e dichiarando di considerare per sempre sacra la sua persona, toccarono l’altare con quelle stesse mani che avevano già armato per ucciderla3.
Non c’è bisogno che vi rammenti la storia tanto famosa e lodata di Temistocle, e della sua pazienza verso Euribiade lo spartano, suo comandante, che, animatosi nella discussione durante un consiglio di guerra, alzò su di lui il bastone (che era come se l’avesse bastonato); Colpisci!, gridò l’ateniese, colpisci, ma ascoltami!
Voi siete un uomo troppo colto per non individuare Socrate e il suo circolo ateniese nella mia ultima storia; e osserverete certamente che il racconto è copiato esattamente da Senofonte, cambiando soltanto i nomi4. E credo di aver fatto vedere abbastanza bene che un ateniese di alto merito poteva anche essere un uomo tale da passare oggi per incestuoso, parricida, assassino, ingrato, traditore spergiuro, e per altro ancora di troppo abominevole per essere nominato; senza parlare, poi, della sua rozzezza e dei suoi pessimi modi. Tale essendo stata la sua vita, la sua morte poteva poi adeguarlesi perfettamente: poteva completare il quadro con un atto disperato di suicidio, e morire con le più assurde bestemmie sulle labbra. Malgrado tutto ciò, delle statue, se non degli altari, potevano essere erette in sua memoria; e magari si potevano comporre poesie e orazioni in sua lode, e intere sètte potevano andare orgogliose di portare il suo nome, continuando ciecamente nella loro ammirazione per lui fino alla più lontana posterità: mentre se tra questi posteri nascesse un uomo simile, tutti lo guarderebbero giustamente con orrore ed esecrazione.
Mi sarei già dovuto accorgere, replicai, del vostro artificio. Sembra proprio che vi divertiate con argomentazioni del genere; e siete davvero l’unica persona che abbia mai conosciuto a non ammirare enormemente gli antichi, pur conoscendoli a fondo. Ma invece di attaccare la loro filosofia, la loro eloquenza, o la loro poesia, che sono gli argomenti più comuni delle nostre discussioni, voi mettete ora sotto accusa, a quanto pare, la loro morale: li accusate cioè di ignoranza in una scienza che è l’unica, a mio parere, in cui non sono stati sorpassati dai moderni. La geometria, la fisica, l’astronomia, l’anatomia, la botanica, la geografia, l’arte nautica: in tutte possiamo a ragione dichiararci superiori; ma cosa possiamo contrapporre ai loro moralisti? Il vostro modo di rappresentare le cose è sbagliato; non avete alcuna comprensione per i modi e i costumi delle diverse epoche. Vorreste forse processare un greco o un romano in base alle le...