
- 224 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
La domanda su che cosa sarà di noi dopo la morte ha sempre accompagnato l'essere umano nella sua millenaria storia. Oggi, ancora di più, la pandemia che ha colpito come una tempesta l'intero pianeta ci ha ricordato prepotentemente la nostra fragilità e ha rinnovato antiche paure che avevamo creduto forse di esorcizzare. La morte è parte essenziale del nostro essere umani, con cui siamo tenuti a misurarci ogni giorno. Tutte le tradizioni religiose ce lo ricordano e questo libro ne offre una preziosa testimonianza.
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Informazioni
1.
La vita dopo la vita,
cuore dell’esperienza religiosa
Per gli uomini come sono oggi c’è solo una novità radicale – ed è sempre la stessa: la morte.
Walter Benjamin, Angelus novus
Il Grande Viaggio
Media età della pietra.
È ovviamente impossibile, per noi, sapere cosa accadde, circa centomila anni fa, in un giorno particolare, a Qafzeh e a Skhul, su quello che molti secoli dopo sarà chiamato il «Monte del Precipizio», presso l’attuale città di Nazaret di Galilea, in Israele26. Però possiamo cercare di ricostruirlo, almeno per suggestioni. Un paio di corpi, condotti da un nugolo di parenti (per i paleontologi, dei proto-Cro-Magnon, o homo sapiens), stanno per essere inumati in una fossa scavata nella terra e quindi posti nella direzione est/ovest, l’asse della vita: quello di una giovane donna, rannicchiata in posizione fetale, e ai suoi piedi quello di un bambino di pochi anni, la testa sul torace. Intorno a loro, qualcuno dei presenti ha sparso dell’ocra rossa, plausibile indizio di un rituale funebre e simbolo del sangue (dunque della vita, e, chissà ?, di una vita dopo la vita). Sono madre e figlio, accomunati per un evento esterno imprevedibile da una morte simultanea? E che genere di sentimenti animano quanti si stanno adoperando per organizzare quel rito, uno dei più antichi di cui siamo a conoscenza?
Facile intuire che gli astanti siano tristi, o magari terrorizzati, e di certo almeno emozionati per l’evento inopinato. Per questo, verosimilmente, in quella fase qualcuno aveva deciso di rivoluzionare le abitudini degli altri mammiferi, ivi compresi i propri antenati, che si liberavano in qualche modo dei cadaveri senza apportare loro alcun particolare trattamento. Scavi degli anni Trenta del secolo scorso, in ogni caso, hanno fatto emergere una trentina di tombe della stessa epoca, con le salme ancora coperte d’ocra, in un paio delle quali erano state collocate delle suppellettili: una mascella di cinghiale e un corno di cervide. Con ogni probabilità oggetti celebrativi, e testimonianze trasparenti che già in quella stagione si davano barlumi di pensiero simbolico, caratteristico dell’essere umano. Indizio credibile che, agli occhi di coloro che erano coinvolti nell’operazione, non era lecito entrare nello spazio dell’aldilà – o chissà dove – privi di bagagli.
1. Fori per le anime
Anche se sulle idee connesse con una vita altra in quella fase preistorica non sappiamo nulla di preciso, probabilmente è in quelle tombe rudimentali risalenti a centomila anni fa che è legittimo porre i passi iniziali di una religiosità dell’umanità . «Non c’è nessuna valida ragione – ha scritto l’illustre etnologo francese André Leroi-Gourhan – per negare ai paleolitici inquietudini di carattere misterioso, non fosse altro perché la loro intelligenza, della stessa natura (se non dello stesso livello) di quella dell’homo sapiens, implica la stessa reazione di fronte all’anormale, all’inesplicato»27.
Possiamo dunque supporre che le trasformazioni osservate nel mondo della natura, il sorgere e il tramontare quotidiani del sole, la sequenza di nascita-morte-nuova vita dal grembo della madre Terra, abbiano rappresentato per quegli uomini dei modelli per raffigurarsi una qualche forma di sopravvivenza post mortem. Numerosi segnali, del resto, ci consentono di intuire che l’intero apparato di materiali diversi, un vero e proprio corredo, sistemato intorno a quelle inumazioni, rimandi all’ipotesi di una vita dopo la morte, in un universo invisibile, in cui i defunti sarebbero stati in grado di continuare a esistere, di proseguire il loro itinerario, in qualche forma e verso qualche meta. La posizione raggomitolata del feto, che si ritroverà in seguito in parecchie altre situazioni del genere, rinvia probabilmente all’idea di un’auspicata rinascita; la testa, poi, è rivolta a oriente, direzione da cui nasce il sole, mentre il corpo non è abbandonato alla solitudine, e sempre più spesso, nel tempo, gli vengono posti accanto degli oggetti, via via più pensati e sofisticati. Per due motivi, si ritiene: al fine di aiutare il defunto ad affrontare ben attrezzato il Grande Viaggio che sta intraprendendo, e di trattarlo con dignità fino all’ultimo, affinché egli non si ripresenti in qualche modalità sconosciuta a importunare i viventi. In entrambi i casi, emergerebbe appunto, qui, una certa credenza nella sopravvivenza almeno di una parte dell’uomo (l’anima, se volessimo anacronisticamente già chiamarla così).
C’è, infine, un ulteriore dato che vale la pena di mettere in luce: i defunti sono interrati in siti ben lontani dalle abitazioni dei vivi. E non è tanto l’odore di cadavere che si voleva evitare (dato che i corpi venivano ricoperti di strati di terra e di pietre), quanto la loro memoria, potenziale fonte d’inquietudine, se non di autentico timore e tremore. Intorno a diecimila anni prima di Cristo, con l’età neolitica quindi, all’apparizione dei primi villaggi, presso i centri abitati troveremo dei veri e propri cimiteri (parola greca che sta per luogo dove si va a dormire), segni di un legame diretto tra i vivi e i morti. Le suppellettili sistemate nelle tombe (recipienti pieni di cibo e dipinti di ocra, monili per le donne e armi di varia natura per gli uomini), infatti, rivestono un significato soltanto se la nuova vita futura viene pensata alla stregua di quella precedente. Mentre in alcune culture neolitiche si rinverranno dei (cosiddetti) fori per le anime, aventi lo scopo, si pensa, di favorire per i trapassati una certa libertà di movimento28. Il fatto è che «lungo il progredire della sua esistenza e nel profondo di sé – scrive uno specialista come Julien Ries – l’uomo avverte l’ascendente di una realtà misteriosa. È un’esperienza che si manifesta in modo diverso secondo le culture e le epoche, ma è sempre un tentativo di sorpassare sé stesso, l’esistenza quotidiana e la condizione umana»29.
2. Memoria e oblio
A ben vedere, tutte le religioni e tutte le concezioni del mondo affondano le loro radici nell’esperienza che ciascuno di noi, più o meno inserito in una collettività , fa della constatazione della morte altrui e dell’attesa della propria. Dello shock connesso alla consapevolezza della finitezza umana; anzi, della nostra finitezza e fragilità . Della necessità che si prova di elaborare strategie semplici o complesse per tenere assieme in qualche misura i vivi e i defunti: uno stratagemma per non morire, almeno per non morire del tutto e per sempre. Così, sin dall’alba del tempo, ogni religione si sforza di celebrare la morte e di renderne ragione producendo articolati dispositivi per la memoria collettiva: viaggi dell’anima, visioni oltremondane, catene familiari, ricerche genealogiche, prospettive escatologiche e molto altro. Dagli antichi egizi, che avevano l’abitudine di far circolare una mummia durante i loro banchetti, e dalla maggior parte delle società tradizionali per le quali il morire è un elemento naturale della vita, sino a oggi; oggi che la morte è sì sistematicamente esorcizzata e rimossa e considerata l’ultimo tabù rimasto sulla piazza sociale, ma che, nondimeno, riempie di sé e delle proprie rappresentazioni le pagine dei giornali e della narrativa, gli schermi della televisione, dei cinema e della rete.
Memoria e oblio vengono dunque – non casualmente – continuamente miscelati, agendo la prima per tessere scenari il più possibile durevoli, il secondo per non sottoporsi al terrore della totale dispersione del sé. Si legge nel Talmud, libro capitale per l’identità ebraica, che quando il bambino che sta per nascere è ancora nel corpo materno, una luce gli splende sul capo e apprende tutta intera la Torà , ma non appena arriva il momento di uscire al mondo, sopraggiunge un angelo che gli posa le dita sulle labbra, affinché dimentichi tutto e non possa parlarne in futuro. La suggestiva parabola espone una nozione decisiva per Israele, sospeso costantemente fra l’urgenza della memoria e la necessità dell’oblio30. Parafrasando la litania dei tempi di Qohelet, un sapiente della Bibbia, «c’è un tempo per fare memoria, e un tempo per astenersi dal ricordare».
3. Malati di immortalitÃ
Si potrebbe allora sostenere, a buon diritto, che l’attesa di una vita nuova sia come scolpita nel cuore degli uomini da sempre; e che l’esperienza di una vita dopo e oltre questa esistenza vada di pari passo con l’idea stessa di religione. L’elemento salvifico, in effetti, compare in tutte le forme religiose che hanno chiamato la meta dei beati, di volta in volta, cielo, eden, campi elisi, isola dei beati, salvezza eterna, paradiso, immortalità , mukti, moksa, nirvana, valhalla, praterie celesti, e così via. Assicurando ai propri fedeli che – a dispetto di ogni apparenza – non solo si darà un’ulteriore vita oltre questa vita, ma anche un tempo fuori dal tempo e uno spazio al di là dello spazio. Che non è finita qui, insomma. Il che, del resto, appaga gli ovvi desideri umani: perché «noi sentiamo un desiderio indistruttibile di vivere, siamo fatti per vivere oltre ogni limite: siamo malati di immortalità , sentiamo la nostalgia dell’essere incondizionato, di una vita originaria che non può morire»31. La Bibbia, ancora con il Qohelet, spiegherà così tale fenomeno: «Egli [Dio] ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell’eternità 32 nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l’opera compiuta da Dio dal principio alla fine» (Qo 3,11).
Certo, le organizzazioni religiose, di fronte a una simile prospettiva, hanno risposto in maniera decisamente diversificata. Semplificando, però, sono tre i modelli di situazioni in cui si troverebbero di fronte quanti attraversano la grande soglia. Una prima ipotesi, ottimistica, è che dopo la morte si sperimenti un potenziamento di sé, un’intensità superiore e un’armonia inusitata, e si finisca per condurre perciò un’esistenza migliore de...
Indice dei contenuti
- Introduzione. C’erano una volta i «novissimi»...
- 1. La vita dopo la vita, cuore dell’esperienza religiosa
- 2. «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede»
- 3. La Chiesa e l’aldilÃ
- 4. «Insegnaci a contare i nostri giorni» (Salmo 90)
- Conclusioni. Permanere nella dignitÃ
- Abbreviazioni